In Parlamento quattro proposte di legge intervengono in materia di crediti non performing oggetto di cessione sul c.d. mercato secondario. L'obiettivo è quello di “agevolare le prospettive di recupero dei crediti in sofferenza e favorire e accelerare il ritorno in bonis del debitore ceduto”. Ma un'analisi approfondita evidenzia molti aspetti critici (e criticabili). Non ultimo, che lo Stato italiano potrebbe finire per pagare i debiti bancari di cittadini ed imprese
Le vacanze degli operatori del settore del credito sono state irrimediabilmente funestate dal rincorrersi di alcune notizie di stampa relative a potenziali prossimi interventi dello Stato in materia di crediti non performing oggetto di cessione sul c.d. mercato secondario.
Il clamore che ne sta derivando è abbastanza inusuale considerando che, allo stato attuale, non risultano che alcune proposte di legge ad uno stadio ancora larvale di discussione; tuttavia, la circostanza che quasi tutti i relativi atti siano stati presentati da parlamentari dell’attuale maggioranza di governo e che una precedente proposta similare sia stata avanzata, nella scorsa legislatura, da parte dell’attuale Ministro del Made in Italy sembrerebbe dare sempre più inerzia e rilievo alla discussione.
Risultano dunque quattro proposte di legge in materia, al momento ancora da discutere nelle commissioni competenti:
Tutti gli articolati sono piuttosto brevi e meritano una lettura, se non altro per evidenziare l’interesse a livello parlamentare per la tematica dei crediti deteriorati in Italia. In una prospettiva futuribile, meritano senz’altro maggiore attenzione le proposte 414 e 843, che condividono la struttura e si distinguono per un contenuto potenzialmente dirompente per il mercato secondario del credito italiano.
Le due proposte, sostanzialmente sovrapponibili, si caratterizzano per i seguenti contenuti:
Il testo delle proposte è certamente un po’ acerbo e meriterebbe una risciacquatura, sia per maggior coerenza lessicale interna che per maggior allineamento d’insieme con il quadro normativo in cui si inserisce. Come detto, però, ha più senso concentrarsi sulle questioni di fondo che emergono dalla lettura dei due articolati, sostanzialmente sovrapponibili.
Il cuore delle proposte, ovviamente, è dato dalla facoltà attribuita al debitore ceduto che viene ricostruita come una sorta di opzione conferita ex lege ad eseguire un pagamento a stralcio estintivo dei propri debiti.
L’idea ha una sorta di sua intrinseca ragionevolezza pratica.
È noto infatti che nel corso degli ultimi anni le banche, su indicazione delle autorità di vigilanza e su spinta delle disposizioni sempre più stringenti del quadro regolatorio prudenziale, hanno dato seguito a massicce operazioni di deleveraging finalizzate alla pulizia dei propri bilanci dalle posizioni deteriorate accumulatesi per effetto delle crisi degli ultimi anni.
Si tratta di un mercato di crediti ceduti numericamente consistente, sviluppatosi principalmente attorno alla struttura della cartolarizzazione (L. 130 del 30 aprile 1999). Nell’ambito di tali operazioni, i crediti vengono invariabilmente acquistati a sconto, poiché il prezzo fattorizza, tra le altre cose, il rischio di insolvenza della controparte, che è molto elevato per le posizioni deteriorate.
Il Legislatore, quindi, attribuendo al debitore la possibilità di chiudere le proprie pendenze con pagamento maggiore rispetto al prezzo di acquisto del credito (guadagno per l’acquirente) ma inferiore rispetto al valore nominale del credito acquistato (liberazione del debitore), ritiene di determinare un criterio di giustizia commutativa, attribuendo a creditore e debitore l’unicuique suum e quindi una soluzione bilanciata per la gestione degli interessi di entrambi.
Senonché, a giudizio di chi scrive, i proponenti dei due articolati commettono di impostare le relative proposte di legge ragionando dalla prospettiva del singolo debitore ceduto, e non da quella dell’acquirente creditore massivo, che sarebbe poi quella più opportuna date le caratteristiche delle operazioni economiche che si intenderebbero regolare.
Volendo semplificare, i punti di attenzione sono essenzialmente due:
Da quanto sopra deriva che le proposte di legge non consentono di “agevolare le prospettive di recupero dei crediti in sofferenza e a favorire e accelerare il ritorno in bonis del debitore ceduto”; piuttosto, per eterogenesi dei fini, concedono al debitore “problematico” di pagare meno di quanto il mercato attenderebbe a fronte delle garanzie prestate, ove possibile, mentre non avvantaggiano in alcun modo il recupero del credito nel caso di debitori fortemente incapienti posto che, ove l’opzione di pagamento “a saldo” risulti economicamente svantaggiosa, la stessa non verrà realisticamente esercitata.
Il profilo problematico evidenziato sopra sconta inoltre, nelle proposte di legge, un ulteriore elemento critico, posto che la disposizione sembra individuare un solo prezzo di cessione, dato dalla ripartizione del prezzo pagato sul totale dei crediti. Ciò crea effetti aberranti nei casi di portafogli misti con prezzi di cessione differenziati (i.e., quelli in cui un diverso prezzo è calcolato con riguardo a crediti ipotecari, chirografi, con carenze documentali etc.), in cui si ottiene un unico valore di esercizio dell’opzione, verosimilmente troppo basso per i crediti di migliore qualità e troppo alto per i crediti di minor pregio (poiché l’unico “prezzo di cessione” non considera la differenza di qualità dei crediti).
I commenti alle proposte di legge potrebbero non arrestarsi qui. Solo come esempio, può domandarsi se sia opportuno prevedere una forma di pubblicità dei prezzi in un mercato, come quello dei portafogli di NPL, che non prevede forme di negoziazione pubblica e si basa, normalmente, su negoziazioni bilaterali e/o aste private; se abbia senso fornire al debitore uno strumento così rilevante come l’indicazione del prezzo di cessione e l’altra “documentazione” che la legge richiede obbligatoriamente al creditore di trasmettere; se sia opportuno non prevedere alcuna forma di raccordo della disciplina dell’“opzione” con le procedure esecutive e concorsuali. Si potrebbe anche discutere circa la concreta eseguibilità di un onere così gravoso per i gestori di crediti (comunicare a tutti i debitori la facoltà di esercitare l’“opzione”) in un tempo così ristretto (30 gg. dall’entrata in vigore della legge).
Da ultimo, avrebbe anche senso interrogarsi circa la compatibilità tra la disciplina delle due proposte di legge ed il precedente intervento dello Stato italiano nel settore delle cartolarizzazioni di sofferenze bancarie attraverso il rilascio di garanzie a prima domanda (c.d. GACS). Senza volere (e potere) approfondire in questa sede, basti rilevare che, ove dai minori flussi finanziari derivanti dai pagamenti “a saldo” derivasse il mancato pagamento delle somme dovute agli investitori, le garanzie potrebbero essere escusse e quindi, in sostanza, lo Stato italiano si troverebbe a pagare i debiti bancari di cittadini ed imprese.
Lo stato estremamente preliminare delle proposte sembra consigliare un rinvio di ogni considerazione al momento in cui si arrivi alla formulazione di testi più avanzati. Tuttavia, già oggi si intravedono i possibili arbitraggi a vantaggio dei debitori derivanti da una regola di difficile applicazione pratica e che sembra seguire il recente (e dubbio) filone della punizione dell’extraprofitto quale forma di regolazione del mercato.