In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Realtà dei tassi reali

Il ritorno dell'inflazione e le difficoltà sia delle autorità monetarie che delle politiche economiche, portano a ipotizzare che circa un terzo del corrente secolo possa risultare perduto rispetto alle attese che coinvolgono oltre 8 miliardi di soggetti costretti a ripartirsi risorse materiali e finanziarie ridotte...

Giuseppe Guglielmo Santorsola
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Uno dei dubbi in merito allo scenario economico analizzato da molti ed anche in precedenti note di questa rubrica, sembra al momento risolto in negativo: l’inflazione ha pervaso i sistemi economici superando livelli di guardia indicati quale limite. Il fenomeno può ovviamente essere letto in modo speculare a seconda che lo si analizzi dal punto di vista del creditore o del debitore. Il primo è esposto al rischio di vedere il capitale posto a disposizione perdere potere d’acquisto; il secondo – al contrario – vede diminuire il peso reale del proprio debito.

La variabile dei tassi d’interesse svolge il ruolo di regolatore di queste condizioni; il loro rialzo, se superiore al livello consente di recuperare il taglio al valore della moneta per il creditore, ma aggrava l’onere del debitore che vede il proprio limite di sostenibilità nel rendimento che riesce ad ottenere con l’attività che svolge con l’ausilio dei finanziamenti ricevuti (la leva finanziaria). Se questo ritorno non è adeguato, il margine che si realizza rischia di essere dedicato al pagamento del servizio del debito incidendo sulla redditività e sulla capitalizzazione delle imprese e delle attività economiche. In tale ottica l’inflazione svolge un ruolo di “guastatore” dell’equilibrio dei sistemi economici.

Questa valutazione vale come fotografia istantanea. Nella realtà vi sono da considerare anche dei flashback che coinvolgono la struttura finanziaria preesistente e le valutazioni di aspettativa rispetto alle prospettive future. Nel primo caso, i tassi applicati in precedenza – se fissi o non adeguatamente variabili – non soddisfano le nuove attese del creditore che è indotto a vendere (qualora possibile) le proprie posizioni per non perdere le opportunità di riposizionarsi correttamente rispetto al nuovo scenario. Il debitore confida nella lunghezza dei prestiti ricevuti a quelle condizioni per avvantaggiarsi di quanto accaduto. Nella prospettiva futura, l’alto costo del debito non stimola nuove iniziative economiche nonostante queste potrebbero potenzialmente disporre di finanziatori più disponibili perché attratti dai nuovi rendimenti. Ulteriore incertezza è generata dalla eventualità che il trend dell’inflazione e dei tassi prosegua alimentando l’asimmetria delle posizioni dei diversi attori dell’economia. La diffusione del fenomeno, oltre il brevissimo periodo si manifesta in modo differenziato nei diversi settori agevolando taluni di essi e generando fasi critiche in altri.

L’indicizzazione è strumento utile per gestire le asimmetrie dai tassi fissi adeguando i tassi alle condizioni di mercato rendendo più equilibrato l’incrocio dei vantaggi e svantaggi delle due parti sotto il profilo puramente finanziario. Nelle variabili reali, invece i tassi alti restano un vincolo negativo qualora l’economia non adegui il rendimento in grado di essere conseguito. Stagnazione e recessione sono le condizioni che si possono determinare in questi casi. Sono queste due ipotesi quelle in cui si dipana l’attuale dibattito sulle prospettive. L’impatto può essere valutato – a parità di altre condizioni – sulla lunghezza del ciclo economico non favorevole.

Si è spesso dibattuto sul ruolo propulsivo dell’inflazione, purché contenuta entro limiti che non sfuggano al controllo. Quest’ultima finalità è però obiettivamente difficile da verificare perché, nell’ambito di processi produttivi lunghi o geograficamente o socialmente diversificati, vengono attivati avvitamenti dei prezzi che ne alimentano progressivamente la crescita ulteriore. Fenomeni del passato sono stati utilmente affrontati quando le decisioni erano l’esito di confronti fra pochi soggetti in grado di influenzarle. La situazione attuale è differente e le regole dell’economia risultano influenzate da variabili geo-politiche oggi evidenti nella diversità degli interessi che risultano coinvolti. Inoltre, i soggetti abitualmente guida delle scelte più vincenti sono condizionati dal debito che hanno creato lungo un ventennio in cui il relativo costo è stato basso quando non negativo, nonché alimentato da politiche monetarie disponibili a favorire la crescita del debito. Queste stesse sono condizionate dall’improvviso mutamento dell’atteggiamento. È opportuno ricordare che i sistemi sono stati abituati a confrontarsi con rialzi dell’ordine di un ottavo o un quarto di punto, mentre – nel corso del 2022 – si è assistito a movimenti di 0,75/1,00 punti, per di più incidenti su un debito molto elevato che ha impegnato onerosamente la spesa pubblica e il servizio del debito degli operatori privati.

In realtà questo ultimo fattore genera conseguenze importanti anche quando – obiettivamente – lo spettro dei tassi d’interesse e la forma della curva rendimenti non è certo valutabile come “elevata”. L’impatto assoluto della quantità degli interessi supera la misura percentuale dei rialzi. Inoltre, la fase rialzista è sorta su una base iniziale molto bassa (negativa nei principali paesi), mentre in passato aveva agito su un quadro complessivo più ordinato. Infine, gioca un ruolo condizionante la misura dei tassi reali d’interesse, il fenomeno oggetto di queste note.

La loro misura è attualmente negativa, disegnando un effetto congiunto di rialzo dei costi correnti (il servizio del debito) e di insufficiente protezione del valore dei capitali di credito. Entrambi i soggetti risultano insoddisfatti dell’esito delle condizioni in cui operano, alimentando le probabilità del fenomeno della stagnazione. Anche la teoria economica non presenta consistenti contributi in questa materia, risultando più abituata ad approfondire lo studio dell’inflazione e/o della recessione. Nella operatività di tutti i soggetti coinvolti (banche centrali, intermediari, imprese e detentori del risparmio), la distanza fra rendimenti monetari e rendimenti reali è molto elevata, suscitando il timore della distruzione della ricchezza reale. Molti soggetti subiscono la tentazione di inseguire rendimenti coerenti con l’inflazione che richiedono una propensione al rischio non da tutti considerata accettabile e/o sostenibile.

In aggiunta a questo quadro, il fabbisogno di capitale richiesto dagli investimenti strutturali reclamati da scelte di lungo periodo considerate necessarie e indifferibili è consistente. La transizione ecologica, quella digitale e l’attenzione verso i fattori ESG, richiedono risorse che assorbono il risparmio disponibile sia nel suo stock e che nella ridotta capacità di crearne di nuovo. 

Il concetto di tasso reale non è solo teorico ma determina conseguenze pratiche importanti. Un rendimento negativo significa che i risparmiatori non sono protetti dall’erosione di valore dei loro risparmi: i rendimenti che ricevono non consentono di mantenere il potere d’acquisto. Si alimenta il rischio del ritorno alla povertà per i soggetti più deboli, con riflessi sull’occupazione e sui consumi.

Rispetto ad esperienze passate, le economie più avanzate basano la loro stabilità sul mantenimento di abbondanti consumi per beni non primari, che sono divenuti indispensabili per la ordinata vita corrente e che costituiscono l’offerta prevalente delle imprese più importanti in termini di fatturato. Affinché queste ultime possano tornare al proprio equilibrio è necessario più tempo, perché la domanda necessaria per mantenere la loro economicità richiede una richiesta abbondante di beni non primari o di lusso che sono acquistabili quando i redditi sono adeguati, i timori per il futuro sono bassi e il finanziamento per il loro acquisto risulti agevole, diffuso e non condizionato dal loro implicito costo finanziario. L’alternativa che rimane in assenza di redditi correnti ed attesi è quella di utilizzare il patrimonio accumulato a danno della prospettiva di lungo termine per i quali era stato accumulato. Se si considera l’incremento del longevity risk, si presenta una scelta dolorosa tra il sostegno della domanda nel breve-medio termine e il mantenimento di un patrimonio utile ai fabbisogni di lungo e lunghissimo periodo. 

In altri termini, l’incombere di un ciclo negativo in un’economia ricca e sviluppata nell’articolazione dell’offerta e della domanda (non sempre facile da far incontrare) è più difficile da gestire. Le Autorità Monetarie (quella statunitense al momento più di quella europea) appaiono più orientate verso il controllo e il rientro dell’inflazione nel breve periodo (anche in ossequio ai loro requisiti statutari per i quali sono istituzionalmente chiamate ad operare). Le politiche economiche si trovano in difficoltà nel finanziare le loro esigenze di controllo nel breve periodo (con minore quantità di base monetaria e tassi più elevati) ed abbandonano o rinviano le scelte di lungo periodo. L’alleggerimento del peso del debito risulta inferiore a quello atteso, mentre il costo futuro cresce in ragione del degrado inflazionistico che reclamerà in futuro impegni monetari maggiori. 

Ne deriva la prospettiva (da rigettare con forza) di un futuro rallentato nel suo sviluppo e di un ritardo nel conseguimento di obiettivi che avevano guidato il patto sociale tra i singoli Paesi e, all’interno di questi, tra le diverse componenti sociali. Possiamo ipotizzare che circa un terzo del corrente secolo possa risultare perduto rispetto alle attese che coinvolgono come è noto oltre 8 miliardi di soggetti costretti a ripartirsi risorse materiali e finanziarie ridotte, qualora non si investa adeguatamente. Uno scenario quasi Medioevale (quando la popolazione era di poche centinaia di milioni) in attesa di un nuovo Rinascimento (quando la popolazione era poco più del doppio, ma meno del 5% di quella attuale).

P.S. Dimenticavo di ricordare che in quelle epoche il debito era un fattore quasi sconosciuto e non diffuso, produzione e consumi erano solo quelli essenziali e l’attesa di vita di circa un terzo di quella attuale. Le capacità di reazione sono peraltro molte di più ed in tale prospettiva si deve operare. Questa ultima considerazione deve essere letta con ottimismo, ricercando con forza le modalità per uscire dalla crisi. Come è sempre accaduto.