Oro / Effetto Cina
Quotazione verso i 2000 dollari

La Banca centrale cinese quest’anno è stata tra i più grandi acquirenti di oro sui mercati. Lo shopping ha portato a 62,45 milioni di once le sue riserve (dato di agosto), dai 59,24 milioni di once segnalati a novembre 2018.

Il valore totale delle riserve auree di Pechino si aggirano quindi sui 94 miliardi di dollari (comunque solo il 2,7 per cento del totale delle sue riserve), tallonando la Russia, le cui riserve auree valgono intorno ai 100 miliardi, essendo stato il paese più attivo sui mercati dell’oro lo scorso anno, durante il quale lo shopping ha raggiunto un volume che non si registrava da anni.

Il ritorno all’oro come riserva in tempi di tassi negativi e di incertezza finanziaria, spinge la banca americana Citigroup a prevedere il rialzo delle quotazioni fino a 2000 dollari l’oncia del giro di due anni. Quest’anno il prezzo dell’oro è cresciuto del 17 per cento, fino a 1495 dollari l’oncia (mai così bene dal 2010).

Ma se l’oro torna in auge potrebbe esserci anche un’altra ragione. A fine agosto, è uscito su “Global times”, un tabloid governativo cinese, uno studio su un think tank di Pechino che aveva il sapore di un ammonimento.

Il dollaro, argomentava, è destinato a perdere il suo status di valuta di riserva globale. Questo perché l’ordine finanziario su cui si basava la sua forza, unito all’assunzione di responsabilità di difenderlo, è stato messo in discussione da Trump e dalle sue pressioni sulla Fed per abbassare i tassi.

Si prospetta quindi la necessità di costruire un nuovo ordine finanziario, suggerisce il think tank di Pechino: e quale se non quello basato sul gold standard? Cammino che sembra aver imboccato anche la Russia, che con le vendite del biglietto verde ha chiaramente iniziato la de-dollarizzazione delle sue riserve. L’oro come riferimento della finanza internazionale potrebbe tornare in auge, e intanto il prezzo continua a salire.