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Quanto sono sostenibili le banche italiane?

Quanto è diffuso il sustainable banking tra le banche italiane? Secondo uno studio appena pubblicato su Rivista Bancaria – Minerva Bancaria sono ancora piuttosto lontane da un modello di business etico e sostenibile

Lucilla Bittucci
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Quale grado di compliance esprimono le banche italiane tradizionali rispetto ai requisiti richiesti dall’art 111 bis del Testo Unico Bancario (T.U.B.)?

Attualmente, il panorama giuridico e regolamentare del c.d. “sustainable banking” è ancora piuttosto incompiuto. Non vi sono standard comuni, internazionali o europei, che permettono di categorizzare una banca come “sostenibile”. Vi sono, piuttosto, alcune proposte di principi e codici di comportamento suggeriti, a più livelli, da associazioni o network spontanei di intermediari. 

Tuttavia, in Italia assume rilevanza l’articolo 111 bis del T.U.B. che, seppure non cogente per le banche tradizionali, può essere, a ragione, considerato un utile riferimento anche per analizzare il grado di sostenibilità delle banche commerciali.  

L’orientamento al sustainable banking delle banche italiane può essere analizzato  assumendo come variabili benchmark i sei requisiti fissati dal legislatore nel citato articolo 111 bis

Attraverso una content analysis sulle “Dichiarazioni Non Finanziarie” e sui siti-web delle significant banks italiane, in uno studio appena pubblicato su Rivista Bancaria – Minerva Bancaria (www.rivistabancaria.it) le banche vengono classificate in: (i) strettamente compliant all’art.111 bis; (ii) compliant-oriented, ovvero orientate all’adozione di politiche di sostenibilità riconducibili alla fattispecie dell’art. 111 bis, anche se non pienamente conformi a tutte le specifiche previsioni dell’articolo; (iii) non compliant, ovvero banche che non presentano i requisiti previsti dalla normativa o non forniscono informativa pubblica che ne dia atto. 

I risultati dell’analisi suggeriscono che, rispetto a tale normativa,  le significant banks italiane sono ancora piuttosto lontane da un modello di business etico e sostenibile e dovranno operare, nei prossimi anni, un ri-adattamento dei propri modelli e delle loro attività secondo criteri impact-oriented.

A nostro avviso, l’imposizione di vincoli assoluti o di cap incondizionati, come previsti dall’articolo 111 bis del T.U.B potrebbero non essere le vie più valide per indirizzare le banche verso l’adozione di un business model sostenibile, e che sarà il nuovo quadro regolamentare europeo a giocare il ruolo di driver di un processo di cambiamento. L’action plan della Commissione Europea potrebbe infatti essere un valido strumento per colmare tale gap normativo e potrà essere il nuovo benchmark di riferimento per valutare l’orientamento alla sostenibilità del portafoglio crediti delle banche. 

Una spinta verso questo cambiamento, oltre che dalla Commissione Europea, ci sarà anche da parte del mercato: oggi la finanza sostenibile nasce dal lato della domanda, da parte di investitori e consumatori che richiedono la presenza di prodotti e servizi finanziari sempre più vicini alle logiche impact-oriented.

L’idea di un futuro sostenibile non può prescindere dal ruolo di intermediazione delle risorse del sistema bancario: ciò non significa che sia necessario inserire vincoli stringenti o condizioni che possano compromettere la natura degli intermediari finanziari, ma è importante che vi sia un impegno verso le politiche di investimento e credito di natura sociale o green.

Per le banche sarà inevitabile rispondere a tale richiesta e costruire prodotti e servizi ad hoc, orientando sempre più il loro modello di business alle logiche di sostenibilità. Sarà necessario che le banche siano parte attiva del cambiamento e affrontino nel miglior modo le loro sfide interne più complesse, come quelle di ri-organizzazione della loro struttura e di revisione dei loro modelli di business.