approfondimenti/regolazione
Quanto pesa la regolazione

Semplificare. Sburocratizzare. Flessibilizzare. Tutti bellissimi obiettivi. Ma alla prova dei fatti norme e regolamenti piazzano spesso dei pesanti fardelli sulle spalle degli operatori. Come insegna il caso delle nuove regole Ivass sui requisiti professionali degli intermediari assicurativi

Marco Tofanelli
Tofanelli

Il 3 aprile il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella ha detto che “nel settore delle assicurazioni c’è il problema di una regolazione che sembra fatta apposta per mantenere alti i costi. In questo campo non è che non ha funzionato la liberalizzazione, ma la regolazione del settore che speriamo sia modificata”.

A tale proposito, sia pure in un contesto di nicchia rispetto a quanto verosimilmente richiamato da Pitruzzella, penso possa essere utile richiamare il documento del 28 gennaio 2014, con cui l’Ivass ha posto in consultazione lo schema di regolamento sui requisiti professionali degli intermediari assicurativi e riassicurativi.

Tra le principali novità, la “piena equiparazione e integrale intercambiabilità dei corsi a distanza rispetto ai corsi in aula, al fine di favorire una maggiore flessibilità nelle scelte organizzative dei soggetti vigilati”, accompagnate – doverosamente – dalla “previsione di specifiche e più rigorose caratteristiche per la formazione a distanza”. Lo schema di regolamento “risponde all’esigenza di favorire il rafforzamento dei requisiti professionali” e “rafforza il ricorso ai mezzi telematici per la fruizione della formazione/aggiornamento” e “attraverso la piena equiparazione della formazione a distanza ai corsi in aula, persegue anche il fine di contenimento dei costi logistici e organizzativi”.

Sin qui, l’enunciato, finalità e valutazione d’impatto, pregevole senza dubbio, con la dovuta attenzione, appunto, ai costi. Poi, però, entrando nelle norme, nella regolazione, sorge qualche ragionevole dubbio, perché l’art. 7, sull’aggiornamento professionale, dispone che “i corsi in aula prevedono un numero massimo di partecipanti non superiore a 50 unità” (c.3, ultima parte) e che i corsi di aggiornamento “si concludono con lo svolgimento di un test di verifica” che può essere effettuato “esclusivamente in aula” (art. 8, c.1 e c.4).

Immaginiamo una banca che si avvalga di promotori finanziari, obbligatoriamente tenuti all’iscrizione presso il Registro e all’aggiornamento; immaginiamo una banca che si avvalga di 1.000 promotori finanziari. Dunque, se la banca volesse dedicare 30 ore delle 60 biennali (art. 7, c. 3) all’aggiornamento in aula, dovrebbe “organizzare” 40 aule annuali di 8 ore ciascuna, cui andrebbero aggiunte almeno (non ritenendo che l’obbligo del numero massimo di partecipanti di 50 unità valga anche per il test) 5 aule di verifica (presupponendo che tutti diano esito positivo), per un totale biennale di almeno 85 giornate. I multipli sono addirittura sconcertanti: per una “rete” di 4mila promotori finanziari, le giornate, il conto è presto fatto, sarebbero almeno 340, ossia 170 l’anno, praticamente quasi tutti i giorni lavorativi. La banca sarebbe quindi “obbligata”, per contenere i costi logistici e organizzativi, a privilegiare la modalità a distanza, con buona pace della flessibilità.

Infine, il test di verifica in sé: l’equiparazione tra aula e distanza “tracciabile”, svanisce? Ma, di più, quanti ordini professionali prevedono un test di verifica dall’aggiornamento dei propri iscritti? E siamo certi, ancora, che la previsione regolamentare sia sorretta dal dettato legislativo? Perché, a ben guardare, il legislatore ha tenuto appositamente distinti i casi in cui l’accesso alla professione di intermediario assicurativo sia condizionato al superamento di una “prova di idoneità” per l’accertamento del requisito di professionalità (art. 110, comma 2, del Cap), dai casi in cui invece non lo sia, essendo scientemente previsto in suo luogo il conseguimento di un “attestato con esito positivo relativo alla frequenza a corsi di formazione professionale” (art. 111, comma 4, del Cap).

La piena intercambiabilità, così come il contenimento dei costi logistici e la maggiore flessibilità nelle scelte organizzative, restano “buone intenzioni”.