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NOBEL PER L'ECONOMIA 2025
Quando le idee fanno crescere l’economia

Il Nobel 2025 per l’economia premia tre studiosi che hanno cambiato il modo di pensare la crescita: Aghion e Howitt, teorici della “distruzione creatrice” come motore dell’innovazione, e Mokyr, storico dell’economia che ha mostrato come le idee e la cultura possano trasformarsi in sviluppo. Insieme, le loro ricerche suggeriscono che l’economia cresce davvero solo quando l’innovazione incontra un ambiente culturale che la incoraggia

Paolo Giordani
Paolo-Giordani

Il Premio Nobel 2025 per l’economia è andato a Philippe Aghion, Peter Howitt e Joel Mokyr per aver contribuito a spiegare le determinanti di lungo periodo della prosperità economica.

Capire che cosa consenta a un Paese di intraprendere una traiettoria di crescita sostenuta è una delle grandi domande che attraversano la scienza economica, sin dai tempi de La ricchezza delle nazioni (1776) di Adam Smith. Come scrisse nel 1988 un altro premio Nobel, Robert Lucas: «Quando si comincia a riflettere su queste questioni, diventa difficile pensare ad altro».

Chi sono i vincitori

Il Premio è stato diviso in due parti uguali. La prima metà è andata ad Philippe Aghion e Peter Howitt. Aghion (al centro nella foto), francese del 1956, ha trascorso molti anni ad Harvard prima di rientrare in Europa, dove oggi insegna tra il Collège de France e la London School of Economics. Howitt (a destra nella foto), canadese, classe 1946, è professore emerito alla Brown University. I due iniziarono a collaborare alla fine degli anni Ottanta e i loro lavori sulla crescita guidata dall’innovazione, oggi pietre miliari della cosiddetta “teoria della crescita endogena”, sono quelli premiati dal Nobel.

L’altra metà è andata a Joel Mokyr (primo a sinistra nella foto), storico dell’economia americano-israeliano, nato nei Paesi Bassi nel 1946, a lungo professore alla Northwestern University di Chicago e oggi all’Università di Tel Aviv.

Aghion, Howitt e la forza schumpeteriana della distruzione creatrice

Aghion e Howitt si collocano nella tradizione di Robert Solow, per il quale il progresso tecnologico è il vero motore della crescita di lungo periodo. Ma ne rinnovano l’impianto: nei loro modelli, il progresso non è qualcosa che “cade dal cielo”, bensì nasce dalle decisioni e dagli investimenti delle imprese, che competono innovando.

È qui che entra in gioco la “distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter: ogni innovazione, introducendo nuovi (o migliori) prodotti o processi, rende obsoleti i precedenti e spinge fuori mercato le imprese che non riescono ad adattarsi. È una concorrenza dinamica, fondata sul cambiamento continuo.

Nel loro contributo più celebre, “A Model of Growth through Creative Destruction” (1992), Aghion e Howitt traducono questa intuizione in un modello teorico elegante, mostrando come la spinta al progresso derivi dalle scelte e dagli investimenti delle imprese, e non da fattori esterni o casuali. I loro studi hanno avuto un impatto profondo anche sul dibattito di politica economica, fornendo una cornice teorica per analizzare le politiche industriali, la concorrenza e gli incentivi all’innovazione.

Mokyr e le origini intellettuali del decollo economico

Se Aghion e Howitt guardano al motore interno della crescita, Mokyr sposta lo sguardo più indietro, alle radici storiche e culturali dello sviluppo moderno. Storico dell’economia e non economista “puro”, Mokyr mette al centro delle sue ricerche il ruolo delle idee come motore dello sviluppo.

Secondo Mokyr, la crescita non nasce soltanto dall’accumulazione di capitale o di lavoro, ma da un ecosistema intellettuale capace di valorizzare la curiosità, la sperimentazione e la libertà di pensiero. L’Europa del XVII e XVIII secolo seppe creare proprio questo terreno fertile: un ambiente in cui la conoscenza poteva circolare, il dibattito era aperto e le scoperte scientifiche trovavano applicazione pratica — la cosiddetta “Repubblica delle Lettere”.

L’interazione tra scienza e tecnica, sostenuta da istituzioni più inclusive e da una cultura dell’innovazione, rese possibile la trasformazione delle invenzioni in progresso economico. Ed è in questa chiave che Mokyr spiega perché l’Europa — e in particolare il Regno Unito — sia stata la culla della Rivoluzione Industriale, mentre altre aree del mondo, come la Cina o l’India, non conobbero lo stesso decollo.

È questo il contributo che gli è valso il Nobel: aver mostrato che la crescita economica è, prima ancora che un fatto materiale, un fenomeno culturale, radicato nel modo in cui una società produce e diffonde le idee. Con libri come The Lever of Riches e A Culture of Growth, Mokyr ha restituito alla storia economica la dimensione intellettuale del progresso.

Il futuro della crescita

Negli ultimi anni i Nobel per l’economia sono spesso stati attribuiti a studiosi vicini a temi di crescita e sviluppo: Paul Romer nel 2018 per la teoria della crescita basata sull’innovazione, Acemoglu, Johnson e Robinson nel 2024 per il legame tra istituzioni e sviluppo economico, e ora Aghion, Howitt e Mokyr.

C’è chi vi legge un ritorno d’interesse per la macroeconomia di lungo periodo — in barba a Paul Krugman, altro insigne premio Nobel, che in un articolo sul New York Times di poco più di dieci anni fa osservava, non senza una punta di ironico stupore, che la “nuova teoria della crescita” fosse praticamente scomparsa dal panorama della ricerca economica. Altri vi scorgono una reazione contro l’eccesso di empirismo che ha dominato la produzione scientifica degli ultimi anni.

Speculazioni accademiche a parte, una cosa è certa: le sfide cruciali del nostro futuro – dalla sostenibilità ambientale alle disuguaglianze, dall’intelligenza artificiale alle transizioni demografiche – passano inevitabilmente attraverso una migliore comprensione, storica e teorica, delle determinanti di lungo periodo della prosperità. Se uno o più premi Nobel servono a tenere accesi i riflettori su queste domande, sono più che benvenuti.

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