PRETESTI
Quando è legittimo contrastare le aggressioni

Dalla Carta delle Nazioni Unite al Trattato dell'Unione europea, dagli Accordi di Helsinki al Memorandum di Budapest, il sistema giuridico internazionale prevede l'intervento militare con finalità difensiva. Ecco, articolo per articolo, perché esso non confligge con il ripudio della guerra. Una risposta documentata a chi accusa l'intervento a fianco dell'Ucraina di essere una guerra "per procura"

Oliviero Pesce
Olivero-Pesce

1.  La guerra in corso tra l’Ucraina, che difende il proprio territorio e la propria libertà, e la Federazione russa, che la definisce impropriamente «operazione militare speciale», sia per minimizzarne la portata, sia per darle una parvenza di legittimità (la difesa dei russofoni del Donbass), mentre si tratta evidentemente di una guerra di aggressione, merita, per le implicazioni che essa ha per l’intero sistema giuridico internazionale e di conseguenza per l’Italia, un esame della nostra Costituzione e dei trattati internazionali da essa a più riprese richiamati.

Si cerca infatti di delegittimare, limitandosi a leggere le prime cinque parole dell’Articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra”) senza ulteriori esami, qualsiasi coinvolgimento italiano nella vicenda. E se numerosi Stati, e l’Italia, cercano di assistere l’Ucraina (a mio avviso in misura ben inferiore a quanto pattiziamente alcuni di essi sarebbero tenuti a fare, come vedremo meglio), si denigra quest’ultima, sostenendo che sta combattendo una guerra «per procura». Intendendo in realtà «per conto terzi», dacché le responsabilità del conflitto in corso ricadrebbero principalmente sull’allargamento a Est della NATO. Senza tenere in alcun conto i numerosi accordi firmati dalla Unione sovietica o dalla stessa Federazione russa (cui comunque si è consentito di succedere nelle principali organizzazioni multinazionali incluse le Nazioni Unite e il suo Consiglio di Sicurezza, FAO, Osce, WTO, Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale) a favore dell’Ucraina e della sua integrità territoriale.

Russia che successivamente, ciò nonostante, l’ha più volte attaccata. La Russia ha più volte combattuto, con alterni successi, paesi sovrani o invaso territori stranieri che, per aver fatto parte dell’Unione sovietica (se non della Rus’ o della Moscovia) ritiene appartengano  alla propria zona d’influenza, se non al proprio «Impero» (Georgia , Cecenia, Crimea, Donbass, per non parlare del sostegno militare dato ad altri autocrati in Kazakhstan, Bielorussia, in passato nella stessa Ucraina). L’Ucraina lotta forse, by default, per l’Occidente, ma innanzi tutto per difendere se stessa.                                                                                               

La nostra Costituzione viene anche invocata, indebitamente, per opporsi ad un incremento delle spese militari dell’Italia; incremento che rappresenta un impegno internazionale dell’Italia da più anni, previsto da Trattati, sottoscritto e confermato da tutti i precedenti presidenti del Consiglio, e dagli stessi variamente sconfessato quando non lo sono più. Posizione invero incomprensibile in tempore belli, quando si dovrebbe pensare a mettersi in grado di difendersi; ma le ambiguità dei nostri filo-putiniani – a parole pentiti – sono infinite.

2.  Centrale, sul tema della guerra, è l’articolo 11 della Costituzione che nasce dalla stessa temperie della Carta Atlantica, sottoscritta da F.D. Roosevelt e da W. Churchill nel 1941, cui si ispira anche la carta delle Nazioni Unite (NU), e che recita:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Limitazioni funzionali allo scopo di assicurare pace e giustizia, e cooperazione e parità tra stati sovrani, ma inconcepibili per i fautori di USA first (à la Trump), o di Russia first, buona terza la Cina, che appare, su questo fronte, più cauta. 

Ciò non implica affatto che né l’Italia, né le organizzazioni internazionali (o sovranazionali, come l’Unione Europea) rivolte ad assicurare la pace e la giustizia, debbano essere imbelli.

Infatti, non solo l’art. 52 della stessa Costituzione prevede che la difesa della Patria è [debba essere] sacro dovere del cittadino, e prevede che il servizio militare [sia] obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge – precisando che l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica – ma il successivo art. 78 prescrive che siano le Camere a deliberare lo stato di guerra e a conferire al Governo i poteri necessari, mentre il Presidente della Repubblica [Art. 87.9 ] ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

Nel complesso, quindi, la Costituzione legittima pienamente la guerra. Non certo la guerra di aggressione: ma i due termini non sono affatto sinonimi. L’art. 18.2, inoltre, riserva l’uso della forza e la possibilità di creare organizzazioni militari allo Stato, proibendo le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

Inquadrando la guerra [Art. 10.1] anche nella norma che prevede che:

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

3. Inoltre la Costituzione fa numerosi rinvii ai trattati internazionali (o sovranazionali) e ne regolamenta l’adesione da parte dell’Italia.  L’art. 72, prescrive, tra l’altro, che: la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia [omissis] di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [Art. 80], [omissis]. Mentre l’art.75 prevede che: non è ammesso il referendum [omissis] per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [Art. 80, che legge: Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica [eccetera]. Il Presidente della Repubblica, inoltre, (Art. 87.8)  [omissis] ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere [Art. 80]. Insomma, mentre per aderire a un trattato è necessaria l’approvazione delle Camere, una volta che ciò sia avvenuto l’accordo non può essere vanificato da un referendum.

4.  I principali trattati che riguardano la pace, e la guerra, cui l’Italia ha aderito, e che sono alla base della convivenza tra gli Stati, sono quelli che hanno istituito l’Organizzazione delle Nazioni Unite (NU); a livello regionale, per gli stati dell’Occidente, la NATO (North Atlantic Treaty Organization); a livello del nostro continente, l’Unione europea.

La Carta delle NU, adottata a San Francisco nel 1945 dai 51 membri iniziali, ma oramai da quasi tutti gli Stati, e ratificata dall’Italia nel 1957, afferma principi basilari del diritto internazionale, quali il rispetto reciproco tra Stati, l’integrità territoriale, la sovranità degli altri paesi, la non ingerenza negli affari interni altrui. Il preambolo della Carta delle Nazioni Unite legge:

Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli

Nella stessa Carta, gli  artt.1 e 2 ne definiscono i fini e i principi:

Art. 1: I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, e a questo scopo: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace; 2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione; 4. Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni.                                     

E all’articolo 2: L’Organizzazione ed i suoi Membri, nel perseguire i fini enunciati nell’art. 1, devono agire in conformità ai seguenti principi: 1. L’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri. 2. I Membri, allo scopo di assicurare a ciascuno di essi i diritti e i benefici risultanti dalla loro qualità di Membro, devono adempiere in buona fede gli obblighi da loro assunti in conformità al presente Statuto. 3. I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo. 4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. 5. I Membri devono dare alle Nazioni Unite ogni assistenza in qualsiasi azione che queste intraprendono in conformità alle disposizioni del presente Statuto, e devono astenersi dal dare assistenza a qualsiasi Stato contro cui le Nazioni Unite intraprendono un’azione preventiva o coercitiva.

Anche qui, si esclude l’impiego della «forza delle armi», salvo, tuttavia, che «nell’interesse comune» e si prevede espressamente che le Nazioni Unite possano agire contro alcuni Stati con «azioni preventive e coercitive» e possano [debbano] «reprimere» gli atti di aggressione e le altre violazioni della pace. Tali essendo le operazioni di pulizia etnica e i sistematici atti di terrorismo organizzato, la norma legittima – anche per l’Italia – gli interventi armati per scopi umanitari.

Anche ove si accedesse all’interpretazione secondo la quale l’art.11 della Costituzione della Repubblica Italiana consentirebbe la guerra solo per scopi difensivi, andrebbe interpretato in un’ottica assai ampia il concetto di «difensivo». Non si può restare indifferenti di fronte a patenti violazioni del diritto internazionale e di diritti inviolabili di Stati terzi e dei loro cittadini. Inoltre, la Carta prevede espressamente, all’articolo 51, che: 

Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione.

Come abbiamo visto, inoltre: l’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi Membri. Principio che dovrebbe escludere che, ove l’aggressore fosse uno dei membri del Consiglio di Sicurezza, esso possa opporre un veto alle azioni «preventive o coercitive» delle stesse Nazioni Unite o di altri Membri delle stesse che intervenissero per contrastare l’aggressione. E ciò, sia direttamente, sia, indirettamente, mediante la fornitura di armi, l’assistenza tecnologica, la consulenza sulla condotta delle operazioni, le iniziative di supporto a guerre condotte da altri, comprese le offerte di basi logistiche e di spazio aereo.

Inoltre, l’Articolo 52 1. della Carta prevede che: 

Nessuna disposizione del presente Statuto preclude l’esistenza di accordi od organizzazioni regionali per la trattazione di quelle questioni concernenti il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che si prestino ad un’azione regionale, purché tali accordi od organizzazioni e le loro attività siano conformi ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite

Con ciò legittimando tanto la NATO, quanto i connessi obblighi di autodifesa collettiva. Al punto di prevedere (all’art. 53 1.) che il Consiglio di Sicurezza utilizzi, se del caso, gli accordi o le organizzazioni regionali per azioni coercitive sotto la sua direzione.

5. Il North Atlantic Treaty (Trattato per il Nord Atlantico) venne concluso nel 1949 a Washington D.C. e ratificato dagli stati aderenti nello stesso anno. Basato sugli stessi principi delle Nazioni Unite prevede, all’Articolo 4, che le parti si consultino ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata. E all’Articolo 5 stabilisce che  le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.                                                                             

A seguito di numerosi allargamenti, i dodici membri iniziali sono divenuti trenta, e includono vari paesi che erano appartenuti al Patto di Varsavia o all’Unione sovietica (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Albania e Croazia).  Nel 1994, venne creato un Partenariato per la Pace, nell’ambito di un tentativo di avvicinamento tra i paesi NATO e i paesi dell’ex blocco sovietico, cui aderirono, a Est, oltre ai paesi citati sopra, la stessa Federazione Russa, nonché Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan. Esso comporta, anche per paesi europei che non fanno parte della Nato (Svezia, Finlandia, Svizzera), forme di cooperazione e scambio di informazioni con la NATO e i suoi membri.

6.  Anche il Trattato sull’Unione Europea (TUE), prevede, nella Sezione 2ª – Disposizioni sulla Politica di Sicurezza e di Difesa Comune – norme sull’impiego della forza. L’articolo 42 stabilisce, al paragrafo 1, che la politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune e assicura che l’Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari.

L’Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L’esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri. Il paragrafo successivo (2.) stabilisce che la politica di sicurezza e di difesa comune comprende la graduale definizione di una politica di difesa comune dell’Unione. Questa condurrà a una difesa comune quando il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, avrà così deciso. In questo caso, il Consiglio europeo raccomanda agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali.

La politica dell’Unione a norma della presente sezione non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri, rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), nell’ambito del trattato dell’Atlantico del Nord, ed è compatibile con la politica di sicurezza e di difesa comune adottata in tale contesto.

Inoltre (3.), gli Stati membri mettono a disposizione dell’Unione, per l’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune, capacità civili e militari per contribuire al conseguimento degli obiettivi definiti dal Consiglio. Gli Stati membri che costituiscono tra loro forze multinazionali possono mettere anche tali forze a disposizione della politica di sicurezza e di difesa comune. Gli Stati membri s’impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari. L’Agenzia nel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione e degli armamenti (in appresso denominata «Agenzia europea per la difesa») individua le esigenze operative, promuove misure per rispondere a queste, contribuisce a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipa alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e assiste il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari.

Le decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune (4.), comprese quelle inerenti all’avvio di una missione, sono adottate dal Consiglio, che delibera all’unanimità su proposta dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza o su iniziativa di uno Stato membro. L’alto rappresentante può proporre il ricorso sia ai mezzi nazionali sia agli strumenti dell’Unione, se del caso congiuntamente alla Commissione. (5.) Il Consiglio può affidare lo svolgimento di una missione, nell’ambito dell’Unione, a un gruppo di Stati membri allo scopo di preservare i valori dell’Unione e di servirne gli interessi. Lo svolgimento di detta missione è disciplinato dall’articolo 44.

Gli Stati membri (6.) che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno sottoscritto impegni più vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative instaurano una cooperazione strutturata permanente nell’ambito dell’Unione. Detta cooperazione è disciplinata dall’articolo 46. Essa lascia impregiudicato l’articolo 43. (7.) Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.

Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito dell’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza di attuazione della stessa. I successivi Articoli 43 e 44 regolamentano le missioni di cui all’articolo 42, paragrafo 1, nelle quali l’Unione può ricorrere a mezzi civili e militari, e che comprendono le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti. Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio, delegando al Consiglio le decisioni relative alle missioni, stabilendone l’obiettivo, la portata e le modalità generali di realizzazione. L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, sotto l’autorità del Consiglio e in stretto e costante contatto con il comitato politico e di sicurezza, provvede a coordinare gli aspetti civili e militari di tali missioni.

Nel quadro delle decisioni adottate, il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale missione. Tali Stati membri, in associazione con l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, si accordano sulla gestione della missione. Gli Stati membri che partecipano alla realizzazione della missione informano periodicamente il Consiglio dell’andamento della missione e investono immediatamente il Consiglio della questione se la realizzazione di tale missione genera conseguenze di ampia portata o se impone una modifica dell’obiettivo, della portata o delle modalità della missione stabiliti nelle decisioni di cui al paragrafo 1.

A mente dell’Articolo 45, l’Agenzia europea per la difesa, e posta sotto l’autorità del Consiglio, ha il compito di: a) contribuire a individuare gli obiettivi di capacità militari degli Stati membri e a valutare il rispetto degli impegni in materia di capacità assunti dagli Stati membri; b) promuovere l’armonizzazione delle esigenze operative e l’adozione di metodi di acquisizione efficienti e compatibili; c) proporre progetti multilaterali per il conseguimento degli obiettivi in termini di capacità militari e assicurare il coordinamento dei programmi attuati dagli Stati membri e la gestione di programmi di cooperazione specifici; d) sostenere la ricerca nel settore della tecnologia della difesa, coordinare e pianificare attività di ricerca congiunte e studi per delineare le soluzioni tecniche che rispondono alle esigenze operative future; e) contribuire a individuare e, se del caso, attuare qualsiasi misura utile per potenziare la base industriale e tecnologica del settore della difesa e per migliorare l’efficacia delle spese militari. L’Agenzia europea per la difesa è aperta a tutti gli Stati membri che desiderano parteciparvi.

Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta una decisione che fissa lo statuto, la sede e le modalità di funzionamento dell’Agenzia. Detta decisione tiene conto del grado di partecipazione effettiva alle attività dell’Agenzia. Nell’ambito dell’Agenzia sono costituiti gruppi specifici che riuniscono gli Stati membri impegnati in progetti congiunti. L’Agenzia svolge i suoi compiti in collegamento con la Commissione, se necessario. Articolo 46 1. Gli Stati membri che desiderano partecipare alla cooperazione strutturata permanente di cui all’articolo 42, paragrafo 6, e che rispondono ai criteri e sottoscrivono gli impegni in materia di capacità militari specificati nel protocollo sulla cooperazione strutturata permanente notificano la loro intenzione al Consiglio e all’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. 

Questo insieme di norme esplicita chiaramente gli impegni cui gli stati membri sono tenuti, incluso quello di rafforzare le proprie capacità militari e di renderle adeguate al contrasto delle minacce cui l’Unione può trovarsi esposta, se così previsto da alcuni stati membri anche tramite la NATO. Anche se la politica interna tende, in alcune sue componenti, a non considerare obblighi dello Stato quello di adeguarsi a decisioni assunte congiuntamente. È sgradevole dover constatare, dopo anni di coordinamento in ambito NATO, che si lamenti che lo stato di una eventuale difesa europea sia tuttora assai arretrato, e che i vari sistemi nazionali non siano sufficientemente integrati. 

7.  E veniamo all’aggressione dell’Ucraina. Come abbiamo visto, l’art.2, paragrafo 4, della Carta delle NU, considera illeciti la minaccia e l’uso della forza armata «contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato», mentre l’art.51 garantisce « la difesa individuale e collettiva come diritto naturale di ogni stato a resistere a un’aggressione». L’intervento militare della Russia ne è una evidente violazione.                   

Ulteriori violazioni riguardano gli Accordi di Helsinki del 1975, contenuti nell’’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, Conferenza svoltasi a Helsinki nel luglio e agosto del 1975. La dichiarazione venne firmata da trentacinque stati, tra cui gli USA, l’URSS, il Canada e tutti gli stati europei tranne Albania e Andorra, e costituì un tentativo di miglioramento delle relazioni tra il blocco comunista e l’Occidente. Nell’Atto Finale sono compresi obblighi giuridici inderogabili, richiamati in alcuni titoli: “I. Eguaglianza sovrana, rispetto dei diritti inerenti alla sovranità; II. Non ricorso alla minaccia o all’uso della forza; III. Inviolabilità delle frontiere; IV. Integrità territoriale degli Stati; V. Risoluzione pacifica delle controversie VI. Non intervento negli affari interni.  VII. Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo. VIII. Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli. IX. Cooperazione fra gli stati. X. Adempimento in buona fede degli obblighi di diritto internazionale.

Con il Memorandum di Budapest, del 1994, l’Ucraina accettò di rinunciare alle armi nucleari che aveva ereditato in seguito alla dissoluzione dell’URSS, aderendo al Trattato di non proliferazione. Le testate nucleari (1.900) furono di conseguenza inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni. In cambio, l’Ucraina ottenne assicurazioni da Russia, Stati Uniti e Regno Unito, e successivamente anche da Cina e Francia, per la sua sicurezza, indipendenza ed integrità territoriale. In particolare l’accordo impegnava la Russia a rispettare l’indipendenza e la sovranità della Ucraina entro i suoi confini di allora; ad astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’Ucraina; ad astenersi dall’utilizzare pressioni economiche sull’Ucraina per influenzarne la politica; ad astenersi dall’usare armi nucleari contro l’Ucraina e a «sollecitare un’azione immediata del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza» in caso di un «atto di aggressione» contro il Paese. USA e Russia confermarono le rassicurazioni nel 2009, già in carica Putin.

Queste plateali e reiterate violazioni di accordi che impegnano la Federazione Russa, nell’ambito delle NU e, successivamente, nel 1975, nel 1994 e nel 2009, alcuni riguardanti specificamente l’Ucraina, e in particolare l’impegno a «sollecitare un’azione immediata del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fornire assistenza» in caso di un «atto di aggressione» contro il Paese, da un lato dovrebbero impedire alla Russia di interloquire in qualsiasi forma alle NU sull’aggressione, e dall’altro ci pare consenta a tutti gli Stati Membri delle NU e imponga ai «garanti» degli accordi di Helsinki e di Budapest di intervenire, e non solo indirettamente, a difesa dell’Ucraina e legittimi qualsiasi intervento militare «proporzionato». Altrimenti le «garanzie», e gli obblighi di solidarietà, come più volte ha lamentato da Kiev, già dal momento dell’invasione della Crimea, sarebbero vuoti di contenuto. Anche se per la Crimea c’era forse qualche giustificazione alla base delle pretese russe: essa era una repubblica autonoma, denominata tra il 1992 e il 1995 Repubblica di Crimea; il suo primo ministro ne era il presidente; il 6 marzo 2014, nel quadro dell’intervento russo, si dichiarò indipendente, e il 18 marzo 2014, a seguito di un referendum (sia pure non riconosciuto dalla comunità internazionale) le autorità locali firmarono l’adesione alla Federazione Russa; e infine l’Ucraina aveva ricevuto la Crimea, quando faceva parte dell’URSS, per graziosa donazione di Kruscev. Nessuna di tali giustificazioni può riguardare l’aggressione in corso nei confronti dell’intero paese.

8. E torniamo in Italia. Oltre a tutte le considerazioni avanzate, se non bastasse a legittimare i nostri interventi l’appartenenza alle NU, alla NATO e all’UE, va ricordato che essi sono implicitamente richiamati dall’art.2 della Costituzione che statuisce che:

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 

Gli ucraini, e il loro paese, fanno parte  di alcune delle «formazioni» cui appartengono anche l’Italia e gli italiani, e ciò impone, a nostro carico, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale che ne discendono. Il ripudio della guerra va visto anche nell’ottica della difesa di questi diritti. A difesa della integrità, anche morale, del nostro paese.