Con sentenza del 22-03-2019 n. 12777 la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che le operazioni di finanziamento in pool, realizzate da un istituto di credito autorizzato in Italia con la partecipazione "maggioritaria" di un istituto di credito straniero non autorizzato all'esercizio dell'attività bancaria in Italia, integrano il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria
Il finanziamento in pool (come analiticamente descritto nel contributo L. Esposito, “La latitudine dei prestiti sindacati tra sicurezza giuridica e tutela del mercato: vecchi problemi e nuove soluzioni” pubblicato sul numero 5-6/2020 di Rivista Bancaria) consiste di un’operazione di approvvigionamento di risorse finanziarie con obbligo di rimborso da parte del prenditore.
Queste operazioni ricorrono solitamente quando l’entità della somma richiesta dal borrower impedisce ad un solo finanziatore di concederla; in queste ipotesi due o più banche si accordano per l’erogazione del finanziamento, coordinate da una banca capofila (definita agent, o agente delle finanziatrici, all’interno dei contratti di finanziamento) incaricata di gestire i rapporti con il mutuatario e di adempiere ai relativi oneri amministrativi.
I finanziamenti in pool assolvono ad un duplice scopo: da un lato, il mutuatario riesce ad ottenere, generalmente in tempi ridotti, un prestito di importo superiore al potenziale creditizio di un singolo istituto di credito; dall’altro lato i mutuanti che partecipano al pool assumono l’investimento (e il relativo rischio) pro quota e senza vincolo di solidarietà, a fronte di tassi di interesse redditizi.
Con sentenza del 22-03-2019 (ud. 16-03-2018), n. 12777 la quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che le operazioni di finanziamento in pool, realizzate da un istituto di credito autorizzato in Italia con la partecipazione “maggioritaria” di un istituto di credito straniero non autorizzato all’esercizio dell’attività bancaria in Italia, integrano il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all’articolo 132 T.U.B., pronunciandosi sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna in data 29 novembre 2017.
La sentenza in oggetto costituisce l’occasione per riflettere sui più rilevanti profili critici relativi alla fattispecie dei finanziamenti in pool (anche noto come prestito sindacato, dalla corrispondente definizione inglese syndicated loan) in relazione all’esercizio abusivo di attività finanziaria, le cui regole applicative devono coniugare la tutela del prenditore e la valutazione dell’opportunità dell’ingresso nel mercato del credito di istituti non italiani che consentano la possibilità di ampliare l’offerta di credito.
La decisione in commento, nel confermare un orientamento consolidato in giurisprudenza, e ormai prevalente in dottrina, offre l’occasione per ragionare su alcune interessanti questioni problematiche, tra loro connesse da un vincolo funzionale: da un lato, il mercato italiano richiede la necessaria partecipazione, anche solo sotto forma di liquidità, di operatori del credito non nazionali; dall’altro, si ravvisa il necessario controllo delle Autorità Indipendenti sul corretto funzionamento del sistema bancario e finanziario nazionale.
La necessità di ampliare l’offerta finanziaria del mercato del credito italiano è ancora più significativamente rilevante in considerazione della diffusione dell’emergenza dettata dalla pandemia da COVID-19. Sembra quindi opportuno domandarsi se, e come, i finanziamenti sindacati possano essere strumento utile per l’assistenza alle PMI.
Ebbene, considerato che in uno scenario di crisi il rischio che un’impresa non adempia agli obblighi di restituzione dei finanziamenti ricevuti dagli istituti di credito è più alto che in un’economia “stabile”, oggi la diversificazione del rischio è forse ancora più utile e preferibile che in passato. Diversificazione che può essere realizzata, inter alia, attraverso l’erogazione di finanziamenti in pool, che, consentono allo stesso istituto di credito di partecipare a più operazioni, prestando denaro a più imprese e conseguentemente ridurre il rischio di subire danni ingenti con una singola erogazione non rimborsata.
La pronuncia della Suprema Corte ha identificato gli elementi utili a sintetizzare e discernere, tra le operazioni in pool italiane con partecipazione di banche non autorizzate, quelle lecite da quelle illecite.
La sentenza de qua non deve però essere interpretata nel senso che ognuna delle suddette operazioni di finanziamento in pool, che preveda una mera ripartizione del rischio tra banche partecipanti italiane ed estere, o che sia internamente articolata secondo lo schema del mandato senza rappresentanza integri, per ciò solo, una condotta tipica del reato di abusiva attività finanziaria con riguardo alla banca/banche non autorizzata/e.
I criteri forniti dagli ermellini sembrano delineare, al contrario, una fattispecie di reato tipica che deve essere sussunta ad ogni singolo caso concreto al fine di verificare l’eventuale violazione della norma.
Inoltre, la Corte ha fornito uno schema identificativo della fattispecie di reato piuttosto ampia, includendovi «attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma».
Fornendo una così ampia definizione della fattispecie di reato, che non si limita all’erogazione diretta di finanziamenti, ma include appunto i prestiti sotto qualsiasi forma, potrebbero ritenersi perciò solo inclusi, tra gli altri, anche i finanziamenti erogati da un istituto di credito straniero attraverso l’emissione di strumenti finanziari da parte di una società bisognosa di liquidità che potrebbero rappresentare un’alternativa valida ai finanziamenti in pool.
In realtà, ove anche non fosse intervenuta la Suprema Corte con la pronuncia in commento, definendo la fattispecie di reato di cui all’articolo 132 T.U.B., e quindi stabilendo gli “indici sintomatici” della stessa, dovrebbe comunque ritenersi esclusa la possibilità di sostituire completamente i finanziamenti sindacati alle imprese con i prestiti obbligazionari, almeno per un’altra ragione.
Il prestito obbligazionario infatti deve considerarsi un atto di “finanza tendenzialmente straordinaria” in quanto incide sensibilmente nella struttura finanziaria della società, tanto da determinare un vincolo su una parte del patrimonio netto che, diversamente, sarebbe nella disponibilità dei soci.
Inoltre, con l’emissione di un prestito obbligazionario si crea ex lege un nuovo gruppo di soggetti che, destinando stabilmente capitali all’esercizio dell’impresa, si inseriscono nell’organizzazione della società, e cui sono attribuiti taluni poteri che, seppur meno penetranti di quelli dei soci, riguardano lo svolgimento dell’attività di impresa al cui finanziamento essi concorrono. È esclusa quindi la possibilità di sopperire all’esigenza di liquidità delle imprese attraverso l’emissione di prestiti obbligazionari (società per azioni e in accomandita per azioni), ovvero titoli di debito (società a responsabilità limitata) sottoscritti da istituti di credito non autorizzati in Italia.
Dimostrata invece l’importanza della diversificazione del rischio, attraverso l’erogazione dei prestiti sindacati, atteso il necessario rispetto dei criteri evidenziati nella sentenza, per non incorrere nel reato di cui all’articolo 132 T.U.B., l’alternativa percorribile per gli operatori stranieri resta quella di operare attraverso succursali, ovvero di ottenere la licenza per lo svolgimento dell’attività bancaria in Italia.
In ogni caso si evidenzia come la Suprema Corte abbia espresso una valutazione sicuramente positiva in relazione al fenomeno economico del finanziamento in pool, che ben coniuga le esigenze degli operatori moderni di fornire liquidità e di diversificare il rischio economico. Infatti, pur rimanendo forte l’esigenza di liquidità delle imprese italiane, con o senza l’intervento di capitali stranieri, la necessità di tutela di queste ultime, attraverso la subordinazione, anche agli operatori esteri, a norme di trasparenza e vigilanza imposte dalle Autorità Indipendenti, deve essere letta come garanzia fondamentale, che la giurisprudenza da un lato, e il legislatore dall’altro, non possono ignorare e che anzi devono necessariamente proteggere. In questo senso si ritiene opportuno il bilanciamento tra i benefici che l’operatore straniero può apportare al mercato nazionale, soprattutto in un’economia di crisi, e alla stabilità del mercato finanziario.
In altri termini, deve apprezzarsi lo sforzo interpretativo compiuto dai giudici di legittimità che, cogliendo le sfumature della fattispecie di reato, sono riusciti a ben comprendere le esigenze del mercato e, non limitandosi ad una mera lettura della norma, orienterà i giudici di merito in futuro, avendo fornito elementi costitutivi specifici entro i quali si possa ritenere realizzata la fattispecie de qua.