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Quali sono gli OICR che tutelano gli investitori dal Bail-in?

In un momento in cui regna grande incertezza, non solo fra i risparmiatori, ma anche fra i tecnici, sui rischi di bail-in con riferimento alle forme di investimento collettivo maggiormente diffuse, merita attenzione la Nota di chiarimento diffusa dalla Banca d’Italia lo scorso 1° febbraio.

Simone Foti
Foti

L’Organo di vigilanza ha risposto a una serie di quesiti posti dall’Assogestioni proprio in merito all’applicabilità del bail-in alle disponibilità liquide depositate da una SGR presso una banca poi sottoposta a risoluzione.

Tra le risposte ai quesiti dell’Associazione, rileva la non assoggettabilità dei Fondi Comuni di Investimento al bail-in. Infatti, ad avviso dell’Autorità, tutte le disponibilità liquide di un Fondo Comune di Investimento, sia esso un OICVM ovvero un Fondo di Investimento Alternativo, che siano state affidate ad un depositario sottoposto a risoluzione non sono assoggettate al bail-in, indipendentemente dalle finalità per le quali tali disponibilità siano state affidate al medesimo.

La ratio normativa di tale soluzione interpretativa è da individuarsi nel Titolo III del TUF “Gestione Collettiva”, ed esattamente all’interno del comma 4, dell’articolo 36, che consacra il c.d. principio di separatezza patrimoniale dei Fondi Comuni di Investimento. In forza di tale principio il patrimonio del Fondo, in quanto autonomo rispetto al patrimonio della società di gestione del risparmio, a quello di ciascun partecipante, nonché a ogni patrimonio gestito dalla stessa società, non può costituire oggetto di azioni da parte dei creditori della società di gestione o nell’interesse della stessa, né di azioni da parte dei creditori del depositario o sub-depositario o nell’interesse dei medesimi.

Una tutela piena ed analoga a quella attribuita ai Fondi Comuni di Investimento nell’ambito della gestione collettiva del risparmio è stata riconosciuta, in tema di gestioni patrimoniali, ad alcuni soggetti abilitati, diversi da una banca, che svolgono il servizio di gestione di portafogli, inteso come servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi.

Infatti, ad avviso dell’Autorità, non sono assoggettate al bail-in nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafogli:

  1. le disponibilità liquide consegnate dalla clientela ad un soggetto abilitato diverso da una banca (ad esempio: SGR, SIM, Intermediari ex art. 106 TUB), poi posto in risoluzione. Ciò indipendentemente dalla circostanza che tali somme siano state detenute direttamente dal soggetto medesimo ovvero affidate da quest’ultimo a terzi;
  2. le disponibilità liquide consegnate dalla clientela ad un soggetto abilitato diverso da una banca e affidate da tale soggetto ad un depositario poi posto in risoluzione.

L’iter logico seguito dall’Autorità è il medesimo di quello sopra rappresentato con riferimento ai Fondi Comuni di Investimento.

L’Autorità ha, infatti, fatto leva sull’articolo 22 del TUF che replica, per i soggetti che svolgono i servizi e le attività di investimento, il medesimo principio della separatezza patrimoniale previsto per i Fondi Comuni di Investimento dal citato articolo 36, comma 4. Infatti, come previsto per le somme consegnate dai clienti alla società di gestione, in forza dell’art. 22 del TUF, anche le somme di denaro affidate dai clienti ai soggetti abilitati alla prestazione dei servizi ed attività di investimento (diversi da una banca), in quanto patrimonio distinto rispetto a quello dell’intermediario e a quello degli altri clienti, non possono costituire oggetto di azioni da parte dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi, né di azioni da parte dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario o nell’interesse dei medesimi.

Viceversa restano assoggettate al bail-in, non godendo, pertanto, di alcuna tutela:

  1. le disponibilità liquide di OICR diversi dai Fondi Comuni di Investimento (SICAV e SICAF) affidate a un depositario posto in risoluzione;
  2. le somme di denaro ricevute da una banca nella prestazione di servizi di investimento e accessori, in caso di risoluzione di quest’ultima.

Relativamente al punto a), il discrimen rispetto alla piena tutela prevista per i Fondi Comuni di Investimento risiede, come precisato dall’Autorità, nel carattere eccezionale e, pertanto, non suscettibile di estensione analogica, delle disposizioni sopra richiamate e nello specifico del comma 4, dell’articolo 36 del TUF, che sancisce l’autonomia patrimoniale esclusivamente a beneficio dei Fondi Comuni di Investimento.

È chiaro, come evidenziato dalla stessa Autorità, che l’attuale disciplina tutela in modo differente il genus “OICR italiani” costituito – ai sensi della lettera l), comma 1, articolo 1, del TUF – dai Fondi Comuni di Investimento, dalle SICAV e dalle SICAF.

Inoltre, una tale differenziazione di tutela, se da un lato potrebbe trovare una giustificazione per le sole SICAF e SICAV autogestite, tenuto conto della possibilità per gli investitori/azionisti di poter incidere sull’attività di investimento dell’OICR stesso (anche se la prassi operativa dimostra la presenza di limitazioni contrattuali negli accordi di investimento che circoscrivono solamente ad alcuni soggetti la possibilità di intervenire nel processo decisionale di investimento), dall’altro certamente non troverebbe alcuna ragion d’essere per le SICAF e SICAV etero-gestite che presentano una struttura analoga a quella dei Fondi Comuni di Investimento con la presenza di un gestore esterno (GEFIA/SGR) al quale viene attribuita in via esclusiva l’attività di gestione della SICAF/SICAV (FIA/Fondo).

Relativamente al punto b), una disciplina con tutele differenziate si rinviene anche con riferimento ai servizi di investimento e accessori. Infatti, come sopra evidenziato, si ha un’assenza di tutela del cliente per le somme da questi consegnate ad una banca nella prestazione dei servizi di investimento in caso di risoluzione di quest’ultima. Ciò, ad avviso dell’Autorità, anche in tal caso, è da collegarsi al carattere eccezionale dell’articolo 22 del TUF, che sancisce l’autonomia patrimoniale esclusivamente per le somme di denaro consegnate dai clienti a taluni soggetti abilitati alla prestazione dei servizi di investimento, quali ad esempio le SGR, le SIM, gli Intermediari ex art. 106 TUB, ad esclusione delle banche.

Alla luce di quanto detto ed in attesa dell’auspicato intervento dell’Autorità volto a risanare le disparità di trattamento dalla stessa evidenziate con riferimento all’attuale quadro normativo vigente, solamente i risparmiatori che investono i loro denari in un Fondo Comune di Investimento, ovvero li affidano ad un soggetto abilitato alla prestazione dei servizi di investimento diverso da una banca, godono di una piena tutela.

Un’ultima considerazione, anche se non ha costituito oggetto d’attenzione diretta da parte dell’Autorità, merita la tematica concernente la salvaguardia della liquidità propria del gestore (SGR/GEFIA), soprattutto alla luce del recente intervento novellatore della stessa Autorità, del 23 dicembre 2016, sul Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio.

Si tratta, in particolare, della liquidità di cui il gestore deve disporre per ottemperare alla richiesta del Legislatore di far fronte al requisito minimo di vigilanza e che ai sensi del Titolo II, Capitolo V, Sezione V, paragrafo 2, del Regolamento sulla Gestione Collettiva del Risparmio, deve essere investita in attività liquide o in strumenti finanziari altamente liquidabili, quali: (i) depositi presso una banca autorizzata in Italia, (ii) in titoli di debito qualificati, (iii) in parti di OICR, inclusi quelli gestiti, il cui regolamento di gestione preveda esclusivamente l’investimento in titoli di debito qualificati o in OICVM del mercato monetario ovvero (iv) in parti di OICVM monetari, inclusi quelli gestiti.

In particolare, prima dell’intervento novellatore, i gestori dovevano investire l’interno patrimonio minimo di vigilanza nelle attività liquide o negli strumenti finanziari altamente liquidabili di cui sopra. Con le modifiche del 23 dicembre 2016, invece, per i GEFIA sotto-soglia, tale obbligo è stato ridotto dal 100% al 20%.

Per comprendere in modo più agevole quanto detto, procediamo con un facile esempio: oggi una SGR di medie dimensioni “sotto-soglia” con un requisito minimo di patrimonio di vigilanza di 600 mila euro avrebbe l’obbligo di tenere liquido o facilmente liquidabile almeno il 20% dello stesso, ossia 120 mila euro. Tale importo, laddove la SGR decidesse di depositarlo su un conto corrente o conto deposito, sarebbe soggetto al rischio di bail-in per un ammontare pari a 20 mila euro, ossia l’eccedenza rispetto all’ammontare garantito di 100 mila euro da parte del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.

Replicando lo stesso esempio su una SGR sopra-soglia che gestisce esclusivamente FIA riservati a investitori professionali, maggiore sarebbe l’ammontare sottoposto al bail-in, infatti, in tal caso non trovando applicazione il novellato limite del 20 %, la stessa sarebbe esposta per un ammontare di 500 mila euro.

Alla luce di tali ultime considerazioni, sarebbe opportuno che gli intermediari attuassero procedure volte a garantire un’efficace diversificazione della liquidità obbligatoria corrispondente al patrimonio minimo di vigilanza, investendo la stessa ad esempio negli strumenti finanziari di cui ai punti sopra ii)iii)iv), ovvero ripartendo la liquidità (in tranche inferiori a 100 mila euro) in depositi presso diversi istituti di credito. Ciò al fine di evitare di incorrere in rischi di scopertura in situazioni di possibili problemi della banca.

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