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Qualche previsione in attesa della riforma del credito cooperativo

Il sistema nazionale del credito cooperativo sta vivendo un periodo di particolare criticità che rischia di minarne le fondamenta. Da un lato, infatti, le banche di credito cooperativo hanno risentito della lunga fase congiunturale negativa che ha segnato profondamente il tessuto produttivo locale. Dall’altro, le BCC competono in un contesto divenuto sempre più competitivo, confrontandosi con un framework normativo e di vigilanza sempre più rigoroso e sovranazionale. In questo quadro si inserisce la riforma in via di definizione, che nasce sia da pressioni esterne che da criticità interne al sistema del credito cooperativo, e che mira a renderlo effettivamente più moderno, efficiente, solido e integrato. Gli obiettivi della riforma richiedono modifiche normative e soluzioni organizzative originali ed efficaci, che lascino il necessario spazio di autodeterminazione al sistema del credito cooperativo, coinvolgendone le diverse componenti e favorendo un clima di condivisione e partecipazione. Il successo di questa riforma non dipenderà esclusivamente da come sarà accolta ed applicata dal sistema del credito cooperativo, ma anche dalle necessarie azioni di accompagnamento che il Governo e le Autorità di vigilanza dovranno adottare.

Vincenzo Pacelli
Pacelli

Parafrasando Alessandro Manzoni nella celebre presentazione di don Abbondio, uno dei personaggi principali de “ I promessi sposi”, il sistema del credito cooperativo italiano corre il rischio di divenire nel prossimo futuro “[…] in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro ”. Nel corso dell’ultimo quinquennio, infatti, le banche di credito cooperativo (BCC) italiane hanno risentito della lunga fase congiunturale negativa che ha segnato profondamente il tessuto produttivo locale e, pur restando mediamente solide da un punto di vista patrimoniale, hanno dovuto registrare in media un significativo ridimensionamento, dimensionale e operativo, oltre che il deterioramento della qualità del proprio portafoglio crediti. Ciò, in aggiunta ai tradizionali ostacoli del sistema ad approvvigionarsi di capitali sul mercato e alle inefficienze nella governance di molte BCC, rischia di minare in futuro le fondamenta del sistema del credito cooperativo nazionale, chiamato a competere in un contesto divenuto sempre più competitivo e a confrontarsi con un framework normativo e di vigilanza sempre più rigoroso e sovranazionale. In questo quadro, la prossima riforma del credito cooperativo giunge quanto mai opportuna e non più rinviabile, al fine di evitare che le BCC italiane si trasformino appunto in “ vasi di terra cotta” al cospetto di “ molti vasi di ferro ”.

Nel momento in cui scriviamo resta però ancora da capire quale sarà l’opzione normativa che il Governo deciderà di adottare e quindi se questa si rivelerà effettivamente la migliore soluzione possibile per rendere il sistema del credito cooperativo italiano effettivamente più moderno, efficiente, solido e integrato. In particolare, al momento, non si sa se il Governo deciderà di sposare il progetto di autoriforma proposto da Federcasse e quindi dare vita a un modello di gruppo cooperativo paritetico, con una capogruppo costituita in forma di S.p.A., che eserciterebbe i poteri di indirizzo strategico, direzione, coordinamento e controllo e il cui capitale sia detenuto per almeno un terzo dalle BCC aderenti al gruppo su base contrattuale più che partecipativa. Le BCC manterrebbero, quindi, la propria autonomia gestionale, seppur limitata e modulata in base al proprio differente grado di virtuosità. Una soluzione alternativa, sebbene al momento poco probabile – ma tuttavia non da escludere –, potrebbe seguire il modello francese di Crédit Agricole, in cui le banche locali hanno però perso da tempo la propria autonomia e la propria personalità giuridica e si sono trasformate in semplici filiali che rispondono esclusivamente alle diverse casse regionali, che poi a loro volta fanno riferimento alla capogruppo.

E’ possibile innanzitutto riassumere le motivazioni di questa riforma in due macrocategorie, peraltro fra loro strettamente connesse, ovvero le pressioni esterne al sistema e le criticità interne dello stesso. Se da un lato, infatti, questa riforma nasce da una necessità di integrazione del sistema per rispondere alle più stringenti regole della vigilanza europea, d’altro canto, è sotto gli occhi di tutti che vi siano anche diverse criticità interne al sistema del credito cooperativo nazionale che hanno enfatizzato l’urgenza di una riforma. Ci si riferisce, in tal senso, alle difficoltà organizzative e gestionali interne palesate da molte BCC, aggravate dalle evidenti criticità che caratterizzano gli assetti di governance, ai problemi di coordinamento fra strutture centrali e periferiche e alle necessità di razionalizzazione, efficienza e stabilità del sistema stesso.

Diversi e ambiziosi sono inoltre gli obiettivi che questa riforma si prefigge, ovvero: (i) la necessità di favorire la patrimonializzazione del sistema, eliminando gli attuali ostacoli alla raccolta di capitali sul mercato; (ii) la qualificazione professionale di manager e amministratori; (iii) una maggiore efficienza organizzativa e gestionale interna del sistema; (iv) il rinnovamento e l’ampliamento della compagine sociale; (v) la salvaguardia e la valorizzazione del principio mutualistico oltre che del prezioso capitale relazionale delle BCC nei confronti del territorio; (vi) l’eliminazione delle inefficienze insite nell’attuale configurazione di rete del credito cooperativo, ponendo le premesse per ridurre quindi i costi operativi; (vii) l’accrescimento della qualità e l’ampliamento della gamma dell’offerta alla clientela; (viii) un maggiore rigore nei controlli interni e nella gestione dei rischi.

E’ chiaro che questi ambiziosi obiettivi richiedono modifiche normative e soluzioni organizzative originali ed efficaci, che lascino inoltre il necessario spazio di autodeterminazione al sistema del credito cooperativo, coinvolgendo le diverse componenti dello stesso e favorendo quindi un clima di condivisione e partecipazione ed eliminando il rischio che prevalga invece un senso di disorientamento e disaffezione da parte dei manager, dei dipendenti e della base sociale, ovvero da parte di chi dovrà promuovere, spiegare, attuare e valutare questa riforma, sancendone quindi il successo o il fallimento.

Questa riforma promette quindi di produrre diversi e significativi effetti positivi nel settore del credito cooperativo italiano, laddove però si riescano a prevenire o comunque a gestire efficacemente le criticità che dovessero sorgere nella fase applicativa. Da un lato, infatti, la riforma dovrebbe aprire le porte alla possibilità di finanziarsi sul mercato dei capitali, rafforzare la solidità patrimoniale del sistema e renderne più moderne ed efficienti la governance e l’organizzazione interna, con effetti che sarebbero inevitabilmente positivi anche sulla reputazione complessiva del sistema oltre che delle singole BCC. D’altro canto, però, non vanno sottovalutate le possibili criticità che potrebbero palesarsi nella delicata fase di applicazione della riforma e che potrebbero pregiudicarne il successo. In tal senso, innanzitutto, occorrerà prevenire o, comunque, gestire, condividendo e spiegando la ratio e gli effetti benefici della riforma, il rischio di insoddisfazione e disaffezione da parte di amministratori, manager, dipendenti e base sociale, che rischiano di vedere nella riforma solo gli inevitabili costi sociali ad essa connessi e dovuti alla necessaria chiusura degli sportelli e agli esuberi di personale e amministratori. Occorrerà poi gestire la fisiologica eterogeneità interna che caratterizzerà inevitabilmente il neonato gruppo cooperativo e che rischia di generare criticità organizzative, di governance e gestionali nella sua prima fase di vita, la cui risoluzione potrebbe in alcuni casi non essere semplice e richiedere anche scelte dolorose e impopolari per alcuni territori e basi sociali. Bisognerà quindi non avere fretta e prevedere un’applicazione di questa riforma graduale, consentendo inizialmente – in regime di transizione – finanche la sopravvivenza di BCC singole che mostrino di essere più efficienti e di servire meglio i propri stakeholders autonomamente. Non si possono escludere e non vanno quindi sottovalutati in sede di impostazione e applicazione della riforma possibili casi di spinte centrifughe e contenziosi, che potrebbero anche generare allarme e crisi di fiducia tra i risparmiatori delle BCC coinvolte. A tal fine sarebbe auspicabile prevedere, ad esempio, exit strategy e campagne di comunicazione efficaci e capillari. Non va infine dimenticato che il successo di questa riforma non dipenderà esclusivamente da come il sistema del credito cooperativo la accetterà e applicherà, ma dipenderà anche, e in misura rilevante, dalle azioni necessarie di accompagnamento di questa riforma che il Governo e le Autorità di vigilanza dovranno adottare. Sarebbe, infatti, miope pensare che una riforma così ampia e strutturale possa camminare da sola sin dalla sua nascita. Necessiterà invece di ulteriori e non marginali supporti normativi e istituzionali ad essa correlati. Ci si riferisce essenzialmente a politiche giuslavoristiche che consentino e incentivino lo sviluppo professionale e, se necessario, la riconversione del capitale umano del mondo del credito cooperativo, ad agevolazioni fiscali finalizzate alla ristrutturazione del sistema, oltre che ad un modello di vigilanza specifico per una realtà nuova, inevitabilmente in regime transitorio per più di qualche anno e che promette di essere del tutto originale a livello europeo e pertanto in grado di sollevare problemi e sfide nuove anche per i Governi e le Autorità di vigilanza.

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