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Proposta: e se le assicurazioni investissero nei Pir?

Allargare alle compagnie assicurative quello che è già ammesso per casse previdenziali e fondi pensione, porterebbe ai Pir nuove risorse per almeno 6 miliardi. Senza rischio per gli assicurati. Ecco come

Andrea Battista
Battista

In questo contributo cerchiamo di dimostrare l’opportunità di allargare alle gestioni separate di Ramo I la possibilità di investire in Piani individuali di risparmio (PIR) in condizioni di parità di trattamento rispetto agli altri investitori previdenziali.

Premessa

I PIR hanno pochi anni di vita (sono nati con la legge di bilancio per il 2017). Certo è stata un’esistenza quanto meno agitata. 

Quando la Gazzetta Ufficiale che li aveva resi legge era ancora calda di stampa, già iniziava il dibattito – o forse la polemica – sulla riforma dello strumento appena introdotto.

I PIR sono rapidamente diventati un mercato di circa 20 miliardi in termini di stock1. Un pezzo non grande ma certo non irrilevante della nostra industria del risparmio gestito. 

Il collocamento dei nuovi prodotti PIR partì piuttosto forte ma in poco tempo il rallentamento fu altrettanto brusco.

Ciò, a nostro avviso, anche per il continuo intervento normativo, fonte di instabilità per le aspettative degli operatori. Interventi che in qualche caso risultavano del tutto avulsi dalla realtà operativa del mercato.

La prima riforma – poi denominata PIR 2.0 – rimase addirittura inapplicata. 

Il legislatore aveva illuministicamente disegnato un profilo di strumento che investisse obbligatoriamente anche in strumenti come il venture capital. 

Il risultato è stato che nessuno li ha davvero immessi sul mercato e si è dovuti passare quasi subito ai PIR 3.0.

Infine – è la novità più recente – sono stati creati i PIR c.d. alternativi, dedicati agli investimenti meno liquidi.

Da questo sintetico quadro, emerge che i PIR sono un prodotto creato dalla normativa anche mediante un significativo beneficio fiscale. Ciò sembra legittimare in qualche modo il legislatore (ma anche gli osservatori) ad intervenire sin troppo spesso con modifiche, per adeguare il prodotto in base alla visione “dall’alto”, piuttosto che sulla base dell’esperienza degli operatori di mercato.

I PIR e l’investimento assicurativo

Questa premessa ha a che vedere con il tema di questo articolo, ossia l’investimento in PIR delle gestioni assicurative. Infatti:

  • Dal lato dei PIR, si pone certamente il tema di aumentare i volumi raccolti, data la contenuta dimensioni del mercato e le stime di nuovi flussi per il 2022, che non appaiono travolgenti, anche se discrete3. Ciò può essere fattibile allargando il più possibile i beneficiari dello strumento, senza stravolgerlo ancora una volta.
  • Dal lato delle compagnie di assicurazione, è logico puntare ad avere accesso all’investimento in PIR come altri soggetti paragonabili, senza vantaggi o discriminazioni.

Contrariamente, infatti, a quello che il termine “individuale” indurrebbe a pensare, i PIR non sono destinati solo a persone fisiche ma anche a soggetti istituzionali. Sin dal 2017 possono investirvi anche casse previdenziali e fondi pensione, ossia due tipici investitori di lungo termine e con finalità previdenziali. 

I prodotti assicurativi Vita hanno la medesima vocazione, anche se la duration delle gestioni separate è di certo più corta del prodotto assicurativo Vita tradizionale, ma il prodotto di Ramo I resta un investimento di medio e lungo periodo, che ha anche finalità previdenziali. Alcuni prodotti Vita – come le gestioni separate dei PIP – hanno addirittura finalità e normative di riferimento analoghe ai fondi pensione.

Se anche le compagnie di assicurazioni sono ovviamente investitori di lungo periodo, non esiste motivo logico per escluderle dall’investimento in PIR, anche laddove dovesse mancare la finalità in senso stretto pensionistica del prodotto.

Sin dall’avvio del 2017 le compagnie assicurative hanno potuto realizzare e collocare PIR in forma di prodotti di Ramo III, ossia polizze unit linked con rischio di mercato interamente a carico degli assicurati.

In sostanza, è stata una modalità mediante la quale i risparmiatori hanno correttamente potuto avere accesso ai PIR, in concorrenza con gli altri strumenti.

Anche se gli strumenti acquisiti fanno parte del bilancio delle compagnie a tutti gli effetti, non sono investimenti con effetti diretti sul capitale e sul reddito delle compagnie stesse.

L’investimento nei PIR da parte delle imprese di assicurazione anche tramite le c.d. gestioni separate supererebbe questo limite, dato che le gestioni separate sono attivi detenuti con rischio pienamente a carico delle compagnie stesse.

In prima approssimazione, si è ipotizzato quale potenziale di raccolta PIR delle gestioni separate l’uno per cento delle riserve, al momento circa 6 miliardi di euro. Per apprezzare questa ipotesi, va considerato che il totale dell’investimento azionario diretto delle compagnie è pari solo all’1,5% 4 del totale attivi e che, secondo dati Assogestioni, circa il 50% degli attivi dei PIR è investito in azioni. Ma non va dimenticato il 16% in quote di OICR, presumibilmente con parziale contenuto azionario.

In effetti lo spazio non può essere eccessivo in percentuale degli attivi, se così misurato, visto che si tratta di prodotti in cui “l’emittente” garantisce almeno il capitale investito, e il livello dei rendimenti – che possono assorbire eventuali shortfall dello strumento PIR senza intaccare il capitale della compagnia – è reso assai contenuto da anni di tassi di interesse vicini allo zero.

Se immaginiamo non solo un effetto additivo ma anche sostitutivo5, probabilmente lo spazio diventa maggiore dell’1% degli attivi. Difficile dire di quanto.

Per il mercato dei PIR 6 miliardi sarebbero una cifra significativa, anche se non disruptive in termini di stock investiti – posto che i PIR veleggiano in area poco sopra 20 miliardi di euro complessivi, come abbiamo richiamato sopra. 

A nostro avviso, sarebbe rispettata l’essenziale condizione che le modifiche normative necessarie sembrano di non particolare momento, di carattere essenzialmente amministrativo e infine/soprattutto senza enormi o eccessivi costi a carico della finanza pubblica. 

Non sarebbero cioè tali da archiviare i PIR attuali e far parlare di PIR 4.0., cosa di cui nessuno sente il bisogno dopo un primo periodo di tregua (a parte qualche benvenuto fine tuning, ad es. l’incremento delle somme deducibili fiscalmente).

La normativa assicurativa è – per tutti gli altri aspetti – adeguata ad “accomodare” questo tipo di investimenti nel bilancio delle società assicurative che dovessero optare per sottoscriverli concretamente. 

A fronte dei rischi assunti, bisognerà infatti appostare il capitale appropriato, come per ogni altro investimento. Tale ammontare  viene calcolato di norma su base c.d. look trough ossia in base al rischio insito in tutti gli strumenti in cui il PIR investe concretamente. Quindi non servirebbe nessun provvedimento ad hoc in tema di bilancio e capitale delle compagnie.

L’aspetto fiscale

Altro punto rilevante è che il beneficio fiscale dovrebbe poi essere lo stesso già previsto per casse e fondi pensione: in sostanza la non imponibilità dei redditi dei PIR sino al 10 per cento del patrimonio di riferimento. 

Come sopra accennato, si tratta di un tema di equità fiscale che può essere risolto con la piena equiparazione ma senza eccessivi impatti di gettito, atteso l’ammontare prevedibile di investimenti e la tassazione differita del maggiore rendimento in capo al beneficiario, nel momento di percezione della prestazione.

Per i clienti assicurati sembrano esserci essenzialmente vantaggi: una qualche spinta incrementale al rendimento atteso – per quanto probabilmente marginale – sarebbe apprezzabile in un momento in cui il prodotto assicurativo tradizionale può per un certo periodo vedere erosi i rendimenti reali dalla dinamica inflattiva, come per tutti gli strumenti a reddito fisso. In caso di andamento negativo del valore dei PIR, invece, il rischio resterebbe in buona parte a carico delle compagnie, assorbito dal capitale a rischio qualora le perdite erodessero i rendimenti portandoli sotto il minimo garantito.

Conclusioni 

Una quota di azioni e soprattutto di OICR nelle gestioni separate è strutturalmente presente già oggi e investirla in parte tramite PIR può essere un’opzione efficiente, sia dal punto di vista fiscale che finanziario. 

A tutto vantaggio degli assicurati, cui la minore tassazione dovrebbe essere integralmente riconosciuta, come già avvenuto in passato per altri prodotti assicurativi quando si generano crediti di imposta, come le unit linked.

Rendere fattibile questa opzione di diversificazione per le gestioni assicurative sembra dunque corretto sotto tutti i punti di vista, considerato che l’investimento nei PIR è già aperto anche ad altri investitori istituzionali similari e che le masse che le compagnie potrebbero mobilitare sono del tutto aggiuntive per i PIR, per quanto probabilmente come detto non esorbitanti.

Il potenziale di 6 miliardi sembra ragionevole, forse superabile sostituendo gli OICR in portafoglio, ma resta comunque ambizioso, specie per i PIR con un forte contenuto azionario e quindi ad elevato assorbimento relativo di capitale.

Per scoprire cosa potrebbe davvero succedere nella realtà del mercato, si può solo introdurre questa mirata innovazione regolamentare, rimuovendo un vincolo non giustificabile e poco coerente con l’impianto complessivo delle norme in vigore, che tra l’altro a questo punto sembrano aver trovato una qualche stabilità.

1i dati di riferimento sono fonte Assogestioni

2È il tipo di approccio che ci piace chiamare “costruttivista”.

3Una ricerca di Intermonte del mese di marzo ipotizza in circa 2 miliardi la raccolta netta dei PIR per il 2022

 4Secondo dati IVASS a fine 2020 le azioni inserite nelle gestioni separate erano circa 9 miliardi (1,6%) e le quote di OICR 90 miliardi (16%)

 5Infatti potrebbero essere sostituiti parte degli OICR azionari, considerato il beneficio fiscale, che sono presumibilmente maggiori dell’1% del totale attivi (visto il 16% complessivo degli OICR)