Lo smart working non è un semplice trasloco dall’ufficio all’abitazione. Spinge a ripensare la gestione della banca secondo modelli rivisitati in radice. Non per creare una generazione di “tele-workers”, ma per riprogettare le modalità di perseguimento dei target, i processi e la tecnologia.
La terribile vicenda del Covid-19 ha proiettato molte aziende, specie quelle di servizi, nel mondo del lavoro da remoto, modificando radicalmente le relazioni interne alle strutture operative e con i clienti.
Banche ed assicurazioni, in modo differente, sono state al centro di questo cambiamento e tuttora non vedono ripopolate le proprie sedi direzionali, continuando spesso ad operare con scarso ricorso agli ambienti fisici di lavoro. Le infrastrutture digitali hanno retto bene i picchi di operatività nel nuovo format e si sono instaurate modalità di gestione dei processi aziendali che in precedenza erano confinate per lo più a fasi sperimentali.
È stata una scelta di necessità che può ora aprirsi ad un ripensamento delle stesse architetture di funzionamento delle aziende, nelle strutture centrali e nelle reti di vendita.
Sul versante delle reti bancarie, se già prima della crisi le presenze fisiche dei clienti nelle agenzie mostravano un trend decrescente specie nei grandi centri, l’esperienza del lockdown ha obbligato a gestire quasi completamente in remoto tutte le necessità operative.
È pur vero che la contestuale chiusura di molte aziende ed il differimento di molti adempimenti ha connotato quel periodo, ma anche con la ripresa della vita sociale ed economica del paese resta chiara la percezione che le relazioni col cliente andranno incontro ad una profonda rivisitazione. E d’altro canto, secondo recenti indagini* durante il periodo del lockdown l’80% dei clienti ha trovato risolutivo l’uso di mobile ed internet banking ed il 40% circa dei clienti prevede di recarsi anche in futuro con minor frequenza in filiale rispetto alle precedenti abitudini.
Per quanto concerne le attività commerciali si accelera quindi un processo evidente. Non c’è esperienza di relazione con il cliente, qualunque cliente di ogni fascia generazionale, che non incroci in qualche modo il tema digitale.
Già diversi anni fa, precisamente nel 2014, nel disegnare un Piano Industriale** mi era capitato di coniare l’espressione di “banca comoda” cercando con questa espressione di rendere chiaro alle strutture interne ed al mercato come la percezione di “comodità”, intesa come aderenza piena ed immediata alle modalità di ingaggio della banca gradite soggettivamente da ciascun cliente, dipendesse dalla riorganizzazione di tutti i processi commerciali in forma fisico-digitale, per conciliare flessibilità e costi.
La capacità di rendere interoperabili tutti i canali (filiali, web, atm, offerta fuori sede) dipendeva già allora dalla chiara percezione che ogni cliente desidera fare un proprio customer journey soddisfacente, cioè coerente con le proprie inclinazioni di approccio ai servizi finanziari.
Era quindi indispensabile fornire una customer experience appunto comoda, accessibile sempre senza discontinuità, tanto al cliente self nativo digitale quanto al cliente che voleva gestire la propria relazione secondo un modello più tradizionale o “ibrido”, cioè gestito in parte sulla rete fisica (ad es. per i bisogni più sofisticati di natura creditizia, di investimento od assicurativa) ed in parte sugli altri canali (dall’ATM allo smartphone). Un’impostazione destinata anche a superare il classico modello di segmentazione della clientela per patrimonio/dimensione per far prevalere la logica dei bisogni prevalenti e quindi delle filiere/team di competenza.
Le vicende di quest’anno hanno reso ancora più evidente la necessità di un’accelerazione del cambiamento in ottica phygital, che d’altro canto connota già la vita di tutti noi anche al di fuori del mercato dei servizi finanziari (basterebbe citare l’e-commerce o la gestione delle nostre relazioni sociali). Nessuno dubita ormai più che, anche quando ogni emergenza sarà superata, andrà ripensata l’articolazione stessa delle attività bancarie e lo smart working troverà uno spazio significativo nei modelli organizzativi.
Si tratta già oggi di disegnare un cambiamento che investirà tanto le strutture centrali, talora ridondanti e con costi (anche immobiliare) elevati, quanto le reti distributive. Per queste ultime non credo ad un loro superamento strutturale, e forse nemmeno ad un radicale ridimensionamento dopo la riduzione già avvenuta di circa 10.000 sportelli sul territorio ed i programmi ancora in via di completamento in alcune banche.
In un altro articolo (https://mirror.fchub.it/il-futuro-del-retail-banking/) sottolineavo come diverse realtà industriali hanno fatto la propria fortuna integrando la catena del valore dalla produzione al punto vendita; allo stesso modo la banca e le sue filiali possono ritrovare la propria centralità rincontrando in modo nuovo i propri clienti nei luoghi fisici di lavoro. Certo le vecchie logiche di funzionamento della filiale, i gravami amministrativi che la caratterizzano, il lay-out spesso démodé e disfunzionale che non consente un utilizzo ibrido da parte del personale (che sarà probabilmente in parte in smart working), le barriere che si frappongono alla relazione con il cliente, non sono più adeguate.
Strategie commerciali con meno attività a basso valore aggiunto
Lo stesso ripensamento dei concept di filiale che tutti i gruppi bancari hanno in qualche modo avviato negli ultimi anni non è sufficiente; vanno definiti format differenziati e modulari in funzione della natura della banca, della strategia commerciale, dei modelli di servizio, delle “personas” identificate come riferimento, dei territori, facendo emergere un pensiero distintivo ed una riconoscibilità del brand cui associare anche un possibile pricing premium.
Non solo; occorre mettere mano a un vero e proprio redesign dei comportamenti commerciali degli staff in tutte le dimensioni. Basterebbe guardare al modo in cui tutti gli altri retailer, per vero meno condizionati da vincoli normativi, organizzano tempi, modi e spazi di vendita. Si impone una riprogettazione completa che va attuata a prescindere dalla necessità di modificare la conformazione delle filiali per rispettare i nuovi parametri di sicurezza e distanziamento sociale, a valle dell’esperienza maturata durante il periodo più severo della pandemia.
Ogni banca sta avviando di fatto una verifica del profilo strutturale delle proprie reti in termini di geografia, dimensione, assetto, lay-out, modalità di ingaggio del cliente, interoperabilità dei canali. Ma in ogni caso i processi di lavoro che connoteranno le filiali dovranno caratterizzarsi per la dimensione squisitamente relazionale/commerciale, garantendo la minimizzazione delle energie spese in attività a basso valore aggiunto. Non foss’altro per evitare di mantenere filiali strutturalmente non redditizie e subire una crescente attrition di clientela verso altri canali, neo-banks o reti di promozione come in parte avvenuto nel recente passato.
Perché questo lavoro di radicale ripensamento sia efficace e produca i risultati attesi non si può non partire da un ripensamento del blend di servizi che si vogliono soddisfare in filiale rispetto ai bisogni di natura più semplice, che devono migrare sempre di più su canali digitali o a minore cost-to-serve.
Con strumenti di controllo di gestione/EVA dei vari prodotti e segmenti di clientela non è difficile identificare quelle aree di attività che manifestamente non coprono i costi di struttura ed il capitale allocato. Allo stesso tempo, per concretizzare un percorso non velleitario si deve disporre di una fotografia reale e dettagliata di come si svolgano le attività all’interno della filiale, come viene oggi allocato il tempo lavorativo delle diverse figure professionali.
Il tempo in filiale può diminuire del 50 per cento
Sulla base di progetti condotti su gran parte del sistema bancario italiano, attraverso una propria tecnologia proprietaria che consente la mappatura iper-analitica delle attività di filiale secondo una tassonomia completa, ad esempio, Exton Consulting ha potuto stimare che il tempo necessario di presenza fisica in filiale potrebbe diminuire di oltre il 50% per quasi tutti i ruoli; un dato dedotto assumendo la migrazione sostanziale delle attività transazionali sui canali digitali, secondo la customer experience di questi mesi, ed il ricorso a tecnologie di BPM/RPA che automatizzino i processi ripetitivi, snellendo attività di back-office oggi molto time-consuming. Adottando quindi un modello progressivo di offerta realmente omni-canale ed agibile fuori sede con un coerente progetto di rivisitazione dei sistemi informativi.
La potenziale riduzione di tempo destinato alla presenza fisica di filiale, che ne comporterà il ridisegno strutturale, può supportare una maggiore efficienza di costo, ma soprattutto aumentare l’efficacia commerciale cambiando il modello di offerta, sfruttando il tempo liberato per azioni di sviluppo fuori dal contesto fisico della filiale, in modo integrato tra i canali e supportato da un CRM evoluto.
Tra i fattori abilitanti di questo cambiamento un ruolo rilevante può rivestire l’implementazione sempre più estesa di logiche Agile e di modelli stabili di smart working, nel senso più proprio e compiuto del termine.
Applicare il Manifesto Agile
Pur essendo ormai consolidati i principi fissati dal Manifesto Agile, particolarmente nell’ambito delle applicazioni informatiche, la traduzione di questi principi in modelli organizzativi e processi di sviluppo all’interno delle banche ha incontrato sinora numerosi ostacoli, solo in parte riconducibili alle legacy del passato. I processi sono troppo condizionati da strutture manageriali ed IT pensate orginariamente “a silos” verticali. Si perde così facilmente di vista la priorità della logica Agile, che è quella di ragionare in modo integrato, mettendo al centro il cliente attraverso processi di lavoro che assicurino la creazione del massimo valore possibile e la tempestività di risposta ai bisogni.
Le architetture informatiche, i modelli di sviluppo e messa in produzione faticano ad adattarsi alla logica dei clienti esterni ed interni per i troppi vincoli con cui devono operare (si pensi alla miriade di applicativi ed add-on sulle piattaforme di riferimento, alla gestione degli workflow e delle partnership esterne); e l’Agility di una banca dipende necessariamente dal suo sistema informativo che deve sempre più strutturarsi per soddisfare le aspettative crescenti dei clienti e degli stessi quadri interni, in un contesto competitivo reso più sfidante dalla crescente penetrazione delle neo-banks e delle reti indipendenti. Da qui la ricerca di piattaforme di Business Process Management (BPM) che integrino tutti i task in una logica di automazione complessiva.
Analogamente, un approccio Agile presuppone un più ampio e trasversale cambiamento culturale che anticipi e coinvolga il cliente nella creazione di offerte e servizi, modellando l’organizzazione interna verso organigrammi più piatti, incoraggiando (o addirittura vincolando) il lavoro interdisciplinare in una logica di reattività al cambiamento e corresponsabilità delle decisioni.
Lo smart working non è il lavoro da remoto
L’implementazione di un modello avanzato di smart working (che potremmo tradurre effettivamente in “lavoro intelligente ed agile”) può fornire un contributo positivo al cambiamento culturale/organizzativo. Le misure di distanziamento sociale e lockdown dei mesi scorsi hanno dato una forte spinta alla logica di lavoro da remoto, che tuttora ispira l’attività di molte banche, assicurazioni e società finanziarie.
Lavoro da remoto o smart working vengono però troppo spesso considerati come dei sinonimi, quando hanno in realtà ben diverse implicazioni organizzative e culturali. Non è un tema eminentemente contrattuale, dove tutto è regolato da univoche fonti normative (L. 81/2017) e normali rapporti di lavoro dipendente. Accomuna i due profili l’utilizzo delle tecnologie digitali, ma con lo smart working le ambizioni sono più alte rispetto al puro trasloco delle attività di lavoro dall’ufficio ad altri ambienti o all’abitazione.
Si tratta infatti di ripensare la gestione della banca secondo modelli rivisitati in radice, con nuovi paradigmi di organizzazione del lavoro, percorsi di cooperazione e fiducia trasversali, misurabili attraverso una pianificazione ed operatività per obiettivi. Non si tratta in definitiva di creare una generazione di “tele-workers”, né di rinunciare al lavoro di ufficio o di filiale che resteranno punti focali di relazione nel lungo termine, ma di riprogettare le modalità di perseguimento dei target, i processi e la tecnologia.
Occorre identificare un modello evolutivo e flessibile, che garantisca elevati standard di efficienza operando in team più snelli per offrire prodotti finanziari e consulenziali che si caratterizzino per qualità, tempestività e capacità di adattamento alla domanda del mercato. È un percorso non banale che implica un ripensamento della relazione tra le strutture centrali e quelle di rete, tra IT/Organizzazione e cliente interno, a valle del quale si devono catturare allo stesso tempo risparmi di costo insieme ad un innalzamento della qualità del servizio reso e percepito.
Si apre per le banche una nuova stagione di revisione dei Piani Industriali e delle strategie di sviluppo. Come sempre, di fronte ad una grande sfida qual è la gestione di un’azienda di credito in un contesto recessivo e di tassi negativi, si pongono opportunità per chi riuscirà a ripensare in tempi rapidi i propri modelli. C’è uno spazio nuovo da occupare, c’è la possibilità di ripensare le logiche di relazione con il mercato in un’ottica più dinamica e vicina alle nuove aspettative del cliente.
*Fonte: Nomisma e CRIF
**Cfr. Piano Industriale Banco Popolare 2014-2016