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Profili non tributari dei regimi di compliance fiscale

Il nuovo assetto fiscale, basato sulla collaborazione fisco-contribuenti, ha potenziali conseguenze, fuori dall'ambito tributario, su profili rilevanti della vita dell’impresa e del suo funzionamento. Come la corporate governance, la prevenzione della commissione di reati diversi da quelli tributari, la crisi e altri che potranno emergere

Patrizio Braccioni
Patrizio-Braccioni

Con la pubblicazione, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, delle linee guida per la predisposizione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, Prot. N.5320/2025, avvenuta il 10 gennaio scorso (in prosieguo le “linee-guida”) si chiude il percorso di riforma del regime di adempimento collaborativo e del regime c.d. “opzionale”, che definiamo sinteticamente regimi di compliance fiscale, intrapreso con il D. Lgs 30 dicembre 2023 n.221 e proseguito per tutto il 2024 e l’inizio del 2025.

Il regime di adempimento collaborativo, ispirato a principi affermatisi in sede Ocse già all’inizio degli anni Duemila, era stato introdotto nel nostro ordinamento dagli articoli da 3 a 6  del D. Lgs. 5 agosto 2015 n.128.

Esso prevede un nuovo assetto istituzionale dei rapporti tra Fisco e contribuenti e rappresenta una svolta storica del sistema tributario italiano.

Infatti, non più rapporti basati su interventi ex -post del Fisco volto a verificare la legittimità e regolarità degli adempimenti e delle scelte fiscali operate dei contribuenti, ma interventi ex-ante basati su di una collaborazione reciproca e forme di interlocuzione continua fondate su trasparenza e buona fede, aventi l’obiettivo di prevenire fenomeni di evasione ed elusione fiscale.

Ad oggi la soglia di ingresso sarà di 500 milioni di euro dal 1 gennaio 2026 ed è destinata a ridursi a € 100 milioni di volume d’affari a partire dal gennaio 2028; inoltre, la riforma ha altresì introdotto un nuovo regime di compliance fiscale, c.d “opzionale”, che elimina qualsiasi soglia dimensionale di accesso per tutti i soggetti diversi dalle persone fisiche.

Entrambi i regimi di compliance fiscale sono opzionali.

L’elenco dei soggetti aderenti, oggi di oltre 140 società, è pubblico e costantemente aggiornato dall’Agenzia delle Entrate, che ha previsto anche l’assunzione di oltre 400 funzionari destinati alla gestione dei regimi di compliance fiscale.

In questo articolo non intendiamo descrivere o commentare la normativa sul piano tributario, bensì valutare le sue potenziali conseguenze su altri profili rilevanti della vita dell’impresa e del suo funzionamento, quali la corporate governance, la prevenzione della commissione di reati diversi da quelli tributari, la crisi e altri ancora.

Infatti, sono già ben noti i benefici di carattere tributario, come ad esempio la non applicazione di sanzioni tributarie per i rischi comunicati, la riduzione dei termini di decadenza dall’accertamento tributario fino alla non procedibilità per il reato di infedele dichiarazione e altri ancora; al contrario, spetta esclusivamente all’interprete individuare ulteriori profili di interesse (o di rischio) al di fuori dell’ambito strettamente tributario.

Prevenzione di taluni reati

La creazione di un modello di compliance fiscale (“tax compliance model” o “TCM”) e il conseguente sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (ovvero un “tax compliance framework” o “TCF”) sono volti a prevenire la violazione di norme tributarie e la commissione di reati tributari.

È stato dimostrato che la prevenzione di illeciti tributari implica di per sé la possibile prevenzione di reati di riciclaggio e autoriciclaggio, oltre che di reati corruttivi, che spesso presuppongono la provvista di “nero” derivante da evasione o frode fiscale.

Inoltre, l’obbligo di diffusione di una cultura aziendale improntata al rispetto degli obblighi tributari e destinata ad ogni livello  dell’impresa, come previsto dai regimi di compliance fiscale, favorisce la diffusione di comportamenti ispirati a criteri di legalità.

Sostenibilità e corporate governance

Ulteriore tematica riguarda la stretta connessione tra sostenibilità e corretto adempimento degli obblighi tributari.

Infatti, l’art.2 , comma 1, n.17 del regolamento (Ue) 2019/2088 del 27 novembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, come modificato dal regolamento (Ue) 2020/852 del 18 giugno 2020, noto con l’acronimo Sfdr (Sustainable Finance Disclosure Regulation), prevede il rispetto degli obblighi fiscali come aspetto qualificante di prassi di buona governance.

Non stupisce, quindi, che nel descrivere le caratteristiche essenziali del modello di compliance fiscale, l’Agenzia delle Entrate faccia esplicito riferimento alle Disposizioni di Vigilanza per le Banche di cui alla Circolare della Banca d’Italia n.285 del 17 dicembre 2013 e successivi aggiornamenti, e in particolare ai tre livelli di controllo interno tipici degli intermediari finanziari.

Questo modello viene esplicitamente esteso anche ai soggetti industriali, ad oggi estranei a questa impostazione.

Infine, rileviamo che nella Relazione 2024 sull’evoluzione della corporate governance, il Comitato Italiano Corporate Governance ha avuto modo di precisare che aziende quotate adottano prassi non previste da norme specifiche del Codice di Corporate Governance; tra dette prassi, si fa esplicito riferimento a presidi di rischio fiscale.

Crisi d’impresa

Un aspetto sino ad oggi non esplorato riguarda i rapporti tra compliance fiscale e le norme introdotte dal D. Lgs. 14 gennaio 2019 n.14, il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, e delle successive norme integrative e correttive, sino alle ultime in ordine temporale introdotte dal D. Lgs. 13 settembre 2024 n.136; tra le principali innovazioni, l’obbligo di istituire assetti adeguati alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, principio cristallizzato al secondo comma dell’art.2086 del codice civile.

I tre livelli di controllo a presidio del rischio fiscale sono indubbiamente “assetti adeguati”.

Inoltre, non possiamo non rilevare che un efficace TCM non può prescindere da un controllo preventivo e puntuale sulla liquidità necessaria a far fronte agli obblighi tributari, quindi indirettamente riferito ad uno degli elementi potenzialmente premonitori di una crisi d’impresa.

Conclusioni

In conclusione, riteniamo che le analisi sin qui condotte e le riflessioni fornite non possano abbracciare tutti i potenziali impatti della compliance fiscale nella vita delle imprese.

La fiscalità ha infatti dimensioni pervasive della loro attività, quindi vi possono essere, anzi, vi saranno sicuramente ambiti ancora inesplorati che solo la futura esperienza e ulteriori sforzi dottrinali potranno rivelare.

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