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Product governance: le novità per i distributori

I nuovi Orientamenti dell'Esma hanno lo scopo di chiarire l’applicazione di determinati aspetti legati ai requisiti di product governance della MiFID II al fine di garantire un’applicazione comune e uniforme della normativa e di promuovere una maggiore convergenza nell’interpretazione e negli approcci di vigilanza

Angela Maria Carozzi
Anna-Maria-Carozzi

Dallo scorso 3 ottobre si applicano le novità apportate dall’Esma ai propri Orientamenti in materia di product governance che tengono conto dei recenti sviluppi della normativa di settore, quali l’integrazione dei fattori di sostenibilità negli obblighi di governance dei prodotti, il Capital Markets Recovery Package (Quick Fix), le raccomandazioni sulle linee guida in materia di governance dei prodotti da parte del Comitato consultivo sulla proporzionalità (ACP) dell’Esma ed i risultati dell’azione comune di vigilanza 2021 dell’Autorità stessa sulla product governance.

Tali nuovi Orientamenti hanno lo scopo di chiarire l’applicazione di determinati aspetti legati ai requisiti di adeguatezza della MiFID II al fine di garantire un’applicazione comune e uniforme della normativa e di promuovere una maggiore convergenza nell’interpretazione e negli approcci di vigilanza.

L’ambito soggettivo di applicazione è circoscritto alle imprese di investimento come definite nell’art. 4(1)(1) della MiFID II, ivi incluse pertanto le banche quando prestano i servizi di investimento o quando vendono o prestano consulenza ai clienti in merito ai depositi strutturati, nonché le società di gestione UCITS e i gestori di fondi alternativi quando prestano i servizi di investimento di gestione individuale di portafoglio o i servizi accessori (ex art. 6(3)(a) e (b) della Direttiva UCITS e art. 6(4)(a) e (b) della AIFMD).

L’ambito oggettivo di applicazione ricomprende i prodotti di investimento, ove per tali si intendono: i) gli strumenti finanziari, ad eccezione delle obbligazioni che non hanno alcun altro derivato incorporato se non una clausola make-whole e degli strumenti finanziari commercializzati o distribuiti esclusivamente a controparti qualificate (in conformità all’esenzione di cui all’art. 16-bis della MiFID II, introdotta dal Quick Fix); e ii) i depositi strutturati.

Tanto brevemente premesso, si riportano in sintesi le novità introdotte.

  • Tempistiche e rapporto di valutazione del mercato target. I distributori sono tenuti a dar conto nella propria politica interna dell’impegno di distribuire prodotti, fornire servizi e adottare strategie di distribuzione compatibili con il mercato target. La definizione di tale mercato deve avvenire ad uno stadio iniziale, prima della commercializzazione del prodotto e/o della decisione di includerlo nell’offerta (par. 34 degli Orientamenti). In questa fase, i distributori sono altresì tenuti a valutare quali strategie di distribuzione debbano essere utilizzate per i gruppi di clienti, ponendo particolare attenzione ai casi in cui intendano ricorrere a pratiche di incoraggiamento o coinvolgimento digitale, quali ad esempio, le pratiche di ludicizzazione1 (par. 39 degli Orientamenti).
  •  Individuazione del mercato target: categorie da considerare. Il nuovo par. 42 degli Orientamenti prevede che nella definizione del mercato target effettivo i distributori utilizzino le medesime categorie dei produttori, dettagliandole maggiormente in coerenza con i criteri usati nella valutazione di adeguatezza e di appropriatezza. Così, ad esempio, la categoria “conoscenza ed esperienza” potrebbe essere declinata, se conforme a tali criteri, nelle sottocategorie della “conoscenza ed esperienza” basica, media o avanzata. Per i prodotti più complessi, occorrerebbe valutare se, oltre alla descrizione del mercato target fornita dal produttore, sia necessario acquisire maggiori informazioni, quali i risultati delle analisi di scenario e della struttura dei costi (par. 46). Ove ritenuto opportuno, i distributori possono definire il mercato effettivo adottando un approccio comune per prodotti con caratteristiche e rischi effettivamente comparabili (c.d. “clustering approach”); a tal fine si avvalgono dell’elenco di fattori “chiave” previsto per i produttori nel par. 272.
  • Fattori di sostenibilità. In fase di identificazione del target market, i produttori e i distributori sono tenuti a specificare – nell’ambito della categoria “esigenze e obiettivi del cliente” – gli eventuali obiettivi di sostenibilità con cui un prodotto risulti compatibile (par. 20), monitorando le deviazioni dal mercato target per garantire che i prodotti (anche ESG) siano distribuiti al di fuori di esso solo per fini di diversificazione o copertura, che continuano ad avere carattere eccezionale (par. 62).
  • Il par. 20 degli Orientamenti individua, in linea con la definizione di preferenze di sostenibilità di cui al Regolamento delegato MiFID II, gli aspetti da specificare per garantire un sufficiente livello di granularità, ove necessario, ovvero: i) la quota minima del prodotto investita in investimenti ecosostenibili ai sensi dell’art. 2, punto 1, Regolamento Tassonomia (UE) 2020/852; ii) la quota minima del prodotto investita in investimenti sostenibili ai sensi dell’art. 2, punto 17, del Regolamento Disclosure (UE) 2019/2088; iii) i principali impatti negativi (PAI) sui fattori di sostenibilità considerati dal prodotto, compresi i criteri quantitativi o qualitativi che dimostrano tale considerazione; iv) ove pertinente, se il prodotto si concentra su criteri ambientali, sociali o di governance o su una combinazione di essi3.
  • Individuazione del mercato target e interazione con i servizi di investimento. L’Esma pone l’accento sulla circostanza che, in assenza di informazioni sufficienti a garantire una valutazione completa del mercato di riferimento, i distributori possono decidere di avvalersi di servizi diversi da quelli consulenziali (motivando la decisione e avvertendo il cliente), fatto salvo il caso in cui ex ante sia ragionevole aspettarsi che la strategia di distribuzione non consenta al prodotto di raggiungere il mercato target (par. 56).
  • Strategia di distribuzione. Nella revisione della strategia di distribuzione individuata dai produttori, i distributori dovrebbero tenere conto delle caratteristiche della propria tipologia di clienti e, nel caso in cui ritengano che un prodotto più complesso possa essere veicolato attraverso servizi non consulenziali, dovrebbero identificare misure supplementari per assicurare la compatibilità della strategia distributiva con il mercato target (par. 59). Costituisce una buona prassi la decisione del distributore di distribuire un prodotto soltanto in consulenza, anche quando il produttore abbia ritenuto compatibili i servizi esecutivi, ad esempio perché il prodotto sia ritenuto troppo complesso per poter essere offerto fuori del perimetro della consulenza oppure sia caratterizzato da conflitti di interesse.
  • Gestione del portafoglio, strategia, copertura e diversificazione. L’Esma si aspetta che i distributori individuino il mercato target di ogni prodotto anche quando vengano prestati i servizi di gestione di portafogli o di consulenza con approccio di portafoglio e monitorino altresì le deviazioni dal mercato target per garantire che i prodotti siano distribuiti al di fuori di esso solo per fini di diversificazione o copertura (par. 64). Resta fermo il carattere eccezionale delle deviazioni dal mercato target negativo per fini di diversificazione o copertura (da comunicare al produttore e al cliente), comunque non ammesse per le categorie del mercato target “tipologia cliente” e “conoscenza ed esperienza del cliente”.
  • Riesame periodico. In base a quanto già indicato in consultazione, l’Esma conferma l’onere dei distributori di rivalutare regolarmente i prodotti distribuiti, attraverso analisi quantitative e qualitative, per verificare la loro compatibilità con il mercato target e con la strategia di distribuzione individuati in precedenza. In tale contesto viene rappresentata la necessità per i distributori di informare proattivamente il produttore ogni qual volta dispongano di informazioni rilevanti tali da poter incidere sulla revisione dei prodotti finanziari (par. 70).
  • Identificazione del mercato target negativo e delle vendite al di fuori del mercato target positivo. I distributori sono altresì tenuti ad individuare i mercati target negativi (utilizzando le cinque categorie dei mercati target definite dalle linee guida stesse) per ogni prodotto distribuito, ad eccezione dei mercati target negativi relativi agli obiettivi di sostenibilità dei prodotti (rilevanti solo nell’ambito dei mercati target positivi) (par. 81).

1 Come specificato dall’ESMA nella nota 23 degli Orientamenti (p. 17), “le tecniche di ludicizzazione aggiungono giochi o elementi competitivi simili a essi a contesti diversi dai giochi, quali i servizi finanziari. Esempi di elementi simili ai giochi sono l’ottenimento di punti o badge, il mantenimento di punteggi o classifiche, la visualizzazione di grafici delle prestazioni, l’utilizzo di storie significative o di avatar per coinvolgere gli utenti, o l’introduzione di compagni di squadra per indurre il conflitto, la cooperazione o la competizione. La ludicizzazione è un tipo di pratica di coinvolgimento digitale che può essere utilizzata; a sua volta, le pratiche di coinvolgimento digitale si riferiscono al modo in cui gli utenti interagiscono attivamente con un’applicazione o una piattaforma software”. Tale profilo è stato chiarito in esito alla consultazione con il mercato, ove il precedente documento parlava di “pratiche di digital engagement”.

2 Tali fattori sono, per esempio, il rischio di mercato, di credito e di liquidità dei prodotti finanziari, la struttura dei costi, la presenza di derivati o prodotti con derivati incorporati, la leva finanziaria, l’assoggettabilità al bail-in, le clausole di subordinazione, la reperibilità di informazioni sul sottostante, le garanzie di rimborso del capitale o le clausole di protezione del capitale, la liquidità del prodotto e la denominazione valutaria del prodotto. Al riguardo si segnala che l’Esma, nel Final Report, ha chiarito il carattere esemplificativo della lista dei fattori essenziali, ma al contempo ha rappresentato come il riferimento a detti fattori sia espressione delle proprie aspettative sul livello di granularità che produttori e distributori dovrebbero utilizzare in sede di clustering di prodotti.

3 In merito, si rileva che l’Esma nel Final Report ha affermato come il wording utilizzato nel par. 20 degli Orientamenti confermi “il requisito per gli intermediari di specificare eventuali obiettivi di sostenibilità, ma lasci agli stessi la facoltà di allineare il target market con la definizione di preferenze di sostenibilità adottata ai fini della valutazione di adeguatezza” (par. 34, p. 24, Final Report). Con particolare riguardo al concetto di minimum proportion, l’Autorità rappresenta che la minimum proportion dovrebbe applicarsi, possibilmente, anche ai prodotti che non ricadono nell’ambito di applicazione dei Regolamenti Disclosure e Tassonomia, considerata la sempre maggiore fruibilità di dati ESG, e che, comunque, dovrebbe applicarsi ai prodotti contemplati dall’SFDR quando l’intermediario identifica le caratteristiche di sostenibilità del prodotto in linea con la definizione delle preferenze di sostenibilità nel processo di valutazione dell’adeguatezza (par. 43, p. 27, Final Report). Sul punto si segnala che lo scorso settembre la Commissione ha avviato una consultazione sull’SFDR tesa a verificare i progressi compiuti nell’attuazione del Regolamento dall’entrata in vigore nel marzo 2021 e ad individuare possibili migliorie da apportare al fine di accrescerne la certezza giuridica, la utilizzabilità e la capacità di contrastare il greenwhasing.

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