Alla vecchia banca locale subentra una spa a controllo pubblico,con risorse mobilitate dallo Stato attraverso l'MCC, e dal sistema creditizio, attraverso il FITD. Ma la Ue non è sempre stata contraria al salvataggio degli enti utilizzando il denaro dei contribuenti? Ecco la differenza: le risorse sono sì destinate al recupero dell’equilibrio economico patrimoniale dell’Istituto in amministrazione, ma secondo valutazioni che obbediscono alle regole di mercato. Proprio come è accaduto per la tedesca Norddeutsche Landesbank
La crisi della Banca Popolare di Bari è stata affrontata dal Governo con un progetto che si propone di dar vita ad un soggetto diverso per forma giuridica, per scopo sociale e per assetto proprietario. Alla vecchia banca locale, che aveva mantenuto la forma cooperativa, si sostituisce una spa a controllo pubblico, con funzioni di banca d’investimento per il Sud.
L’intervento si distingue per acquisire stabilmente al patrimonio pubblico uno strumento operativo, funzionale agli obiettivi di politica economica fissati dal governante. È un investimento di risorse pubbliche, che da una crisi bancaria coglie l’opportunità di dotare il Paese di un soggetto dedicato al sostegno della crescita imprenditoriale del Sud.
Nei fatti si risponde anche agli effetti del dissesto per azionisti e creditori, tant’è che a leggere i contenuti dell’accordo, che si sta stringendo tra i commissari ed il Mediocredito Centrale (MCC), cui sono fornite le risorse per realizzare la banca d’affari dedicata al Mezzogiorno, il fabbisogno di nuovo capitale per la Popolare di Bari tiene conto anche di misure di ristoro per i vecchi azionisti.
L’operazione non s’inquadra tra le modalità d’intervento precauzionale specialmente previste dalla disciplina della prevenzione e gestione delle crisi bancarie. In proposito si ricorda che tra gli obiettivi del single rule book, adottato dall’Unione, è centrale quello di «ovviare quanto più possibile» alla necessità di «salvataggio degli enti utilizzando il denaro dei contribuenti». È il motivo di fondo che ha animato l’azione dei regolari comunitari e che porta a riconoscere nel sostegno finanziario pubblico uno degli indicatori di una situazione di dissesto o di rischio di dissesto della banca, che impone l’avvio della risoluzione.
La possibilità dell’intervento pubblico è fatta salva in via d’eccezione, nel rispetto dei criteri stabiliti agli artt. 32, par. 4, lett. d), BRRD, nonché all’art. 18, par. 4, lett. d), SRM, al fine di evitare o rimediare ad una grave perturbazione dell’economia, in presenza di difetto di liquidità ovvero di carenze patrimoniali di natura temporanea.
In sintesi: i) i meccanismi di intervento precoce e le misure di risoluzione introdotti con il SRM sono la risposta organizzata per la prevenzione e l’ordinata soluzione di situazioni di crisi, ii) l’aiuto di Stato è ancora praticabile senza innescare quei meccanismi, in ipotesi di grave rischio per la stabilità finanziaria soltanto in favore di Istituti “solventi” e nei casi predeterminati dalla legge. È così possibile procedere ad una ricapitalizzazione precauzionale soltanto quando la carenza di mezzi propri derivi dai risultati di prove di stress o di altre analoghe verifiche.
La vicenda si riallaccia al salvataggio della piccola Tercas, il caso che ha dato il via all’applicazione in Italia delle misure di risoluzione delle crisi bancarie. In quell’occasione l’intervento del FITD, soggetto di natura privata e che utilizza risorse altrettanto private, è stato considerato aiuto di Stato dalla Commissione UE. Subito dopo, sulla scorta del negativo precedente, quattro banche – ormai ben note -, tutte less significant, erano avviate alla risoluzione: prima applicazione in Italia delle nuove regole di internalizzazione dei costi, con sacrificio di azionisti e detentori di obbligazioni subordinate.
Il seguito è noto, con coda di altre crisi e di ripetuti interventi del legislatore nazionale, che è approdato a soluzioni disparate, stretto tra l’esigenza di fornire tutela ad una vasta platea di risparmiatori, danneggiati dalle crisi, l’obbedienza alla regola del burden sharing e il divieto di aiuti di Stato.
La Popolare di Bari è anch’essa less significant e in amministrazione straordinaria dal dicembre scorso. Il provvedimento della Banca d’Italia è giunto quando sono trascorsi circa quattro anni dal recepimento della direttiva BRR e dalla risoluzione delle quattro banche. Un tempo vissuto intensamente dal sistema creditizio nazionale, interessato dalle profonde riforme, che i regolatori hanno adottato, e da una difficile ricerca di redditività, ma, insieme, bersagliato dalle crisi di vari Istituti, anche rilevanti.
Con il d.l. 16 dicembre 2019, n. 142, convertito nella l. 7 febbraio 2020, n, 5, si è disposto il rafforzamento patrimoniale di Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale (MCC) per novecento milioni di euro, perché possa operare come banca d’investimento in favore delle imprese nel Mezzogiorno, da realizzarsi anche attraverso il ricorso all’acquisizione di partecipazioni al capitale di banche e società finanziarie operanti in quel territorio.
È anche prevista la scissione di Mediocredito Centrale, per costituire una nuova società, interamente partecipata dal MEF, cui sono assegnate le attività e le partecipazioni acquisite. È poi nel comunicato stampa della Presidenza del Consiglio (n. 18/2019), che «nell’ambito ed in linea con la suddetta missione» si prevede un aumento di capitale per sostenere il «rilancio» della Banca Popolare di Bari, con lo scopo di «tutelare i risparmiatori, le famiglie e le imprese supportate dalla BPB». Il comunicato precisa che sono in corso “negoziazioni” tra gli amministratori straordinari, Mediocredito Centrale e Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) per la stipula di un “Accordo Quadro”, volto al rilancio della banca.
Il decreto non fa menzione della banca pugliese, ma, in sede di conversione, nel corso dell’audizione svolta presso la Commissione Finanze della Camera il 9 gennaio scorso, Mediocredito Centrale ha riferito che l’intervento pubblico sarà affiancato da un intervento privato in favore della Banca Popolare di Bari. Il FITD ha infatti disposto, il 31 dicembre 2019, un’iniezione di capitale di 310 milioni, con l’impegno ad un ulteriore intervento nel capitale della banca fino a un ammontare massimo complessivo di 700 milioni, e ha affermato che il ruolo di MCC è di intervenire sottoscrivendo un aumento di capitale per un importo da determinare, in funzione del rendimento di mercato del capitale investito.
È stato inoltre chiarito che entrambi gli interventi – FITD e MCC – saranno basati su un piano industriale prodotto dalla banca e condiviso con le altre parti, da cui risulti l’effettivo fabbisogno patrimoniale, necessario al rilancio concreto della banca, determinato all’esito di un processo di due diligence. Viene così prefigurato un percorso, che individua le necessità di apporto di capitale in funzione del programma di rilancio, che sarà definito con i nuovi soci.
In sintesi le risorse mobilitate dallo Stato, per il tramite del MCC, e dal sistema creditizio, attraverso il FITD, sono destinate al recupero dell’equilibrio economico patrimoniale dell’Istituto in amministrazione, ma secondo valutazioni che obbediscono alle regole di mercato. L’intervento di capitalizzazione porterà la banca sotto il controllo pubblico, anche se, in attesa della conclusione delle attività di verifica, non è ancora definito l’effettivo fabbisogno. Il riferimento alle condizioni di mercato, per valutare l’investimento, è un sostanziale rinvio ai criteri utilizzati da investitori privati, con lo scopo di evitare effetti distorsivi della concorrenza.
Se il Fondo Interbancario aveva incontrato il diniego della Commissione UE per l’intervento proposto in favore di Tercas, ora torna in campo e questa volta al fianco di un socio di natura pubblica. La vicenda della piccola banca teramana, in amministrazione straordinaria, si riassume nella decisione della Commissione che ha valutato come aiuto di Stato, indiretto, il sostegno del Fondo, perché non sarebbe il risultato di un’autonoma scelta, bensì la conseguenza delle indicazioni della Vigilanza. Peraltro la Corte di Giustizia, con sentenza 19 marzo 2019, ha annullato la decisione della Commissione, negando che le misure a favore di Tercas presupponessero l’uso di risorse statali e fossero imputabili allo Stato. È pendente appello della Commissione. Il FITD è certamente soggetto di natura privata, ma per la Popolare di Bari è disposto l’intervento con prevalenti risorse pubbliche.
In proposto è utile ricordare il recente caso della Norddeutsche Landesbank, banca rilevante, a vigilanza BCE, regolata da una legge del settore pubblico e non quotata. I due Laender che detengono il controllo e il sistema di protezione istituzionale tedesco delle Casse di Risparmio (DSGV) hanno predisposto un investimento di circa 3,6 miliardi per ricapitalizzare l’Istituto, con risorse prevalentemente pubbliche. La Commissione UE – il comunicato stampa è del 5 dicembre scorso – ha ritenuto che le misure previste non violano il divieto di aiuto di Stato, in quanto attuate a condizioni di mercato, che consentono allo Stato di ricevere una remunerazione in linea con quanto un operatore privato accetterebbe. Per tale ragione, le misure non integrano l’aiuto di Stato. Sono i soci di controllo della NordLB a ricapitalizzare, quindi le risorse sono pubbliche, ma usando la comparazione con un investimento di natura privata la Commissione ha svolto una valutazione prospettica sui risultati attesi, per escludere effetti distorsivi della concorrenza.
Conclusione che ricorda numerosi precedenti in termini e, tra questi, una decisione del 20 ottobre 2004, riguardante il medesimo Istituto (C(2004) 3926), dove tra l’altro si legge che «L’esistenza di un aiuto può essere accertata soltanto verificando se il prezzo pagato dal beneficiario della misura corrisponda al prezzo di mercato. Quando fondi pubblici e altri attivi vengono utilizzati per attività commerciali svolte in concorrenza con altri operatori, le regole normali dell’economia di mercato devono essere applicate». La Commissione ha applicato il principio dell’“investitore in economia di mercato”, con concreta valutazione del singolo caso allo scopo di verificare la sussistenza di un aiuto di Stato.
Sempre della Norddeutsche Landesbank si era occupata la Commissione, con decisione del 27 luglio 2012, che riconosceva il carattere di aiuto di Stato nella ricapitalizzazione svolta dai soci, con risorse statali, in una situazione di crisi finanziaria ed economica che avrebbe reso molto difficoltoso reperire un simile capitale sul mercato. Nel dicembre scorso, in un quadro ordinatorio fortemente innovato dall’azione comunitaria, la Commissione è tornata ad usare il criterio della comparazione con l’investitore privato, precisando che il caso riguarda un Istituto di proprietà pubblica: considerazione che rinvia alla regola fissata all’art. 345 Tfue, per cui i trattati sono neutrali rispetto al regime di proprietà dei Paesi membri.
Mentre un intervento precauzionale e preventivo in favore di una banca in crisi deve attenersi a modalità fortemente vincolistiche, una sostanziale nazionalizzazione torna a misurarsi con il generale principio del rispetto delle regole di mercato. L’orientamento che emerge nuovamente è che l’investimento pubblico, svolto dallo Stato quale operatore economico in condizioni di mercato, non richiede l’applicazione della più stringente disciplina, riservata alla gestione delle crisi bancarie, dove l’aiuto è finalizzato a restituire equilibrio finanziario e piena operatività alla banca in difficoltà.
Tornando alla Popolare di Bari, l’acquisizione della banca ne modifica il regime proprietario e si qualifica come intervento pubblico, svolto sulla base di un esame nel merito delle condizioni d’intervento, perciò con valutazione di mercato, secondo un itinerario che, con evidenza, tende ad inserirsi nel solco del precedente tedesco (nello stesso senso va ricordata anche la decisione presa per la portoghese Caixa Geral de Depósitos, 4 gennaio 2017). Il principio della internalizzazione del costo della crisi, che introduce alla diretta responsabilità degli investitori, si è infine dimostrato di difficile attuazione, al punto che piuttosto di consolidare fiducia nel sistema creditizio, sembra contribuire ad indebolirla.
La posizione che la Commissione ha assunto nei casi descritti indica consenso per l’intervento dello Stato, in qualità di operatore economico, aprendo all’aiuto pubblico con il solo limite delle condizioni di mercato. Il quadro dei fatti è oggi di nuovo in imprevedibile e drammatico movimento e nuove regole saranno ancora adottate. L’economia è materia in costante evoluzione, sensibile al mutare degli eventi, che il diritto regola, ma sempre guidato dai principi accolti nella Carte fondanti del Paese ed il mercato, in questa prospettiva, è strumento, non scopo.