In un quadro globale di forte destabilizzazione, la tenuta delle posizioni acquisite da parte delle imprese e soprattutto le transizioni verso profili di partecipazione più complessi sembrano associarsi ad una migliore dinamica dell’export italiano
Quali sono state le risposte del sistema esportatore italiano alla crisi pandemica e nella successiva fase (perturbata) di ripresa? Un saggio di “Economia Italiana” indaga a fondo sulle trasformazioni del nostro export. Il complesso delle evidenze presentate seguendo tre livelli di analisi distinti, ma concettualmente e operativamente integrati (macro-settoriale-micro), converge nel mostrare come la performance dell’export italiano nella fase post-Covid – superiore a quella dei principali competitor europei – sottintenda fenomeni di riposizionamento del sistema esportatore che hanno migliorato la sua capacità di risposta in un contesto persistentemente perturbato.
Per l’Italia il recupero delle esportazioni e importazioni di beni è stato estremamente rapido e già nel 2021 entrambi gli aggregati avevano superato il livello del 2019 in termini reali; è stato necessario un anno in più e il venir meno delle limitazioni alla mobilità delle persone, con le positive conseguenze sull’aumento dei flussi turistici dall’estero, per assistere al pieno recupero anche delle esportazioni e delle importazioni di servizi.
Complessivamente, tra il 2019 e il 2022 l’export di beni in volume dell’Italia (+9,6% rispetto al 2019) è cresciuto in misura superiore a quello della Ue (+9,1%), della Uem (+8,8%) e dei principali competitor europei (Germania +2,9%, Paesi Bassi +8,7% e Francia -4,9%). Per il secondo anno consecutivo, inoltre, l’incremento dei volumi di beni esportati dall’Italia è stato superiore a quello del commercio mondiale nel suo insieme e la quota sulle esportazioni mondiali del 2022 a prezzi costanti è ulteriormente aumentata, portandosi al 2,6%. Le analisi condotte hanno misurato, per l’Italia, un effetto competitività positivo (al netto dei fattori merceologici e geografici), con un guadagno particolarmente significativo nella prima fase di uscita dalla pandemia.
In questo contesto, l’evoluzione complessiva delle relazioni commerciali nella fase post-Covid ha visto l’Italia mostrare segnali di riposizionamento più accentuati rispetto agli altri principali paesi europei, con una tendenza all’aumento della concentrazione dei mercati di sbocco, dal lato dell’export, e ad una maggiore diversificazione di quelli di approvvigionamento, dal lato dell’import.
Il riposizionamento complessivo del sistema produttivo italiano è stato generato da dinamiche settoriali eterogenee, che si associano a due tipologie di riposizionamento: da una parte, i settori – quali elettronica, alimentari e bevande, tessile, abbigliamento e pelli e chimica – per i quali si osserva un aumento della concentrazione dei mercati di destinazione e una contestuale maggiore diversificazione di quelli di approvvigionamento. Dall’altra, i comparti – quali macchinari, metallurgia e prodotti in metallo, altre manifatturiere e gomma, plastica e minerali non metalliferi – per i quali si osserva una tendenza alla concentrazione delle relazioni commerciali sia in entrata sia in uscita. In entrambi i casi, si rileva un ridimensionamento dell’articolazione geografica dell’export.
Per quanto riguarda le dinamiche d’impresa, l’evoluzione del sistema esportatore nel senso di una maggiore partecipazione media alle reti produttive internazionali (RPI) è associata a dinamiche che evidenziano lo spostamento di ampi segmenti di imprese, soprattutto di piccole dimensioni, verso forme più complesse, seppure in un contesto di elevata mobilità in entrata e in uscita dai diversi profili.
Una valutazione sintetica dei comportamenti delle imprese esportatrici dopo la fase acuta della pandemia vede, tra il 2019 e il 2022, il 69,2% delle imprese (32mila aziende) mantenere la stessa tipologia di coinvolgimento iniziale all’interno delle RPI, il 13,2% (6mila) mostrare un arretramento ed il 17,6% (8mila) un avanzamento verso profili più complessi. Il saldo tra avanzamenti e arretramenti nella modalità di partecipazione alle RPI è dunque positivo e pari, tra il 2019 e il 2022, al 4,4% delle imprese persistentemente esportatrici (circa 2mila unità).
In un quadro globale di forte destabilizzazione, la tenuta delle posizioni acquisite e soprattutto le transizioni verso profili di partecipazione più complessi sembrano associarsi ad una migliore dinamica dell’export: la crescita media dei volumi esportati tra il 2019 e il 2022 scaturisce infatti da un incremento del 17,3% rilevato in media per i casi di maggiore partecipazione e del 9,4% per le imprese che non hanno cambiato tipologia di coinvolgimento nelle RPI; sul fronte opposto, le aziende che hanno registrato un minore coinvolgimento hanno mostrato una forte diminuzione dei volumi esportati (-10%).
La governance delle imprese sembra rappresentare un fattore influente della loro performance post-Covid: se per le imprese domestiche, in gran parte di piccola e media dimensione, una maggiore intensità di partecipazione alle RPI è emersa come fattore rilevante per la performance del loro export, per le imprese a controllo estero sembra aver giocato un ruolo importante (inizialmente in senso negativo e successivamente in senso ampiamente positivo) la stabilità del posizionamento, dovuta alla forte interdipendenza con le strategie dei gruppi globali; per le multinazionali italiane sembra confermarsi una elevata resilienza e capacità di gestione della notevole articolazione merceologica e geografica della loro presenza sui mercati esteri.
In conclusione, le analisi presentate sembrano confermare e rafforzare, da un lato la rilevanza del sistema esportatore per la crescita dell’economia italiana, dall’altro un’elevata capacità di reazione e adattamento delle imprese, anche di piccole dimensioni, al contesto post-Covid, caratterizzato da una forte ripresa della domanda ma anche da ulteriori shock e perturbazioni.