In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

PIR, ricomincio da tre

I PIR si avviano a vivere la loro terza incarnazione, che per le sue caratteristiche si presenta come la più riuscita. Ecco il loro nuovo identikit e quali opportunità offrono a risparmiatori e operatori. Ma anche quali limiti possono incontrare

Giuseppe Guglielmo Santorsola
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L’impatto sul sistema economico-produttivo della crisi di origine sanitaria è stato affrontato proponendo in prevalenza la consueta alternativa tra la concessione di credito e la messa a disposizione di sovvenzioni finalizzate ad alleviare il fabbisogno di liquidità generatosi all’improvviso a seguito del venir meno delle opportunità di ricavo.

Indipendentemente dalla efficacia delle scelte adottate, si tratta comunque di una soluzione che tralascia l’impatto di lungo termine delle conseguenze della crisi, aspetto che s’innesta nel tema della corretta struttura finanziaria delle imprese più in difficoltà nel ricorrere direttamente al mercato finanziario.

Sotto un profilo opposto e simmetrico, anche le opportunità di investimento del risparmio erano e sono costantemente alla ricerca di soluzioni di lungo periodo, in ottica di protezione dei rischi demografici e sanitari connessi con l’allungamento della vita umana. Il tutto considerando eccezionale lo stato attuale e gestendo pertanto la fase di ritorno alla “nuova” normalità.

L’ORIGINE DEI PIR E LA CRISI SUCCESSIVA

Capitalizzazione delle imprese attraverso strumenti assorbitori del rischio e investimenti finanziari di lungo periodo del risparmio opportunamente incentivanti hanno trovato riscontro nel 2017 nella proposta di Piani di Investimento del Risparmio (PIR).

La prima versione, flessibile nella forma e non condizionata da eccessivi vincoli ed obblighi di direzione negli investimenti, ebbe notevole successo in congiunzione (anche per effetto dell’operato degli stessi PIR) con condizioni di mercato favorevoli. Già l’anno successivo, l’andamento negativo nell’ultima parte del 2018 di tutti i mercati finanziari e il sovrapporsi di modifiche legislative, di fatto tese ad aumentare il novero dei settori e delle imprese potenziali destinatari dell’investimento dei PIR, frenarono lo sviluppo della raccolta e diminuirono il valore del patrimonio, nullificando il punto di forza commercialmente e psicologicamente più forte e cioè l’agevolazione fiscale.

Nel corso del 2019, la seconda versione dei PIR con i nuovi vincoli all’investimento, obiettivamente poco in linea con l’impianto strategico iniziale, hanno rallentato ulteriormente la raccolta, mentre i risultati precedenti non positivi hanno indotto (anche erroneamente) ad operazioni di disinvestimento che, a loro volta, hanno impedito di conseguire i benefici della crescita delle quotazioni. L’analisi statistica dei dati di Borsa relativi agli strumenti finanziari coinvolti dall’impianto della normativa conferma che:

  1. nel 2017 la quotazione delle azioni di società compliant alla normativa degli investimenti dei PIR ha performato meglio della media generale del mercato;
  2. in alcuni casi si sono realizzati price/book value troppo elevati perché si è assistito ad una forte concentrazione degli acquisti sui titoli migliori in un ambito di mercato ristretto rispetto alla domanda;
  3. la ammissione alla quotazione di nuovi titoli, alimentata dalle condizioni del 2017, è avvenuta con un timing (ex-post) infelice, invertendo la propensione da tempo auspicata;
  4. il legislatore, anche perché costantemente disomogeneo nella formazione della sua maggioranza, ha modificato troppo spesso l’assetto normativo, non conseguendo di fatto l’obiettivo, anzi generando un costante minor interesse generale verso lo strumento PIR;
  5. il complesso dei fattori ha depresso il comparto, attenuando l’attenzione sui fattori del risparmio di lungo termine e del finanziamento delle imprese con capitale di rischio, sovrappesando l’attesa dei benefici fiscali, disincentivando la progettazione di nuovi prodotti e l’impegno di marketing e commercializzazione.

Tutto ciò conferma peraltro l’indispensabile presenza di incentivi per alimentare attenzione verso nuovi campi di investimento; ancor di più, la modifica degli stessi destabilizza e motiva comportamenti opposti.

Obiettivamente, la ragione del successo in termini di raccolta è stata motivata dall’agevolazione fiscale che annulla la tassazione delle rendite finanziarie realizzate. Non si è posta adeguata attenzione, nell’azione commerciale, sull’investimento verso le aziende con migliori prospettive di sviluppo, fattore invece che ha modificato, in una prima fase, la ritrosia verso la quotazione.

Possiamo anche sostenere l’ipotesi che fattori congiunturali abbiano avversato lo strumento, un episodio di scarsa “fortuna” nel senso latino della parola.

Valutata ex-post la scelta normativa di ampliare il perimetro degli investimenti si è rilevata infelice perché obbligava ad allungare la duration ottimale oltre l’orizzonte dei cinque anni per il quale è previsto il beneficio tributario, ricomprendendo investimenti immobiliari e di venture capital, inidonei con il target del risparmiatore tipo dei PIR di 1^generazione. Per costui, risulta invece ottimale la scelta di un investimento sistematico (del tipo PAC, ma non obbligatoriamente) con un processo di crescita costante ed un rischio di volatilità contenuto.

Al contrario, il successo iniziale (dovuto anche alla scarsità dei titoli in cui è possibile investire) ha generato un rialzo che ha generato ribassi successivi che hanno motivato comportamenti “irrazionali” e diffusi.

In particolare:

  1. alcuni risparmiatori (o i loro gestori in prevalenza) hanno preferito abbandonare il prodotto per approfittare delle plusvalenze, rinunciando al beneficio tributario;
  2. altri soggetti hanno volutamente seguito l’investimento negli stessi titoli, con scelte indipendenti dai vincoli della normativa PIR, per acquisire indipendenza nella gestione delle scelte di composizione dei portafogli;
  3. si è sviluppato un sentiment negativo verso il prodotto PIR, che ha pesato sia sulla nuova raccolta (prevalentemente negativa, salvo aprile 2020) sia sul valore del portafoglio al momento dell’abbandono, ulteriore elemento foriero di perdite quando invece gli stessi titoli hanno recuperato le quotazioni.

VERSO I NUOVI PIR

È quindi apprezzabile la volontà di promuovere la terza versione che allarga il perimetro verso le aziende non quotate (un rischio che presenta peraltro anche un cospicuo versante positivo) e verso strumenti finanziari diversi dalle azioni (un’opportunità di migliore gestione del rischio su livelli inferiori).

Inoltre, l’allargamento verso piccole imprese amplia la responsabilità dei gestori verso la miglior selezione (per la quale non tutti i gestori offrono le migliori prospettive) e influenzerà a sua volta la futura resistenza sul mercato dell’offerta dei prodotti (un altro rischio da affrontare con adeguate capacità).

Ancora una volta, peraltro, la “fortuna” non gioca a favore in quanto a timing ottimale e la scommessa risiede nell’avere definito la nuova versione nel contesto del Decreto Rilancio (art. 136), quindi nel momento più critico. La liquidità disponibile è scarsa, la propensione verso i depositi bancari aumenta per necessità di protezione verso il futuro e si staglia anche la competizione di emissioni pubbliche quali i BTP€ Italia che hanno già assorbito con successo il favore di molti sottoscrittori.

Sotto un profilo concettuale è certamente interessante la differenza impostata fra PIR tradizionali e alternativi. Fermo restando il vantaggio fiscale (0% contro il 12,5/26%, in cambio della nota percentuale del 21% investita nei titoli-obiettivo e del mantenimento dell’investimento per almeno 5 anni), si è aggiunto il campo più allargato degli investimenti consentiti ricomprendendo fondi aperti, contratti assicurativi e prodotti di capitalizzazione.

Inoltre, sotto queste condizioni si può superare il plafond annuo (da 30.000€ a 150.000€) e quello complessivo (da 150.000€ a 1.500.000€), coinvolgendo una platea di investitori obiettivamente più sensibile all’offerta, per capacità di diversificazione del proprio portafoglio. Viene di fatto riconosciuto che il risparmiatore più retail può restare insensibile – per necessità – al dedicare quote delle proprie scelte verso l’investimento azionario (sarebbe bastato a monte studiare meglio le statistiche storiche in materia). Anche la quota di concentrazione (spostata dal 10 al 20%) si muove in linea con l’azione tipica dei fondi meno tradizionali, delle gestioni separate e del segmento del private/wealth management.

I nuovi PIR e le ipotesi di GigaPIR possono investire anche tramite FIA con maggiore libertà di manovra, ELTIF, fondi di private equity, di private debt e di venture capital, questi certo inidonei per i PIR tradizionali. Si può attendere (o pretendere) interventi ulteriori in materia di quote minime di sottoscrizione (da abbassare) e di facoltà di collocamento (da allargare se inquadrate nel prodotto PIR alternativo), estese ai risparmiatori più prudenti nella loro mappatura.

La leva del beneficio fiscale risulterebbe così allargata e potrebbe avere i suoi effetti, considerando che l’orizzonte a cinque anni (ovviamente un minimo e non una scadenza) potrebbe beneficiare di buoni risultati in un ciclo congiunturale che si prevede notevolmente più favorevole di quello attuale nel quale essi iniziano a proporsi sul mercato. 

ASPETTI CRITICI

Un dubbio necessario concerne la capacità di analisi e selezione del portafoglio; la maggior parte delle SGR, protagoniste del primo ciclo dei PIR, sono dedicate ai mercati di quotazione e alle imprese non minori.

Il mondo degli ex-fondi chiusi e del private equity è invece meno esperto nel campo dei risparmiatori raggruppati in numeri considerevoli; pertanto, si crea per loro un problema di crescita e penetrazione nelle aree della sollecitazione e della distribuzione. Una sfida interessante per i consulenti finanziari, in particolare quelli indipendenti, che potenzialmente rappresentano il segmento con il più alto tasso potenziale di sviluppo nel segmento PIR alternativi.

Sotto il profilo della gestione innovativa dei principi dettati da MiFID II/MiFIR, numerosi operatori, in cerca di nuove opportunità, potranno sperimentare nuove iniziative attuando strategie di portafoglio e non di prodotto, approfittando della elasticità insita nel nuovo disegno dei PIR alternativi. Una sfida attesa da molti attori che può rivoluzionare l’azione delle SIM, generando ricavi e margini, assottigliati (soprattutto i secondi) dall’applicazione della citata direttiva, qualora ristretta al solo perimetro “trascinato” dalla MiFID I.

Per i consulenti sarà necessario aggiungere alle competenze relative alla finanza mobiliare quelle tipiche della finanza corporate, una vera e propria sfida culturale che modifica il campo dalla consulenza finanziaria a quella patrimoniale. Un investimento culturale di per sé selettivo, ma indispensabile.

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