Il Principe

di Leonardo Morlino

Perché non dichiararsi antifascisti? Qual è il punto?

Il partito comunità. La ricerca del voto basandosi sull'adesione identitaria. La strategia della polarizzazione. Oltre alle ragioni, la polemica sull'antifascismo può diventare un boomerang per tutti

Leonardo Morlino
MORLINO

Nelle ultime settimane, sia prima che dopo il 25 aprile, queste domande sono state presenti su tutti i media con numerose interviste, testimonianze e sondaggi. Come mai?

Prima di rispondere, va affermato, a scanso di equivoci, che dichiararsi antifascisti è, innanzi tutto, una professione di adesione alla democrazia. Non farlo, almeno sul piano simbolico, può significare che si abbiano dubbi sul sostegno alla democrazia o addirittura che si aderisca a posizioni illiberali. Infatti, per pararsi da questa critica, molti tra quelli che non si sono dichiarati antifascisti hanno, poi, fatto professione di adesione ai valori democratici. Per costoro, comunque, l’ambiguità rimane. Ma allora perché non tagliare corto e fare la dichiarazione di antifascismo? E, d’altra parte, perché insistere nel richiedere da parte della sinistra questa dichiarazione?

Al di là di quanto emerge da certi sondaggi, che vanno considerati con cautela, la leader di Fratelli d’Italia e diversi esponenti di quel partito hanno scelto di non fare quella dichiarazione. Le ragioni essenziali sono elettorali.

Siamo in un contesto di sempre maggiore astensione elettorale e distacco – se non alienazione – dalla politica, caratterizzato anche da notevole instabilità nel voto, la cosiddetta volatilità elettorale. In queste condizioni la Meloni, insieme al suo gruppo dirigente, ha deciso di cercare il voto basandosi sull’adesione identitaria al partito.

Può farlo perché effettivamente diversi dati ci dicono che FdI è uno dei due partiti a cui corrisponde una qualche comunità che vi si riconosce (l’altro partito è il PD). Un indicatore rilevante dell’esistenza di queste due (ridotte) comunità lo si ricava dal numero delle persone che destinano a quei due partiti il due per mille dell’irpef.

Se quella è la strategia, la conseguenza è che la dichiarazione antifascista sarebbe inappropriata e confondente al fine di mantenere e, magari, accrescere quell’identità che si rifà al Movimento Sociale Italiano e alla sua storia. Su questo c’è poco da aggiungere. Ovviamente, si tratta solo di una componente dell’appeal elettorale. Poi, ci sarebbe da integrare elaborando le basi per un partito nazionale conservatore. Compito su cui il gruppo dirigente di FdI è ancora molto indietro, sia perché difficile da pensare concretamente all’interno dell’Unione europea, sia perché dovrebbe essere costruito sul risultato di politiche interne – non tanto internazionali – di successo in un contesto economico con assai poche risorse.

E la sinistra, perché insiste su quella dichiarazione? Nelle democrazie contemporanee, una delle strategie più usate per manipolare l’opinione pubblica è la polarizzazione o, meglio, la bipolarizzazione, che costringe i cittadini a coinvolgersi e scegliere un versante di un’antinomia. Questa strategia, di nuovo, si è rivelata particolarmente efficace in un contesto di bassa partecipazione e indifferenza. L’aveva intuita, e largamente praticata, Berlusconi negli anni ’90, creando la contrapposizione tra comunisti e anticomunisti. Per quanto artificiosa, perché il comunismo era scomparso in Europa, quella antinomia risultò elettoralmente efficace.

Parimenti efficace, per fare un altro esempio, la contrapposizione proposta dai partiti neopopulisti di questi anni tra “noi e loro”, tra noi popolo, per ciò stesso depositario di democrazia, e un’élite attaccata al potere, e ovviamente corrotta. La nuova antinomia tra fascisti e antifascisti è anch’essa radicale. Alla fine, contrappone chi è autenticamente democratico e non ha difficoltà a dichiararsi antifascista e chi non lo è. E, dunque, va messo fuori dal gioco democratico.

Il punto è che, dietro tante parole e, spesso, l’abuso di retorica da parte di tutte le parti in causa, si sta giocando una partita alla fine pericolosa per tutti perché, a sua volta, inserita in un contesto internazionale conflittuale ed economico, che da solo può contribuire alla delegittimazione democratica. Un richiamo alla responsabilità è necessario proprio di questi tempi che mal sopportano certe strategie e manipolazioni.

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