Il Principe

di Leonardo Morlino

Perché in Italia un partito conservatore è impossibile

La politica identitaria di FdI. La dinamica con i partiti della coalizione. La manipolazione come strumento per la stabilità. Le aspettative degli elettori

Leonardo Morlino
MORLINO

Da anni si discute in Italia sull’opportunità di avere un partito conservatore che, insieme a un partito moderato di sinistra, riproduca un modello ordinato di democrazia, ovvero un modello in cui le libertà sono prioritarie per uno o più partiti e, al tempo stesso, forme di uguaglianza/solidarietà sono prioritarie per altri partiti.

I risultati delle elezioni del 2022, con il successo di Fratelli d’Italia, hanno fatto pensare a molti che era questa l’occasione buona, attesa da molti e che avremmo avuto un tale partito. L’evoluzione di questo biennio con i percorsi intrapresi dal suo leader e da FdI hanno invece mostrato che ormai è impossibile che si formi un partito del genere, come ad esempio era avvenuto in Spagna negli anni Ottanta. In breve, le aspettative sono andate deluse. Perché? Che cosa è successo proprio in questi due anni?

Va detto, innanzi tutto, che la trasformazione di FdI in un partito conservatore, magari anche liberale, risponde di più ai desideri di intellettuali legati a schemi antichi di destra/sinistra dentro democrazie parlamentari, che a quelle di un elettore che si aspetta dal partito al governo, conservatore o no, risultati concreti per la sua vita quotidiana.

Con questa precisazione, però, rimane la domanda: perché la trasformazione non è avvenuta, ovvero non è stata fatta, malgrado i vantaggi che FdI avrebbe potuto avere, a cominciare dalla possibilità di allargare in questo modo l’appello elettorale?

Se mettiamo da parte aspetti dovuti all’eredità del passato e ci limitiamo a considerare alcuni fattori di fondo, ci si deve ricordare che la prima regola generale all’interno di una competizione elettorale è che un partito che vince non si cambia, anzi se ne rafforzano gli aspetti che hanno portato al suo successo, almeno quelli percepiti tali dal suo leader e dal suo gruppo dirigente.  La comunità di riferimento non può che rimanere la stessa. Anzi, diventa ancora più centrale e rilevante e i legami vanno rinforzati. I quadri e tutta la sua classe dirigente si rinsaldano all’interno del partito.

La seconda regola riguarda il fatto che un partito è inevitabilmente una componente di un sistema (partitico) e, dunque, deve tenere conto dei suoi competitori, sia all’interno del suo campo (destra o sinistra che sia) che all’esterno. Rispetto ai competitori interni (Lega e Forza Italia), la scelta della Meloni è stata, innanzi tutto, identitaria. Ovvero, a fronte di andamenti elettorali degli ultimi anni, in cui la volatilità – cioè il cambio di voto – è aumentata notevolmente, avere un elettore fidelizzato che rientri in quella comunità di riferimento è importante. Se, poi, quella comunità crea imbarazzi, magari facendo emergere anche l’adesione a valori non democratici, modalità comunicative e mezze negazioni cercheranno di alleggerire il costo di quella politica identitaria, considerata necessaria e all’interno presentata come coerenza di chi non tradisce il proprio passato, e gli amici.

Questa politica si è anche resa necessaria a causa della Lega, che in anni passati è stata trasformata dal suo leader in un partito di destra e ancora vorrebbe esserlo, invadendo proprio i ‘territori’ di FdI. Di qui la necessità di offrire identità rispetto a politiche estemporanee e demagogiche del competitore. Questa posizione lascia, d’altra parte, tranquilla Forza Italia, che non si sente minacciata rispetto alla conquista del proprio elettorato. Il risultato complessivo è una maggiore stabilità all’interno della coalizione di governo. Tale scelta viene anche ribadita dalla proposta di riforma costituzionale, il premierato elettivo, che è tanto in linea con posizioni passate, quanto contraria allo spirito dell’attuale costituzione.

Rispetto ai competitori esterni, specie i piccoli partiti di centro e il partito democratico, la soluzione migliore resta quella di mantenere la polarizzazione come principale strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Cioè creare e ricreare continuamente quel meccanismo per cui l’elettore deve prendere posizione da una parte o dall’altra, senza mediazioni e compromessi, ed è così spinto a partecipare, altrimenti avrebbe la responsabilità di esiti per lui disastrosi, è una modalità efficace di fare politica, che alla fine è accettata anche dall’altra parte. Ma appunto il mantenere un meccanismo manipolativo simile è ben lontano da quello che dovrebbe fare un partito conservatore, attento anche a governare e non solo al successo elettorale.

Bisogna avere, però, anche la lucidità di vedere l’altra parte della medaglia e non fare il gioco facile, facendo cadere tutte le responsabilità solo sui leader. Per avere un partito come quello di cui stiamo discutendo ci vorrebbe anche un elettorato (conservatore, possibilmente liberale) più o meno disponibile a partecipare a livello di base.

Questi elettori-cittadini ci sono stati in momenti particolari della nostra storia. Innanzi tutto, all’indomani della seconda guerra mondiale, ma ora non ci sono più, e realisticamente non ci saranno più. Le nostre società si allontanano sempre di più dalla politica. A parte le insoddisfazioni e critiche per aspettative tradite, specie nelle fasi di crisi economica, l’atteggiamento prevalente è che fuori della politica c’è molto altro e ben più attraente.