Osservatorio Banche
Perché fanno paura le difficoltà di una piccola banca o di un fondo immobiliare

Il circuito finanziario si propone sempre più come una realtà di vasi comunicanti. Da qui la preoccupazione per le difficoltà di alcune banche minori e per lo “stato di salute” dei fondi immobiliari rivolti al mercato non residenziale, con l’Europa come osservata speciale 

Silvano Carletti
Carletti

Più passano i mesi più si diventa consapevoli che il superamento del Quantitative Easing (QE) sarà un processo lungo e complesso e il suo esito non sarà il ritorno alla casella di partenza. Per un decennio le autorità monetarie hanno immesso nel circuito finanziario globale un flusso di liquidità che ammonta a molti trilioni accompagnandolo con generose opportunità di rifinanziamento (nell’eurozona il tasso di interesse applicato alle operazioni di rifinanziamento principale è rimasto sotto l’1% da luglio 2012 a settembre 2022; molto favorevoli anche le condizioni delle operazioni TLTRO, soprattutto quelle della serie 3).

La dinamica economica ne ha sicuramente beneficiato, riuscendo a riemergere da un lungo periodo di stagnazione e dal drammatico arresto causato dalla pandemia. La politica monetaria generosamente accomodante ha però anche indotto non pochi intermediari ad adottare posizioni che ora risultano poco o per nulla sostenibili.

Il cosiddetto sistema bancario ombra ha raggiunto una dimensione quasi analoga a quella del sistema bancario ufficiale. Lo shadow banking system è un diversificato insieme di istituzioni (assicurazioni, hedge funds, fondi pensione, fondi d’investimento, società di credito al consumo, etc) in grado di finanziare molte attività economiche in sostituzione o in concorrenza con il sistema bancario tradizionale. Diversamente da quest’ultimo, tuttavia, è spesso sottoposto a obblighi normativi troppo contenuti rispetto ai rischi che decide di assumere, una cornice normativa poco armonizzata tra i diversi paesi, in assenza per quasi tutti i comparti di un’autorevole autorità regolatoria globale. Da sottolineare due ulteriori aspetti: i due circuiti (quello bancario ufficiale e quello bancario ombra) sono in misura non trascurabile tra loro intrecciati; in alcuni comparti dello shadow system si realizza un’intensa innovazione finanziaria.

L’uscita dalla lunga fase del QE non potrà limitarsi ad una “normalizzazione” della politica monetaria, archiviando la lunga stagione dei tassi d’interesse anormalmente bassi e per un lungo periodo negativi. È necessario anche scrivere o riscrivere importanti capitoli della regolamentazione, chiudere i buchi evidenziatisi nella rete normativa esistente (circuito bancario tradizionale) o installarla là dove ancora spesso manca (shadow system). Un impegno non rinviabile in un circuito finanziario globale che sempre più si configura come un insieme di vasi comunicanti ove eventi anche limitati possono indurre ampi e rapidi processi di riallocazione dei portafogli, ancor più adesso che l’investitore può riposizionarsi nel circuito  bancario con pochi click (digital bank run).

D’altra parte, la “normalizzazione” della politica monetaria appena iniziata richiede a tutti gli operatori finanziari, bancari e non bancari, un processo di riconversione non indifferente. In presenza di un tale “rimescolamento delle carte” non stupisce che le decisioni assunte dalle autorità monetarie in questi mesi siano alternativamente giudicate troppo timide o troppo brusche.

Il riposizionamento su livelli sensibilmente più elevati dei tassi di riferimento ha supportato negli ultimi trimestri una robusta ripresa del margine d’interesse. L’importante crescita degli utili che ne è derivata consente (per ora) a gran parte delle banche commerciali di affrontare con fiducia i problemi di questa complessa fase di transizione.

Il rialzo dei tassi ufficiali è però causa di seria preoccupazione per i numerosi operatori costretti a constatare la difficoltà di gestire nel nuovo contesto i loro squilibri. Prime avvisaglie si sono avute nel marzo scorso quando negli Stati Uniti e in Europa la fragilità di alcuni gruppi bancari è precipitata rapidamente in crisi irreversibile richiedendo l’intervento delle autorità (Silicon Valley Bank, Signature Bank, Crédit Suisse). La lista delle realtà in condizione critiche non è però esaurita (negli Stati Uniti, dopo la recente sistemazione di First Republic Bank, restano in sospeso Charles Schwab e alcune rilevanti banche regionali).

In un circuito finanziario articolato come una realtà di vasi comunicanti ha un’importanza relativa dove si determina il momento di squilibrio che determina la catena di reazioni. Dopo i tremori del sistema bancario, l’attenzione è ora attratta dallo “stato di salute” dei fondi immobiliari rivolti al mercato non residenziale, con l’Europa come osservata speciale. Guardando ai dati dell’Eurozona, si tratta di un comparto relativamente piccolo, cresciuto molto in fretta nell’ultimo decennio (dai 323 milioni di euro del 2012 ai 1.040 a fine 2022), focalizzato in misura decisamente prevalente sugli immobili per uffici, un mercato che lo sviluppo dello smart working avvenuto durante la pandemia e i più rigorosi requisiti ambientali hanno stravolto. Nel mercato degli immobili non residenziali la quota dei fondi immobiliari è raddoppiata arrivando all’attuale 40%.

I fondi attivi di questo comparto sono per l’80% di tipo aperto, e ciò consente ai sottoscrittori frequenti possibilità di disinvestimento. Negli ultimi tempi si è registrata una riduzione sia dei prezzi sia del numero dei contratti (-44% a/a nell’Eurozona nell’ultimo trimestre 2022). Quando le richieste di liquidazione da parte degli investitori si confrontano con un attivo di difficile liquidazione (o liquidabile solo a prezzi modesti) il fondo immobiliare riesce a non essere travolto solo se dispone di un’adeguata riserva di liquidità. A questo requisito la normativa ha finora dedicato un’insufficiente attenzione tanto che in un’indagine del 2021 un terzo dei fondi immobiliari aperti risultavano vulnerabili sotto questo profilo.  

I dati appena proposti sono quelli medi dell’eurozona, sintesi di una realtà piuttosto diversificata (Paesi Bassi, Francia, Germania e Irlanda i paesi in situazione più difficile). Si deve, inoltre, sottolineare che gli investimenti cross border sono una componente frequente e crescente nel bilancio di molti fondi immobiliari.

In Italia il comparto dei fondi immobiliari sembra meno vulnerabile soprattutto perché la normativa nazionale prevede che essi siano costituiti in forma chiusa. Non dovendo fronteggiare impreviste richieste di riscatto, la liquidità ha nel loro bilancio un rilievo più modesto rispetto ad altri contesti. La leva finanziaria è pari a 130 rispetto ad una media europea di 140. Nel 2009 era ben più alta (180) ma la rivalutazione dell’attivo e la riduzione dell’indebitamento ne hanno determinato un rilevante ridimensionamento. Seppure non mancano operatori che si caratterizzano per una leva su livelli decisamente non prudenti o per un patrimonio netto negativo.

Il comparto dei fondi immobiliari italiani si finanzia in parte con intermediari bancari nazionali (8 mld), in parte con intermediari esteri (9 mld). Nel complesso un’esposizione quantitativamente contenuta, non brillante sotto il profilo della qualità (al lordo delle rettifiche, 13% è la quota dei finanziamenti deteriorati).

Nell’insieme un quadro rassicurante per l’Italia. Questa valutazione, però, non deve essere enfatizzata sia per le interconnessioni cross border all’interno del comparto, sia soprattutto perché (come già verificato in passato) le crisi finanziarie difficilmente restano confinate ad un solo/pochi comparti/paesi.

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