In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Per una classificazione dei criteri ESG nel risparmio gestito

La finanza sostenibile è il tema che, a livello regolatorio, terrà maggiormente banco in Europa nei prossimi mesi. Ecco che cosa prevedono la Mifid II, la SFRD e la CSRD e con quali scadenze temporali

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

L’interesse per la sostenibilità del contesto sociale, ambientale ed economico è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni. Un approccio disruptive e globale che coinvolge ogni aspetto dell’economia reale, dell’economia finanziaria e delle relazioni sociali.

La velocità di questo cambiamento risulta particolarmente accelerata negli anni ’20; taluni manifestano la sensazione che la pervasività del fenomeno possa risultare eccessiva premiando la semplice accettazione del nuovo modello, cui nessuno si oppone, verso il quale non sussistono motivazioni adeguate per contrastarlo. Il management di molte imprese indirizza la propria attenzione verso la purpose first economy, cioè un’economia che posiziona lo scopo dell’impresa al primo posto nell’attenzione di tutte le scelte.

Altre ipotesi suggerite ritengono essenziale allineare strategie e pratiche aziendali, un tempo indirizzate verso i soli shareholders, con gli interessi degli stakeholder con l’obiettivo di creare valore sostenibile a lungo termine. Il modo in cui le aziende rispondono agli interessi degli stakeholder è parte integrante della trasformazione, che si traduce in un maggiore impegno verso le questioni ambientali, sociali e di governance, così come verso le questioni di diversità, equità e inclusione.

Da queste considerazioni discende la verifica della possibilità di individuare una progressiva modifica dei criteri che consentono di riconoscere l’effettiva sussistenza dei fattori che sono alla base del riconoscimento dei fattori ESG alzando progressivamente l’asticella una volta riconosciuto che rientrare nei parametri risulti ormai eccessivamente facile.

A livello personale, la visione è influenzata da un precedente studio del 2019 nel quale per la prima volta venivano approfonditi i fondamenti dell’economia e, soprattutto, della finanza sostenibile analizzando gli investimenti socialmente sostenibili (SRI) connessi alla individuazione dei fattori ESG. Quello studio fu commissionato da Raiffeisen Capital Management che ha collaborato anche in questo caso offrendo la base statistica e la costruzione del modello di analisi che viene sviluppato, nonché collaborando alla documentazione utilizzata nel testo1.

Lo nota si pone un obiettivo preciso, dedicandosi al tema della finanza sostenibile e, in particolare, alla valutazione dell’approccio che viene applicato dai prodotti del risparmio gestito collettivo per classificare e ordinare i prodotti offerti.

In questo contesto vengono presi in considerazione i dossier normativi entrati in vigore in materia di regolamentazione della finanza sostenibile e relativi alle ulteriori modifiche della MiFID II ed in merito alla individuazione di tassonomie utili alla migliore classificazione dei prodotti di investimento e alla definizione (a livello comunitario) degli EU Green Bond Standards. A monte vi è l’analisi del Regolamento SFDR con la proposizione di nuove norme di dettaglio in vigore già nel corso del 2023.

La finanza sostenibile è pertanto il tema che a livello regolatorio maggiormente terrà banco in Europa nei prossimi mesi. I fronti rilevanti per l’industria del risparmio gestito sono diversi, e con differenti gradi di sensibilità e complessità. In termini cronologici, tra i primi spiccano le linee guida sull’obbligo di integrazione delle preferenze di sostenibilità nella valutazione di adeguatezza, introdotto con le modifiche alla Mifid II e già entrate in vigore dal 2 agosto 2022. I consulenti sono tenuti a raccogliere informazioni alla clientela sulle eventuali preferenze di sostenibilità e tenere in considerazione tali preferenze per proporre prodotti coerenti.

All’inizio 2023, è intervenuta la pubblicazione delle linee guida sui rinnovati obblighi di product governance previsti dalla Mifid II. Su questo fronte, infatti, le imprese di investimento sono tenute a rivedere periodicamente un mercato target di clienti finali per ogni prodotto, e una strategia di distribuzione che sia coerente con il mercato target identificato.

Le modifiche introdotte riguardano:

– la specifica di tutti gli obiettivi legati alla sostenibilità con cui un prodotto è compatibile,

– l’identificazione di un mercato target per cluster di prodotti invece che per singolo prodotto,

– la revisione periodica dei degli strumenti di investimento.

  • IL DETTAGLIO DELLE PREVISIONI NORMATIVE DEL SFDR

SFDR prevede che la denominazione sia decisa dalla normativa. Per usare i termini “green” nella indicazione degli investimenti sarà necessario rispettare regole rigide.

La classificazione dei fondi è ripartita in tre categorie: 

  • articolo 6 (ovvero nessun approccio green – pale green), 
    • art. 8 (green, ma non troppo – light green), 
    • art. 9 (completamente green – dark green).

Una classificazione che ha inizialmente generato una corsa per l’adeguamento dei prodotti esistenti con l’obiettivo di etichettare i vari fondi nel rispetto della normativa SFDR al primo livello.

Con l’entrata in vigore del SFDR o meglio con il documento di consultazione ESMA, “On Guidelines on funds’ names using ESG or sustainability-related terms” nel 18 novembre 2022, si è evidenziato l’obiettivo di delineare un perimetro condiviso entro il quale poter effettivamente considerare un prodotto finanziario SFDR ed ESG compliant come rispondente alle indicazioni contenute nell’art. 8, individuando criteri quantitativi da rispettare in termini di investimenti per poter usare o meno termini come ESG, sostenibilità e impatto nei nomi dei fondi. 

In origine, per offrire un significativo controllo del greenwashing, ma che potrebbe avere diversi effetti collaterali sullo sviluppo dell’industria ESG. 

Nel documento spiccano tre requisiti che ESMA indica come criteri da rispettare per usare o meno dei termini nei nomi di fondi. In particolare: se un fondo ha una qualsiasi parola legata all’ESG nel suo nome, deve prevedere che un percentuale minima di almeno l’80% dei suoi investimenti venga utilizzata per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali (in pratica secondo queste linee guida nessun fondo ex-articolo 6 e non tutti gli attuali fondi ex-articolo 8 possono usare questa terminologia.

Se un fondo utilizza il termine “sostenibile” (comprese le sue derivazioni), deve rispettare il requisito dell’80% di cui sopra, ma deve anche garantire che almeno il 50% degli investimenti utilizzati per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali o l’obiettivo di investimento sostenibile del fondo si qualifichino come “investimenti sostenibili” ai sensi dell’articolo 2 della norma.

Oltre a questi due requisiti, per poter utilizzare il termine “sostenibilità” o altri termini legati all’ESG nel nome del fondo, un fondo deve anche rispettare le esclusioni per i contenuti dei benchmark (allineati all’accordo di Parigi) stabilite nell’articolo 12 del regolamento delegato sui benchmark.

Tra queste esclusioni alcune sono più note, come ad esempio il coinvolgimento in attività legate alle armi controverse, altre risultano meno conosciute e più difficili da applicare, come l’esclusione di aziende che, secondo quanto riscontrato o stimato da loro stesse o da fornitori di dati esterni:

  1. danneggiano in modo significativo uno o più degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9 del regolamento (UE) 2020/852 [la tassonomia UE];
  2. generino l’1% o più dei loro ricavi dall’esplorazione, estrazione, distribuzione o raffinazione di carbon fossile e lignite;
  3. generino il 50% o più dei loro ricavi dalla produzione di energia elettrica con un’intensità di gas serra superiore a 100 g CO2 e/kWh.

Come spesso evidente l’obiettivo della normativa è nobile e doveroso, combattere il greenwashing e fare chiarezza, ma il primo effetto potrebbe vedere una riduzione del numero di fondi ESG e sostenibili, perché oggi un discreto numero essi si classifica ex-articolo 8 principalmente sulla base di strategie di screening negativo.  

I “nuovi” criteri di esclusione potrebbero compromettere il futuro dei fondi ex-articolo 8 che utilizzano strategie di screening negativo meno rigorose di quelle delineate dall’ESMA. Le imprese che si troveranno in questa posizione dovranno valutare se possono mitigare questo rischio riclassificandosi come articolo 6 o, se possono migliorare la loro strategia ESG, diventare art. 8 plus, se non addirittura art. 9.

Il regolamento SFDR sottrae l’indirizzo dello sviluppo dell’offerta ESG al settore del marketing, e potrebbe rallentare la corsa degli ultimi anni e riportare questi strumenti in una condizione di “nicchia”. Questo, salvo che la domanda di fondi ESG non fosse davvero così pressante come il mercato ha rivelato nell’ultimo quinquennio.

  • L’OBIETTIVO DELLA CORPORATE SUSTAINABILITY REPORTING DIRECTIVE – CSRD

La nuova Direttiva CSRD imporrà alle imprese di pubblicare regolarmente i dati relativi al loro impatto sociale e ambientale. Ciò dovrebbe rafforzare l’economia sociale del mercato europeo e porre le fondamenta per standard di trasparenza sulla sostenibilità a livello mondiale.

La CSRD modifica la Direttiva 2014/95/UE sulla rendicontazione non finanziaria (DNF), introducendo requisiti più dettagliati e garantendo che le imprese siano tenute a fornire un’adeguata rendicontazione sulla sostenibilità della propria attività, come ad esempio il rispetto dei diritti ambientali, sociali e umani e dei fattori di governance (ESG), sulla base di criteri comuni in linea con gli obiettivi climatici dell’UE.

Le imprese saranno oggetto di controlli e certificazioni indipendenti, per far sì che i dati forniti siano attendibili. La DNF sarà equiparata a quella finanziaria prevedendo la diffusione agli investitori che avranno accesso a dati attendibili, comparabili e accessibili digitalmente.

La CSRD si applica a tutte le grandi imprese e alle società quotate sui mercati regolamentati, che avranno anche l’obbligo di rendere disponibili le informazioni a livello delle loro filiali.

Le nuove norme sull’informativa di sostenibilità saranno applicabili anche alle PMI quotate, che avranno comunque più tempo per adeguarsi.

Per quanto riguarda le imprese non europee, l’obbligo di fornire un rapporto sulla sostenibilità si applica a tutte le aziende che generano un fatturato netto di 150 milioni di euro nell’UE e che hanno almeno una filiale o una succursale nell’UE. Queste aziende dovranno fornire un rapporto sui loro impatti ESG.

Queste nuove Regole troveranno applicazione secondo il seguente schema temporale:

– 1° gennaio 2024 per le grandi imprese di interesse pubblico che sono attualmente soggette alla DNF;

– 1° gennaio 2025 per le grandi imprese non ancora soggette alla  DNF;

– 1° gennaio 2026 e le altre imprese quotate, con scadenza tuttavia nel 2027.

Le PMI possono scegliere di non partecipare fino al 2028.

In generale, un utile schema regolatorio, oppure: troppe regole, nessuna regola?

  1. Ringrazio in particolare la dottoressa Simona Bruson di Raiffeisen Capital Management per la preziosa collaborazione per la redazione di questo articolo