E’ noto quanto sia difficile analizzare un fenomeno complesso come le elezioni in qualunque paese democratico, anche per la cronica mancanza di dati più precisi ed approfonditi sulle ragioni del comportamento elettorale dei cittadini. Ma rispetto ai risultati del secondo turno di domenica scorsa ci si può porre una domanda più semplice: questo turno suggerisce qualcosa di nuovo rispetto a due settimane fa? Oppure conferma solo la straordinaria affermazione del Pd, lo scorso 25 maggio?
La risposta si può sintetizzare in pochi punti. E’ confermato complessivamente il successo del Pd. Considerando i soli capoluoghi di provincia il Pd passa da 17 a 19, l’ex-Pdl da 12 a 8, con 1 sindaco al Movimento 5 Stelle. Però, quello che vince effettivamente è il Pd (R) dove R sta sia per Renzi che per Rinnovato. Infatti, nei capoluoghi come Livorno, Padova, Perugia o anche Potenza, dove questo rinnovamento non c’è o non è percepito con chiarezza dall’elettorato i ballottaggi sono stati perduti del Pd. La terza osservazione è che anche con un meccanismo elettorale come il ballottaggio, in se stesso necessariamente bipolarizzante, la diversa distribuzione territoriale del voto non fa emergere un secondo polo: a Livorno il sindaco eletto proviene dal Movimento 5 Stelle, a Padova dalla Lega, a Perugia da Forza Italia, a Potenza dalla destra. In breve, nella possibile attesa di una nuova legge elettorale per il Parlamento, il sistema partitico rimane tripolare, lo spazio potenzialmente maggioritario per il Pd (R) rimane inalterato e il voto assai volatile.
Però, sia la campagna elettorale che i risultati brevemente sintetizzati hanno lasciato in ombra un aspetto assai importante, anche per effetto dell’abbinamento con le elezioni europee. La stampa ne ha già segnalato certi elementi quando ha richiamato i problemi emersi con le difficoltà e incertezze della tassazione locale. Uno degli effetti principali della crisi economica è stata la spinta all’accentramento con relativo taglio di risorse per i comuni. Ora se si vedono sia pure rapidamente i bilanci delle grandi e piccole città ci rendiamo subito conto di come una parte importante di quei bilanci alimenti l’economia locale. Ma se proprio quella parte dei bilanci più rilevante per la crescita e il migliore andamento dell’economia locale viene e verrà ridotta, che ne resta degli annunci sulla crescita fatti dal governo Renzi? In altri termini, una parte non piccola del rilancio dell’economia italiana può e deve partire anche dalle realtà locali, ma queste mostrano problemi e sofferenze con governi indebitati o molto indebitati o i cui eventuali fondi accantonati, quando ce ne sono, sono bloccati dalle disposizioni europee sul patto di stabilità. Questo è il problema che avranno davanti a sé i nuovi sindaci, e per essi il rapporto (privilegiato?) con il governo sarà molto importante.
In una prospettiva diversa questo è un tema che sta doppiamente sulla scrivania di Renzi sia nel senso che il coinvolgimento dei comuni e delle città metropolitane non può che essere una parte importante del rilancio dell’economia che il primo ministro si propone di realizzare sia nel senso che la riforma del senato è accompagnata da quella del titolo V ovvero del decentramento. Dunque, ulteriori connessioni di cui tenere conto, e che ancora una volta sconfiggono gli spensierati sostenitori della semplicità e semplificazione.