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Per battere la disoccupazione serve l’impegno di tutta la Ue

Senza il contributo attivo dei paesi in surplus è impensabile creare nuovo impiego in misura sufficiente. Serve un Fondo per il riequilibrio delle domande interne e il sostegno all’occupazione.

Antimo Verde
Verde

Sorprende sinceramente come nessuno dica che quello della disoccupazione è un problema che può trovare una soddisfacente soluzione solo a livello europeo, cioè con il coinvolgimento dell’unione monetaria europea. Tassi disoccupazione del 27 per cento, in Spagna, o del 14 in Italia, non sono più riassorbibili, nel medio andare, con i tassi di crescita previsti per tali paesi. E c’è poco da dire: per quanto riguarda l’Italia, la causa non sta tanto nell’elevato costo unitario del lavoro, ma nell’estrema carenza della domanda interna. Possiamo dire che la stessa causa vale anche per tutti i Piigs. Per questo motivo, il problema della disoccupazione, come della povertà e della disuguaglianza, deve coinvolgere l’intera Unione. Ciò dovrebbe essere del tutto ovvio, ma non lo é. E vale perciò la pena di ricordare il fondamento di tale coinvolgimento. Il paese che aderisce ad un’unione monetaria incompleta, cioè non dotata di un’unione politica, sostiene dei costi dati dalla perdita del cambio, della politica monetaria autonoma, dai vincoli imposti alla politica di bilancio, per cui potrebbe essergli impossibile conseguire la riduzione della disoccupazione. Eppure dalla partecipazione all’Unione esso deve trarre, al pari degli altri, benefici netti, altrimenti essa non avrebbe molto senso. Anche l’unione fiscale, che si ha quando l’unione gestisce un bilancio federale di adeguate dimensione, potrebbe consentire l’assorbimento di squilibri, come quello occupazionale, nei paesi vulnerabili dell’area monetaria. Ma gli Stati membri non vogliono, né l’unione politica né quella fiscale, perché non vogliono perdere sovranità politica o impositiva. Ciò che ci possiamo chiedere però é se non sia possibile ottenere i benefici dell’unione fiscale, senza averla realizzata. La risposta può essere positiva se si potesse ricorrere ad un coordinamento delle politiche o delle azioni degli stati membri stessi.

Non è poi difficile immaginare quale forma può assumere questa azione coordinata, finalizzata, ad esempio, alla riduzione della disoccupazione e della povertà. Innanzitutto è alquanto agevole individuare i paesi a carico dei quali porre i costi del coordinamento: quelli a persistente surplus delle partite correnti, cioè Germania, Finlandia, Austria. In tutti questi paesi, il livello della spesa interna, per consumi e per investimenti è – per definizione – inferiore a quello possibile. Per le loro scelte economiche, quindi, la crescita dell’unione è inferiore a quella potenziale, e ciò ostacola il riassorbimento della disoccupazione dei paesi dove essa è più elevata. Pertanto la “svolta” della politica economica europea di cui si discute ma senza avere un’idea, potrebbe essere è intuibile, se inserita in un’ottica comunitaria come dovrebbe essere. Quando la disoccupazione e la povertà raggiungono livelli socialmente e politicamente insostenibili – ad esempio un tasso di disoccupazione superiore al 10 per cento – i paesi in surplus corrente dovrebbero aumentare significativamente la propria domanda di consumi ed investimenti, per aiutare i paesi ad elevata disoccupazione a ridurla.

Tuttavia questa ricetta non permette di centrare l’obiettivo, per il semplice fatto che la maggiore domanda interna tedesca, finlandese, austriaca ecc. si indirizzerà, non solo verso l’interno, ma anche verso i prodotti di tutto il mondo e solo in misura ridotta verso quelli dei paesi da aiutare. Ora il modo di evitare questa “perdita” esiste, ed è quello di creare un apposito “Fondo per il riequilibrio delle domande interne e il sostegno dell’occupazione”. Come funzionerebbe questo Fondo? In primo luogo, i paesi con avanzi correnti della bilancia dei pagamenti dovrebbero finanziare il Fondo in una misura, per esempio, pari alla differenza tra il saldo effettivo della bilancia e il 4 per cento, che è una soglia di cui si discute in alcuni documenti dall’Unione. Le risorse finanziarie del Fondo debbono essere poi spendibili prontamente da parte dei paesi nei quali il tasso di disoccupazione abbia superato, ad esempio nell’anno precedente, il 10 per cento. Le risorse vanno inoltre destinate al sostegno di differenti tipologie delle domanda interne di paesi ad elevata disoccupazione: quelle dei settori in crisi e a più elevata disoccupazione, ad esempio, come quello degli autobus e di altri mezzi di trasporto, oppure quelle dei settori a più elevato impatto moltiplicativo dell’output e dell’occupazione, come il turismo e le costruzioni.

Esistono moltissime modalità per sostenere le domande settoriali (acquisti diretti da parte della PA, contributi in conto interessi, bonus ecc.) e per far si che ciò non comporti un aumento del debito pubblico dei paesi beneficiari. In più si possono immaginare molti modi per permettere la restituzione delle risorse. Certamente modalità differenti nei vari passaggi di questo meccanismo di riciclaggio di domande e di sincronizzazione ciclica possono essere ipotizzate e sperimentate. Esso può inoltre essere affinato in modo da ridurre i conflitti all’interno tra stati che sopportano l’onere dell’aggiustamento e quelli che traggono benefici. Il meccanismo va comunque realizzato e ciò non per motivi etici o solidaristici, ma per la stabilità dell’Unione stessa. Nel caso, probabile, di un’opposizione della Germania alla proposta, le somme messe a disposizione del Fondo potrebbero anche essere fornite dall’Unione. Insomma: l’importante non è che un gatto sia bianco o nero, ma che prenda i topi.