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Pegno mobiliare non possessorio: istruzioni per l’uso

Il c.d. Decreto Banche n. 59/2016 ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di costituire garanzie reali senza spossessamento sui beni mobili afferenti all’esercizio dell’impresa. La scissione fra titolarità della garanzia e situazione possessoria risponde all’obiettivo di conciliare la domanda di finanziamento dell’impresa e la tutela dei creditori, in riferimento alla certezza del diritto e ai suoi tempi di realizzazione. La facoltà di disposizione del bene oppegnorato da parte del costituente è bilanciata consentendo la soddisfazione del valore del bene ad opera dello stesso creditore.

Daniela Sciullo
Sciullo

Ai sensi dell’art. 1 D.l. n. 59/2016, così come modificato dalla L. n. 119/2016, gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti (concessi a loro o a terzi), presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa.

La modalità costitutiva del pegno mobiliare non possessorio delineata dal legislatore consta della formalità dell’atto scritto sotto pena di nullità, cui far seguire l’iscrizione nel nuovo Registro dei pegni non possessori. Il disposto della stessa norma indica gli elementi dell’atto costitutivo che devono puntualmente essere indicati e risultare per iscritto: le parti (creditore e debitore o terzo concedente); il bene oggetto di garanzia e il credito garantito, con l’indicazione dell’importo massimo garantito; la specifica individuazione del bene, ogniqualvolta si tratti di pegno non possessorio a garanzia di finanziamento per l’acquisto di un bene determinato.

Tale forma scritta è richiesta ad substantiam e l’adempimento pubblicitario, che avviene mediante l’iscrizione presso il Registro dei pegni non possessori tenuto presso l’Agenzia delle Entrate, all’uopo istituito ai fini dell’opponibilità a terzi (così come specificato dalla Legge in sede di conversione) sembra assumere carattere dichiarativo, e non già costitutivo, come inizialmente prefigurato dai primi studiosi della norma.

Essa si atteggia come una fattispecie negoziale di carattere non già reale, come il pegno ordinario, bensì di natura consensuale. Purtuttavia i commentatori (Ambrosini) hanno evidenziato come il solo accordo per iscritto tra le parti non sia condizione necessaria e sufficiente ai fini della costituzione, poiché la fattispecie di pegno non possessorio è da ricondurre sia ai negozi formali ai sensi dell’art. 1350 c.c., sia a quelli consensuali ex art. 1372 c.c., comma 1.

Dalla data di iscrizione nel Registro dei pegni non possessori, regolando così anche le ipotesi di pluralità di contestuali atti costitutivi, si fa discendere la priorità di soddisfazione sul ricavato della vendita del bene e, come accennato, l’opponibilità nei confronti dei terzi.

Anche nella disciplina ordinaria del pegno, pur sempre limitatamente all’eccedenza del pegno rispetto al credito garantito, è ammessa la costituzione di pegni successivi; ma il primo creditore pignoratizio o il terzo custode devono formalmente assentire a ritenere la cosa in custodia anche per il creditore pignoratizio successivo e, di regola, il conflitto fra creditori è regolato in base alla priorità del conseguimento della signoria sulla res.

In riferimento al principio dell’anteriorità dell’iscrizione del pegno non possessorio, il comma 5 dell’art. 1 D.l. 59/2016 specifica che esso, anche se anteriormente costituito e iscritto, non è opponibile a chi abbia finanziato l’acquisto di un bene determinato che sia destinato all’esercizio dell’impresa e sia garantito da riserva della proprietà sul bene medesimo, ovvero da un pegno, anche non possessorio, successivo, a condizione che il pegno non possessorio sia iscritto nel registro in conformità al sesto comma dello stesso art. 1, e che al momento della sua iscrizione il creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente.

Invero la previsione normativa ha prestato il fianco alle critiche della più attenta dottrina (Ambrosini, Zanotelli), che ha rilevato come la scelta del legislatore, nell’ipotesi di conflitto fra più creditori pignoratizi, ingeneri una sorta di preferenzialità di fatto foriera di far vacillare la struttura teleologica della garanzia. Gli stessi giuristi si sono interrogati, dunque, su quale attrattiva possa esercitare una garanzia che potrebbe non risultare funzionale allo scopo, essendo concesso ai creditori successivi di essere anteposti a quello iniziale. Per edulcorare la portata del privilegio, il legislatore ha previsto l’obbligo per il creditore “finanziatore” di attenzionare i precedenti titolari di pegni non possessori sullo stesso bene e, in tal guisa, pare che il creditore soccombente possa azionare anche le forme di cui all’art. 2843 c.c. (attraverso un’estensione analogica, consentita dal comma 10-bis, inserito in sede di conversione).

L’iscrizione del pegno nell’apposito Registro ha durata decennale ed è rinnovabile compiendo la successiva iscrizione anteriormente alla scadenza del decimo anno.

La cancellazione dell’iscrizione può essere chiesta di comune accordo dal creditore pignoratizio e dal datore del pegno oppure può essere domandata giudizialmente.

Le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli obblighi a carico di chi effettua tali operazioni, nonché le modalità di accesso al registro stesso sono demandate ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia.

Le disposizioni della norma regolano altresì le forme di escussione della garanzia, prevedendo un preavviso scritto al costituente e agli altri eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente.

Segnatamente il creditore potrà procedere attraverso le seguenti strade: l’escussione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita; la vendita dei beni oggetto del pegno, con trattenuta del corrispettivo a ristoro del credito; la locazione con imputazione dei canoni (ma solo ove sia previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese) e l’appropriazione; tutte percorribili – ovviamente – fino a concorrenza dell’importo garantito.

L’opzione vendita è giocoforza caratterizzata da una serie di cautele ulteriori a tutela del debitore e degli altri creditori che possano vantare diritti sul residuo valore del bene. In particolare, la vendita deve avvenire tramite procedure volte a spuntare il miglior importo da restituire al costituente e il creditore ha l’obbligo di informare immediatamente per iscritto il debitore della somma ricavata e restituirne contestualmente l’eccedenza.

Le procedure di vendita non sono tipicamente indicate, ma devono essere competitive ed espletate con adeguate forme di pubblicità; massima informazione, trasparenza e partecipazione degli interessati. Non sono ammesse vendite a trattativa privata.

Il tipo di pubblicità cui ricorrere è selezionabile, caso per caso, in base ad un giudizio di opportunità da condursi a seconda del valore e della tipologia dei beni coinvolti; ma in nessun caso il creditore potrà sottrarsi alla pubblicità sul portale delle vendite pubbliche di cui all’art. 490 c.p.c.

Tali procedure possono aver luogo anche avvalendosi dell’operato di esperti cui affidare la redazione di specifiche stime, designati dalle parti di concerto o, in mancanza, dal giudice.

Per quanto concerne la locazione del bene oggetto del pegno, invece, il contratto deve prevedere i criteri di definizione del canone. Il creditore pignoratizio, anche qui, è onerato di darne immediata comunicazione scritta al datore della garanzia stessa.

Anche ai fini dell’appropriazione dei beni oggetto del pegno il creditore deve comunicare immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al bene. E ciò in deroga al divieto di patto commissorio e a condizione che il contratto, che deve essere iscritto nel registro delle imprese, abbia consentito tale possibilità e abbia parametrato le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell’obbligazione garantita.

A contemperare tali facoltà e a presidio della tutela del debitore, il legislatore ha espressamente previsto all’art. 1, comma 9, D.l. n. 59/2016 un rimedio a carattere giudiziale risarcitorio, azionabile quando la vendita sia avvenuta in violazione dei criteri e delle modalità prescritte. I presupposti di operatività sono: l’infrazione della procedura descritta dallo stesso articolo per l’escussione del pegno, con vendita del bene ad un prezzo non corrispondente a quello di mercato e, in secondo luogo, che il diritto di escussione del pegno non sia controverso.

Nell’ipotesi in cui il debitore abbia adempiuto alla propria obbligazione ovvero individui una modalità alternativa di estinzione del debito, invece, ricorrerà la tutela giurisdizionale piena: in sede di conversione del decreto legge, infatti, l’articolo 1 in commento è stato completato con la disciplina del procedimento per l’opposizione all’intimazione, che si giustappone al rimedio risarcitorio di cui al comma 9 sopra descritto.

Ai sensi del comma 7-bis dello stesso articolo, difatti, il debitore e l’eventuale terzo concedente il pe­gno possono proporre opposizione nei modi e nelle forme del ricorso disciplinato dal Libro quarto, Titolo I, Capo III-bis, c.p.c., entro cinque giorni dall’intimazione (termine di impressionante brevità, considerando le tempistiche per un effettivo esercizio del diritto di difesa, come evidenziato da Ambrosini).

Si sancisce così, con la possibilità per il debitore o l’eventuale terzo concedente di istare per ottenere gli opportuni provvedimenti, finanche di natura cautelare (Brogi) e, su istanza dell’opponente per i casi più gravi, il giudice può inibire in via di urgenza al creditore di procedere a norma del precedente comma 7.

A chiusura, il pegno mobiliare non possessorio è espressamente equiparato dal Decreto a quello ordinario per quanto riguarda l’applicazione della revocatoria fallimentare ai sensi degli artt. 66 e 67 della Legge Fallimentare.