Il mercato del lavoro italiano ha maggiori margini di intervento rispetto ad altri quando si tratta di compensare il calo demografico. L’Italia storicamente registra tassi di occupazione nettamente inferiori alla media europea, soprattutto per quanto riguarda le donne. La sfida consisterà nel coinvolgere chi ancora oggi non ha potuto dare il proprio contributo, affrontando i limiti di carattere economico, culturale e sociale che ancora affliggono il nostro Paese
L’industria italiana è chiamata ad una grande sfida: diventare più forte nel corso dei prossimi decenni, dovendo fare a meno di otto milioni di persone in età da lavoro. A tanto ammonterà il conto dell’inverno demografico nel 2050 secondo le stime più recenti. Questo deve essere il punto di partenza di qualsivoglia analisi sul futuro della nostra economia. Un futuro non molto lontano, dato che alla metà del secolo mancano meno di trent’anni.
Anno dopo anno le aziende italiane avranno sempre minore manodopera da inserire tra le proprie fila. Una difficoltà che ha già cominciato a palesarsi negli ultimi due anni, sull’onda della ripresa dalla crisi del Covid. Un dato significativo: il mancato reperimento di figure specifiche ha costituito il principale freno per le aziende piacentine nel 2022 e 2023, anche più della crisi energetica e delle tensioni geopolitiche (Ufficio Studi Confindustria Piacenza).
Rispondere a questa epocale dinamica demografica con la semplice continuità condannerebbe l’industria italiana – la seconda in Europa per produzione – a un progressivo ridimensionamento sia in termini relativi che assoluti. Inutile dirlo: uno scenario da evitare.
Paradossalmente, il mercato del lavoro italiano – anche con i propri limiti – ha maggiori margini di intervento rispetto ad altri quando si tratta di compensare il calo demografico. L’Italia, infatti, storicamente registra tassi di occupazione nettamente inferiori alla media europea, soprattutto per quanto riguarda le donne. A metà del 2023 il tasso di occupazione italiano ha raggiunto il 66%, mentre la media europea corre a oltre 75% e vicini come Francia e Germania registrava valori pari a 75,4% e 81,6%. La sfida consisterà nel coinvolgere chi ancora oggi non ha potuto dare il proprio contributo, affrontando i limiti di carattere economico, culturale e sociale che ancora affliggono il nostro Paese.
Un processo che dovrà correre lungo due direttrici: i giovani e le donne.
La percentuale di Neet in Italia è tra le più alte d’Europa (17,7%) con picchi per il genere femminile e per il Mezzogiorno. Le imprese devono essere in grado di dialogare con le nuove generazioni sin da oggi, per farsi conoscere e stabilire un contatto. Il giovane di oggi si informa attraverso lo smartphone, si rifà a modelli differenti e ha priorità specifiche. Sempre più spesso nei colloqui vengono avanzate domande ai selezionatori relative alla flessibilità oraria e al tempo libero, ancor prima di entrare nell’ambito del trattamento economico. Se il nostro obiettivo è assumere talenti e far sì che crescano insieme a noi, dobbiamo dare loro fiducia facendo comprendere loro quali percorsi di crescita possono intraprendere.
Prima però è necessario che i profili giusti da assumere esistano. In questi anni Confindustria Piacenza insieme a tante altre realtà territoriali ha investito notevoli risorse sull’orientamento, decidendo di focalizzarlo sulle scuole medie e limitandosi ad informare giovani e famiglie sulle occasioni offerte dal territorio in cui risiedono. Sempre a stretto contatto con gli istituti scolastici abbiamo portato sempre più alunni in visita all’interno delle aziende associate. A tredici o quattordici anni non ti rimane impresso ciò che hai sentito dire, ma quello che hai visto e sentito in prima persona.
Uno dei concetti che costantemente emerge dalle visite è spesso la distanza che divide la vita quotidiana delle aziende dai luoghi comuni che la riguardano. L’industria italiana si trova a competere in un mercato globalizzato, con potenze in ascesa. L’asticella della competitività si alzerà: negli stabilimenti non ci sarà più spazio per figure operative generiche. L’evoluzione tecnologica renderà l’industria sempre più automatizzata e ai collaboratori saranno richieste competenze verticali e specifiche. Nelle aziende competitive le mansioni tecniche, trattasi di periti o laureati, si caratterizzeranno per un elevato valore aggiunto generato dal binomio uomo-macchina. Un lavoro profondamente diverso da quello che i luoghi comuni collegano alla fabbrica in senso stretto.
Proprio alla luce di questi cambiamenti dovremo scardinare le barriere che ancora separano le ragazze dalle discipline tecniche. Nel 2024 non è possibile accostare le discipline STEAM ai soli maschi: è un tabù che deve essere superato. Incontri sul territorio, testimonianze dirette di ragazze che hanno fatto carriera nelle nostre aziende, campagne di comunicazione trasparenti che permettano di mostrare al pubblico cosa accade in produzione. Sarà un processo lungo ma questo costituisce un primo importante passo.
Uno degli argomenti più discussi di questa fase storica è l’intelligenza artificiale.
Da decenni nelle nostre aziende hanno fatto capolino centri di lavoro e macchinari automatizzati. Laddove l’automazione rispondeva in maniera predefinita a input umani, l’IA riuscirà ad elaborare soluzioni sulla base delle informazioni in suo possesso. Un clamoroso passo avanti, che però vedrà sempre l’umano operare nel corso del cosiddetto “ultimo miglio”. L’IA funziona soltanto se dall’altra parte l’umano è stato in grado di porre la domanda giusta, formulata correttamente e accompagnata dalle necessarie informazioni di partenza.
Alle nuove generazioni sarà richiesto un livello di competenze notevole e su due livelli: cultura e nozioni di base della disciplina accompagnate dalla capacità di interfacciarsi con i sistemi automatizzati. I periti industriali di domani approderanno in un mondo produttivo irriconoscibile rispetto a oggi. Questo perché è ormai chiaro come – per la maggioranza dei ruoli all’interno delle industria – Intelligenza artificiale e automazione non sostituiranno gli operatori ma ne saranno ideali complementi, lavorando all’unisono e amplificando esponenzialmente le capacità umane. Chi oggi ignora l’IA verrà presto messo da parte dalla storia, chi la vede come una minaccia adotta un approccio controproducente, chi sta studiando il modo di farsela amica invece sta già vincendo la sfida dell’innovazione.
Ci troviamo di fronte a un futuro delineato dall’affermazione dell’intelligenza artificiale in un contesto di profondo inverno demografico. Due fenomeni epocali, che però potrebbero essere più compatibili di quanto immaginavamo: la tecnologia, se applicata ai processi produttivi in maniera virtuosa, permetterà di incrementare la produttività sopperendo alla diminuzione della popolazione in età da lavoro. I fenomeni di questa portata si possono subire passivamente – accettando supinamente gli effetti collaterali e sperando di cogliere i frutti – oppure governare attivamente – limitando gli effetti negativi e ottimizzandone le potenzialità. Una potenza industriale come l’Italia deve scegliere questa seconda opzione.