Perché i mini-bond sono meno diffusi al Sud che al Nord? Perché tra gli imprenditori italiani c’è una forte difficoltà a mettere un muro tra finanza aziendale e finanza personal-familiare? Perché da noi il “piccolo è bello” rischia sempre di essere una condanna al nanismo, con l’aggiunta del fatto che la tendenza a indebitarsi a breve e la scarsa patrimonializzazione spesso circondano di precarietà questo tipo di impresa? Una risposta (anche se forse non l’unica) sta nelle scarse competenze finanziarie dei piccoli imprenditori. Tema su cui si è appena svolto un convegno presso l’Università Mercatorum a Roma, organizzato da Assonebb (Associazione per l’enciclopedia della banca e della borsa), con la relazione introduttiva di Alberto Franco Pozzolo (presidente di Assonebb e ordinario di economia politica all’Università del Molise) e la partecipazione delle categorie dei piccoli imprenditori (Confcommercio, Coldiretti, Fedart Fidi, Unioncamere e Confartigianato) e dei soggetti deputati ad affrontare il problema della financial literacy, cioè delo svilupo delle competenze finanziarie (dalla Banca d’Italia alla Consob all’Associazione commercialisti, ecc.).
C’è molto da fare, hanno concordato tutti, ma non siamo all’anno zero. Far capire ai piccoli imprenditori (più di sei milioni in Italia) il valore non solo del coraggio e del fiuto per gli affari, ma anche di possedere le competenze economiche e giuridiche – è stato il messaggio di Pozzolo – è una azione strategica. Solo così essi riusciranno a presentare la propria impresa al meglio quando andranno a chiedere un finanziamento, quando dialogheranno con degli investitori e con dei potenziali acquirenti. Ma oggi, secondo un survey dell’Ocse, solo 7 imprenditori su 22 posseggono quelle capacità. Troppo pochi. «Se dieci anni fa per avere un prestito bastava conoscere una persona e offrire garanzie», ha detto Luca Zarantonello di Bper, «adesso ci vuole un business plan e se lo chiedi a un artigiano ti risponde: “che cosa è?”».
Certo, non mancano i vincoli oggettivi alla crescita. Come i vincoli di legge, che costringono la piccola impresa, e l’artigiano, a essere solo ditte individuali o società di persone, con un tetto al numero dei dipendenti, mentre in Germania si è piccoli artigiani anche con 80 dipendenti, il che comporta di per sé la sviluppo di nuove competenze. Da noi la strada da percorrere è quindi quella del supporto associativo. Artigiancassa, per esempio, ha sviluppato una app che si chiama “virtual cfo” con cui offre ai suoi associati la possibilità di valutare la sostenibilità commerciale di medio periodo di una attività o di una fornitura. Le banche più sensibili a questo tipo di clientela si attrezzano con banche dati per valutare la singola azienda nel microsettore, e rispetto ai suoi concorrenti (come fa Bper). Ma la strada è anche quella della formazione, più capillare possibile, dei piccoli imprenditori stessi. Missione, quella formativa, che Banca d’Italia e Consob svolgono con iniziative in tutto il territorio, e che ora dovrebbe mirare con più attenzione verso la platea delle imprese sotto i 50 addetti. Si parte intanto con un questionario, per accernarne le conoscenze di base e le abitudini in campo finanziario.
Materiali del convegno: