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Operazioni con parti correlate, troppi buchi nella regolamentazione*

Una oggettiva ed imparziale valutazione dei profili di rischio assunti nei confronti della clientela è sempre stata essenziale per il business bancario. L’attenzione crescente per i rischi di compromissione dell’oggettività di tali valutazioni ne è la prova. La normativa sulle operazioni con parti correlate mira proprio ad evitare le distorsioni nell’allocazione di beni e risorse derivanti dalla vicinanza ai centri decisionali della banca di determinati soggetti, aventi dei “collegamenti” con la stessa. L’esistenza di conflitti di interesse, infatti, potrebbe danneggiare azionisti, investitori e depositanti, perché esporrebbe la banca a rischi non adeguatamente misurati o ponderati. La ratio della normativa sopra richiamata dovrebbe, però, facilitare gli istituti creditizi nella predisposizione dei presidi organizzativi, informativi e deliberativi atti all’applicazione della regolamentazione emanata a tali fini. In realtà non sembra essere esattamente così. La regolamentazione in vigore appare non perfettamente uniforme – nonostante gli sforzi delle Autorità di settore – e comunque non idonea ad assicurare “certezze” alle banche, tanto è vero che numerose sono le differenti sfaccettature nelle policy previste dai maggiori gruppi bancari italiani.

Vittorio Mirra
Mirra

La regolamentazione applicabile alle operazioni con parti correlate (se escludiamo i discorsi strettamente riguardanti i conflitti di interesse; cfr. art. 2391 c.c.) è di derivazione sia Consob che Banca d’Italia.

Per quanto riguarda quest’ultima, avrà rilievo la Circolare n° 263 del 2006, titolo 5 cap. V. In ambito Consob il riferimento è al Regolamento recante disposizioni in materia di operazioni con parti correlate (adottato dalla Consob con delibera n. 17221 del 12 marzo 2010 successivamente modificato con delibera n. 17389 del 23 giugno 2010).

Va da sé che i due provvedimenti sopra menzionati hanno finalità differenti (così come in generale gli approcci di vigilanza dei due Istituti); non può non notarsi, tuttavia, che il combinato disposto delle regole previste dalle diverse normative crea delle “aree grigie” che fanno permanere delle incertezze e delle difficoltà applicative concrete.

Le regole dettate dalla Banca d’Italia definiscono dei presidi per limitare le attività di rischio nei confronti di soggetti collegati. Inoltre, unitamente alla Consob, si dispone la necessità di prevedere delle procedure deliberative rafforzate per tutelare i terzi da potenziali condotte espropriative. Sono inoltre definiti i controlli interni per assicurare il rispetto dei limiti prudenziali e delle procedure deliberative sopra menzionate.

Il citato regolamento emanato dalla Consob specifica le procedure per l’adozione di operazioni con parti correlate (a seconda della rilevanza delle stesse) e gli obblighi informativi nei confronti del pubblico.

Sin qui sembrerebbe tutto perfettamente in linea con le competenze funzionali delle citate Autorità di Vigilanza, “divise” tra stabilità, contenimento         del rischio e sana e prudente gestione da una parte e trasparenza e correttezza dei comportamenti dall’altra.

La corretta applicazione delle regole in tema di parti correlate presenta, però, delle difficoltà applicative per le banche. In primis con riferimento al perimetro di applicazione, che non risulta uniforme tra le due normative.

Ciò costringe le banche ad individuare “perimetri” di applicazione divisi tra Consob e Banca d’Italia, con parziali sovrapposizioni e differenze anche sostanziali.

Quanto sopra ha ovviamente delle ripercussioni per l’organizzazione interna delle banche e con gli strumenti (informatici e non) messi a disposizione per individuare le operazioni con parti correlate, valutarle correttamente, prevedendo il corretto iter deliberativo, nonché i dovuti controlli a fini prudenziali.

Va sottolineato che anche a livello definitorio si parla di parti correlate in ambito Consob (all. 1 del Reg. 17721 del 2010), mentre in ambito Banca d’Italia è più corretto parlare di soggetti collegati (formati dalle parti correlate – che non combaciano perfettamente con quelle previste dalla Consob – ed i soggetti ad esse connessi).

Le definizioni non perfettamente coincidenti di controllo e di influenza notevole non aiutano certo a creare quella omogeneità e facilità di individuazione dei soggetti e delle operazioni interessate dalle regole prudenziali ed organizzative/informative.

Per quanto concerne i limiti alle attività di rischio, essendo di competenza esclusiva della Banca d’Italia, le regole previste non presentano particolari problematiche.

Per quanto riguarda le procedure da predisporre e da seguire per la deliberazione di operazioni con parti correlate (o soggetti collegati), le specifiche maggiori sono previste in ambito Consob, compatibili con quanto previsto dalla Circolare 263/2013 della Banca d’Italia, ma non perfettamente omogenee per quanto concerne i casi e le possibilità di disapplicazione della normativa.

In altre parole, anche per la definizione dei casi di esenzione, una banca dovrà valutare attentamente le previsioni dettate dalle due Autorità e definire un proprio elenco di operazioni esenti. Non sorprende, dunque, che detto elenco non sia coincidente tra i maggiori gruppi bancari italiani, che hanno adottato una interpretazione lievemente differente delle regole previste.

Le operazioni “ordinarie” (i.e. quelle che rientrano nell’ordinario esercizio dell’attività operativa e della connessa attività finanziaria) possono infatti essere concluse senza l’iter deliberativo rafforzato previsto dalla normativa: tuttavia è solo la Consob che prevede che dette operazioni debbano essere effettuate a condizioni standard o di mercato.

Anche le operazioni infragruppo possono beneficiare dell’esenzione dall’iter deliberativo previsto per le operazioni con parti correlate (o soggetti collegati), qualora non sussistano interessi significativi di altre parti correlate (o soggetti collegati) alla società.

Tale esenzione, però, a volte è utilizzata dalle policy adottate dalle banche solo per operazioni con controllate totalitarie dalla capogruppo.

Nella sostanza, il dovuto rispetto alla normativa e i controlli da dedicare alle operazioni con parti correlate espone gli istituti bancari a “sforzi” organizzativi ed economici per adeguarsi (i software previsti per intercettare ed elaborare tali operazioni sono piuttosto complessi). Detti sforzi sembrerebbero non sufficienti se notiamo le “discrepanze” tra i perimetri di applicabilità e le caratteristiche delle operazioni da esentare.

Anche alla luce della crisi economico-finanziaria che l’Italia ha dovuto affrontare, l’integrità dei processi decisionali all’interno delle banche assume una importanza cruciale che giustifica pienamente gli “aggravi” procedimentali richiesti dalla normativa.

L’intreccio delle normative in caso di operazioni tra soggetti con interessi in conflitto (cfr. art. 2391 c.c.; Regolamento Consob 17221/2010; Circolare Banca d’Italia n. 263/2013; art. 136 TUB) ha però provocato un “labirinto” interpretativo su alcuni aspetti della normativa che impedisce alle banche di avere un approccio comune, ma che soprattutto aumenta i costi di compliance senza la certezza di addivenire ad un complesso di regole e di attività pienamente in linea con quanto richiesto dai regulators.

Vi è da chiedersi allora se su tale regolamentazione non sia il caso di effettuare una Valutazione di Impatto della Regolamentazione (VIR) secondo le migliore tecniche di better regulation, che mettano in evidenza qualche incertezza interpretativa.

Ma non solo. C’è da auspicarsi fortemente una più stringente collaborazione tra le Autorità di vigilanza sul punto, affinché possano addivenire ad un restyling della regolamentazione, in maniera congiunta ovvero comunque pienamente coordinata, per “aiutare” le banche nelle loro attività quotidiane e nella loro gestione dei controlli.

*Le opinioni espresse dall’autore nel presente contributo sono da considerarsi esclusivamente a titolo personale, e non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.