Ecco come l'Unione Europea ha fatto evolvere via via le proprie politiche per la decarbonizzazione: dalla valorizzazione del prezzo delle emissioni allo sviluppo delle supply chain del net zero. Ma l'efficacia dell'approccio attuale dipende dalla necessità di assicurare un level playing field tra i diversi Stati membri, e dalla compatibilità degli strumenti introdotti con le norme di diritto internazionale
Nel corso degli ultimi anni le ambizioni europee in materia di energia e clima sono aumentate considerevolmente, culminando nella definizione dell’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050. A tal fine sono state introdotte o riviste alcune politiche per facilitare il percorso di decarbonizzazione. Di seguito ci concentreremo su alcune di queste che permettono di evidenziare le principali caratteristiche del cambio di approccio adottato a livello UE, ovvero i meccanismi di prezzo della CO2, le politiche industriali a sostegno delle supply chain e la revisione della disciplina degli aiuti di Stato*.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione sono generalmente utilizzati strumenti per la definizione del prezzo delle emissioni, anche per valorizzarne le esternalità negative. A tal fine, l’UE ha introdotto un meccanismo di mercato, basato sullo scambio di permessi di emissione (c.d. carbon trading), noto come EU Emission Trading System (ETS), a cui si affianca in molti Stati membri l’approccio della tassazione delle emissioni (c.d. carbon tax).
Nello specifico, il meccanismo ETS prevede che, in alcuni settori, ogni emissione di CO2 debba essere compensata dall’acquisto di certificati di emissione scambiabili su un mercato dedicato. Si tratta di un meccanismo di cap and trade secondo cui le imprese possono acquistare i permessi di cui necessitano, come anche scambiarli a seconda delle necessità. È poi previsto un tetto massimo (cap) annuale al numero dei certificati che viene progressivamente ridotto per indurre il contenimento delle emissioni.
Soprattutto nelle prime fasi, il sistema ETS ha mostrato alcune criticità che lo hanno reso poco efficace nel definire un prezzo rappresentativo delle esternalità negative associate alle emissioni. Si è infatti verificato un eccesso di offerta, principalmente legato all’ampia discrezionalità lasciata agli Stati membri nella definizione del numero dei permessi e al loro rilascio gratuito nei settori a rischio di delocalizzazione, con un conseguente abbassamento dei prezzi dei certificati.
Per porvi rimedio sono state introdotte diverse riforme, inclusa la progressiva eliminazione dell’assegnazione gratuita dei permessi, resa possibile dall’introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM). A partire dal 2026 infatti, con il CBAM le imprese importatrici nei settori a maggior rischio di delocalizzazione pagheranno un corrispettivo basato sul prezzo ETS e proporzionale al contenuto emissivo delle merci importate.
Se da un lato ciò aiuta a mitigare il rischio di delocalizzazione, dall’altro presenta complessità applicative e potenziali rischi e dubbi, non interamente fugati dalla Commissione, di discriminazione dei Paesi meno sviluppati e di compatibilità con le norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Nonostante le riforme, l’attuale sistema ETS non risolve integralmente i rischi connessi alla diversa esposizione delle economie europee ai costi del carbon pricing e alla competizione extraeuropea. A ridurre le disparità potrebbe contribuire l’utilizzo del gettito dell’ETS e dei diversi fondi europei che questo finanzia, volti a supportare il processo di decarbonizzazione (Innovation Fund, Modernisation Fund e Social Climate Fund).
Un ulteriore fattore determinante per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione è quello delle supply chain, ossia della capacità industriale nelle filiere strategiche per la transizione. Se in passato si era puntato sull’assicurare una maggiore penetrazione nel mercato delle tecnologie in grado di contribuire agli obiettivi climatici, prestando minore attenzione allo sviluppo delle loro filiere, negli ultimi anni si è assistito ad un cambio di passo. Il ruolo delle filiere è infatti tornato al centro dell’attenzione, anche alla luce della rinnovata consapevolezza sui rischi derivanti dall’eccessiva dipendenza da Paesi terzi.
Tra gli strumenti di maggior interesse c’è il Net Zero Industry Act (NZIA) che punta a sostenere gli investimenti nelle tecnologie c.d. “strategiche” per la transizione tramite, tra gli altri, iter autorizzativi più rapidi, criteri di sostenibilità e resilienza nelle procedure di appalto e nelle aste, sandbox regolatorie e un generale potenziamento delle competenze della forza lavoro.
L’efficacia dell’NZIA andrà valutata nella sua applicazione pratica, in quanto gli strumenti effettivi restano piuttosto indefiniti, e dipenderà anche dalla disponibilità di fondi, come riconosciuto dalla stessa Commissione che ha quantificato gli investimenti necessari nel periodo 2023-2030 nelle supply chain analizzate in un range tra 92 e 119 miliardi di euro (SWD(2023) 68 final).
La Commissione ha recentemente ampliato il preesistente toolbox in materia di aiuti di Stato, in particolare attraverso il Temporary Crisis and Transition Framework di marzo 2023, che ha definito le condizioni secondo cui gli aiuti volti ad accelerare gli investimenti in settori strategici per la transizione saranno considerati compatibili con il mercato interno.
Nello specifico, gli Stati membri possono definire un regime di aiuto per incentivare la produzione di tecnologie utili alla transizione e delle loro componenti chiave e l’estrazione o il recupero di materie prime critiche. Alternativamente, in via eccezionale, nei casi in cui c’è un rischio reale che l’investimento sia delocalizzato all’estero, è possibile ricorrere al c.d. matching aid, ovvero un aiuto di importo pari a quello che l’impresa potrebbe ricevere per un investimento equivalente fuori dallo Spazio Economico Europeo.
La risposta degli Stati membri è stata positiva, visto il crescente numero di approvazioni da parte della Commissione di misure adottate su questa base. Tuttavia, la semplificazione della disciplina degli aiuti di Stato presenta delle criticità, tra cui un possibile indebolimento del level playing field interno all’Unione, che potrebbe avvantaggiare gli Stati membri con maggiore capacità fiscale.
Le tre aree considerate offrono una panoramica rappresentativa del nuovo approccio dell’Unione, che ha progressivamente messo in campo strumenti diversificati per guidare e sostenere la transizione. L’esito di questo nuovo approccio più olistico dipenderà da numerosi fattori, quali la capacità dell’UE di fronteggiare le criticità, a partire dalla necessità di assicurare un level playing field tra i diversi Stati membri, e la compatibilità degli strumenti introdotti con le norme di diritto internazionale (come nel caso del CBAM).
* Per una trattazione più ampia e dettagliata di questi temi rimandiamo al nostro articolo apparso su Economia Italiana n. 3/2023 “Le politiche europee per la decarbonizzazione: una prima analisi di alcuni strumenti”.