TASSI E INFLAZIONE
O il Mes o il TPI

C'è un rischio frammentazione europea che preoccupa Lagarde. Potrebbe essere messo in campo il Tpi? Il ragionamento della chief economist di Société Générale non dovrebbe lasciare tranquilla Giorgia Meloni

Paola Pilati

La resistenza del governo di Giorgia Meloni all’adesione al Mes, il meccanismo europeo di stabilità creato nel 2012 per dotare l’Eurozona di uno strumento per intervenire a sostegno degli Stati membri in difficoltà finanziaria, probabilmente cadrà. E il polverone sollevato intorno alla faccenda si dileguerà, insieme con le accuse di volere con il Mes limitare la sovranità del paese.

Non si può fare a meno di notare però che le polemiche hanno alimentato una particolare acrimonia verso la presidente della Bce Christine Lagarde. Colpevole innanzitutto di essersi augurata una pronta adesione dell’Italia al meccanismo, e perciò tacciata di intromissione in questioni di pertinenza del parlamento del paese. Ma soprattutto colpevole di avere alzato i tassi di mezzo punto e di avere anche annunciato che altri aumenti saranno necessari, almeno di 50 punti base per due volte.

A guidare la carica contro la presidente della Bce è stato il ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha definito la mossa sui tassi “un regalo di Natale a Putin”. Infatti i tassi sui Btp sono subito saliti, e con essi anche lo spread.

L’Italia sembra tornare a essere la bomba a orologeria della stabilità dell’Europa? Può essere un caso, ma a parlare di una convergenza di fattori che possono portare a una nuova crisi dell’euro è stato un articolo sul Financial Times firmato da Michala Marcussen, chief economist alla Société Générale.

Marcussen fa notare che si stanno pericolosamente moltiplicando i fronti di frammentazione tra paesi europei. E addita come primo fronte la risposta dei vari governi alla transizione energetica, dove le misure per proteggere famiglie e imprese, finanziate a livello nazionale, ha mostrato troppe divergenze. Sono proprio queste divergenze, osserva, che hanno provocato effetti diversi sull’inflazione: limitata al 7,1 per cento quella al consumo in Francia, che ha imposto regole sui prezzi, mentre è arrivata all’11,3 in Germania e al 12,6 in Italia, che hanno aperto la borse degli aiuti in denaro. E hanno così incentivato la stretta della Bce.

Non si può non notare che la visione della chief economist della grande banca francese, la quarta in Europa, appare opposta a quella che Draghi adotta nella sua recente intervista al Corriere della Sera (e che ha sempre avuto da presidente del Consiglio), quando ribadisce che è nell’azione a livello europeo sul fronte energia la strada per scongiurare la frammentazione.

Marcussen sembra invece non crederci troppo, dal momento che addita come responsabili di alimentare l’inflazione proprio i paesi membri con le loro politiche fiscali.

La posizione di Marcussen è aderente, piuttosto, a quella di Christine Lagarde (l’ha espressa al momento dell’ultimo ritocco dei tassi), la quale ha raccomandato che gli interventi degli Stati siano temporanei, mirati e disegnati per far consumare di meno. La realtà è ben diversa: la Commissione europea ha definito il 70 per cento degli interventi tutt’altro che “mirato”. Un vizio assai diffuso, dunque. Ma i mercati sono i titoli di Stato italiani che hanno subito preso di mira.

Il sottinteso è che l’Italia, con la sua spesa pubblica per la crisi dell’energia che non induce i suoi cittadini a tagliare i consumi, può rendere vane le manovre sui tassi fatte dalla Bce finora, perché alimenta l’inflazione e rende necessarie altre strette. Provocando altri aumenti dello spread.

La fragilità dell’Italia, che entrerebbe in zona pericolo con ulteriori incrementi dei tassi, torna quindi a essere l’elefante nella stanza agli occhi degli altri paesi europei. Tanto che Marcussen ricorda che la Bce possiede un nuovo strumento di intervento, il TPI, transmission protection instrument, mai ancora testato ma creato proprio come scudo antispread, per evitare che la crisi delle condizioni di finanziamento di un paese contagino anche gli altri. E fa capire che l’Italia è il paese che si candida con più probabilità all’intervento del Tpi.

Intervento che non sarà gratis. La sua applicazione richiede che l’Italia soddisfi una serie di criteri, proprio come fa l’odiato Mes, a partire dalle politiche di bilancio concordate con la Commissione Europea, fino alla sostenibilità complessiva del debito e al rispetto del PNRR. Insomma, il paradosso è che Meloni oggi rifiuta il Mes – o almeno un suo futuro utilizzo – ma rischia di doversi piegare al Tpi, che non è poi così diverso.