Rapporto Oliver Wyman
Nuove sfide per le banche
Paola Pilati

I nove anni di crisi che abbiamo alle spalle hanno inciso profondamente sull’industria bancaria. Hanno rovesciato le sicurezze delle grandi cattedrali del credito, hanno fatto emergere nuovi player, hanno obbligato i manager, stretti da nuove necessità, a riscrivere le regole del fare banca. I margini dell’attività in declino, la nascita di sfidanti più leggeri e dinamici, e le attese di una clientela spesso sfiduciata e delusa, richiedono una forte capacità di ricostruzione. Il mondo uscito dalla crisi pretende nuove garanzie dalle imprese bancarie, e non solo quelle sui requisiti di capitale dettate dai regolatori di Francoforte o Bruxelles per mettere in sicurezza i bilanci: le sfide di oggi riguardano anche il modo di fare business e di confrontarsi sul mercato.

Si intitola appunto “The new agenda” il rapporto 2017 di Oliver Wyman sul settore bancario europeo. Tutto quanto serve mettere in campo per andare oltre la ristrutturazione. E ripartire. Senza illudersi tanto sulla fine delle politiche non convenzionali della Bce: né il superamento del monetary easing né una ripresa dei tassi prossima ventura potranno aumentare i margini bancari ormai ridotti all’osso, né un rendimento del capitale oggi sulla media del 4,4 per cento, perché il contesto futuro sarà molto più competitivo.

Il Rapporto parte dalla fotografia dell’oggi. Che descrive banche che hanno dovuto incrementare il capitale e ridurre i propri bilanci, che hanno dovuto abbandonare ampie fette di attività commerciali, che nel 2009 generavano utili per 10 miliardi ma che ora non sono più profittevoli, che si sono ritrovate protagoniste di un crescente consolidamento del settore, e che hanno intrapreso un corpo a corpo con i costi da tagliare che per molte è ancora in corso. Un lavoro complesso di ristrutturazione che drena risorse e non permette di pensare a come crescere di nuovo. È per questo che Wyman nel suo Rapporto vede l’Europa in gran parte in mezzo al guado, e nella pericolosa condizione di subire la concorrenza delle banche Usa, che quel percorso lo hanno già superato, e che soprattutto stanno mettendo a fuoco nuove e agili architetture europee come risultato della Brexit.

Anche il Tier1 delle banche europee – il capitale che misura la loro forza finanziaria – si è irrobustito, e non di poco: del 40 per cento in media. Ma il grande problema sono i Non performing loans, ed è un problema tutt’altro che risolto. A questo si aggiungono gli adeguamenti richiesti dalle autorità regolatorie, che vanno dai nuovi principi contabili Ifrs9 alla direttiva Mifid2 al Gdpr, il Regolamento generale sulla protezione dei dati. Tutti adeguamenti che assorbono risorse. Si stima per esempio che dal 50 al 75 per cento della spesa della banche sul “conduct risk” sia su progetti piuttosto che sulla gestione day-to-day. Molte risorse finiscono poi nel taglio dei costi operativi, su cui due terzi delle banche europee sono ancora un cantiere con lavori in corso.

Oltre ai problemi comuni, nel panorama europeo emergono però anche delle differenze. Nel processo di consolidamento, per esempio, che è più accentuato in Grecia e Spagna, mentre l’Italia è indietro come pure la Germania; nella velocità di ristrutturazione, dove la Francia è più avanti di Italia Germania e Spagna; nella misura del RoC (return on Tier1 capital), sul quale l’Italia è fanalino di coda con un meno 10 per cento (dato 2016) rispetto al più 8 per cento di Francia, il 2 per cento di Germania, e il 7 per cento della Spagna.

Anche la clientela sopravvissuta alla crisi ha cambiato atteggiamento nei confronti delle banche. Innanzitutto in termini di fedeltà. Le piattaforme online che permettono confronti tra diversi fornitori e diversi prodotti bancari hanno allenato i consumatori a trovare l’occasione migliore al minor prezzo. Ora sta alle banche, sostiene il Rapporto Wyman, di creare i propri aggregatori e le proprie piattaforme. Già lo fanno alcune banche francesi, che attraverso le loro app consentono l’accesso ai conti in altre banche (succede a Société Generale, Credit du Nord, Banques Populaires, Caisse d’Epargne), e altre stanno seguendo l’esempio. Se la Fintech ha fatto passi da gigante, tuttavia molti clienti si sentono più a proprio agio in una banca tradizionale. Eppure questi strumenti tecnologici ampliano la trasparenza del mondo bancario tradizionale, proprio il fronte su cui gli istituti hanno perso più reputazione durante la crisi. Anche su un altro fronte la Fintech sta aiutando le banche: insegnando loro come approfittare dei processi digitali per tagliare i costi operativi e raggiungere una maggiore efficienza.

Perché i bilanci delle banche possono migliorare, ragiona il Rapporto Wyman nel dettare la sua “Agenda”, solo con maggiore efficienza nel condurre il business, il che in molti casi vuol dire rifondarlo completamente. Come? Poiché sia il capitale delle banche che la liquidità, cioè le risorse finanziarie su cui possono contare, sono limitate da una serie di vincoli introdotti dai regolatori, le banche europee dovranno per esempio adottare delle misure “risk-based”. Anche altri vincoli dettati da finalità prudenziali possono tornare utili, perché stanno allenando le banche a trasformarli in strumenti per ottenere dei benefici in termini di business. Per esempio, i requisiti chiesti da Basilea spingono le banche a standardizzare la raccolta dei dati; gli stress test a semplificare le organizzazioni interne.

L’altra sfida a cui le banche si trovano a dover dare risposta riguarda i bancari. È diventato strategico dotarsi di una forza lavoro con nuovi requisiti. “L’umanizzazione della banca” richiede da un lato persone capaci di empatia, adattabilità ai clienti, capacità relazionali. Dall’altro lato sono ormai indispensabili gli skills in data science e digital technology, ma ancora di più un atteggiamento di disponibilità alla conoscenza più ampio possibile. Per diventare attrattive per questo genere di forza lavoro, le banche dovranno cambiare nel profondo, prepararsi a gestire una forza lavoro più giovane, mixare lavoro fisso e lavoro temporaneo, e offrire un ambiente lavorativo più aperto all’innovazione.

Chi si muoverà prima su tutti questi terreni, con la consapevolezza di dover rispondere a un mondo del business e a una società completamente diversi, assicurano gli analisti di Wyman, avrà un vantaggio competitivo impareggiabile rispetto ai concorrenti.