È il “calendar provisioning”, l’approccio di calendario, quello che preoccupa di più la Banca d’Italia che veglia sullo smaltimento futuro degli Npl delle banche italiane. Il meccanismo indicato dall’addendum Bce per gli incagli prodotti a partire dallo scorso aprile «può creare problemi alle nostre banche», ha detto Paolo Angelini (vedi l’intervento completo), vice capo Vigilanza bancaria finanziaria di via Nazionale, durante il convegno su “Nlp, sfide e opportunità”, organizzato da Minerva bancaria, Assonebb e Fchub nella sede di Banco BPM a Roma. Come? Lo smaltimento con un accantonamento spinto al 100 per cento delle nuove sofferenze voluto da Francoforte (oggi è intorno al 60 per cento), può portare le banche ad escutere le garanzie offerte dai propri clienti debitori senza neppure tentare di ristrutturare il credito o di valutare se il cliente possa magari ritornare a pagare con tempi più lunghi dei sette anni previsti dall’addendum per le posizioni garantite, o dei due previsti per quelle senza garanzie. Insomma, la banca non avrebbe nessun interesse ad assistere il cliente, ma solo l’obiettivo di proteggere il proprio bilancio da accantonamenti troppo esosi. Una “distorsione”, ha detto Angelini, che la Banca d’Italia sta cercando di rettificare dialogando con la Bce.
Quanto alle sofferenze di vecchia data, cioè lo stock monstre che il sistema italiano ha accumulato negli anni della crisi, per toccare il picco nel 2015, quando il rapporto fra NPL al lordo degli accantonamenti era pari al 16,5% e il loro ammontare rappresentava circa il 50% di quello dell’intera area dell’euro, il quadro dipinto nel convegno è viceversa roseo. Molto lavoro di smaltimento è stato fatto: le sofferenze si sono ridotte drasticamente e il rapporto lordo è sceso al 10,2%, quello delle sofferenze nette (cioè al netto degli accantonamenti) su impieghi dal 9,8 al 5 per cento.. Guardando ai dati di flusso, a luglio 2018, su base annua, la riduzione dello stock era del 20%. Le cessioni sul mercato e le cancellazioni dai bilanci bancari hanno totalizzato, nel 2017, 35 miliardi di euro (8 nel 2016). Le nuove insolvenze, valutate in rapporto ai prestiti, sono tornate sui livelli antecedenti la crisi finanziaria globale. In conclusione, per le banche “significative” (significant institutions, SI) il calo dell’NPL ratio lordo è stato pari a 4,1 punti percentuali nel solo 2017, maggiore di quanto programmato per quell’anno nei piani di riduzione triennali, elaborati per la prima volta nel 2016 (per tenere sotto controllo la situazione, gli uomini di Ignazio Visco hanno chiesto alle banche di sistema di formulare piani triennali di smaltimento, obbligo esteso da via Nazionale anche a quelle non di sistema). La Banca d’Italia, in linea con la BCE, chiede che arrivi sotto il 4 nel 2020 e c’è un certo ottimismo che l’obiettivo sarà raggiunto.
Questo anche perché lo smaltimento degli Npl ha creato una nuova “industry”, e il numero dei player è aumentato. Ci sono 5 intermediari specializzati nelle banche “less significant”, 16 intermediari non bancari, 9 società specializzate in operazioni di cartolarizzazione, e poi fondi di investimento. Tutti a caccia di pacchetti di Npl da rilevare per poi iniziare l’attività di recupero. Il mercato è talmente effervescente che da parte degli operatori è stato addirittura lanciato un allarme riguardo alla possibilità di assorbimento: «Nei prossimi due anni arriveranno sul mercato altri 100 miliardi di euro da gestire», prevede Alberto Sondri, executive director di Crif Credit servicing, e servono nuove figure professionali. Per formarle, proprio Crif e Unipol hanno varato un master a Bologna, e altri ne partiranno in Italia, mirati a specializzare avvocati in questo segmento di business.
Ma il dato che più colpisce è che ciò che per le banche è spazzatura-Npl, diventi la grotta di Alì Babà per chi si trova tra le banche e il mercato. Tanto che persino Rev Gestione crediti, la società che la banca d’Italia ha creato per ricevere e smaltire gli Npl delle quattro banche messe in risoluzione (più altre sofferenze maturate poi), pur avendo la mission di cedere tutto rapidamente, è tornata sui suoi passi e ha iniziato a gestire: ha fatto pacchetti per le cessioni che «ci hanno dato soddisfazioni», come ha ammesso la presidente, la professoressa Maria Teresa Bianchi, e con il cambiamento delle linee guida è arrivata la consapevolezza che «la cessione non è la soluzione migliore e che la gestione consente risultati migliori». Di fatto, «Le banche commissariate sono ancora in grado di portare valore», ha detto Bianchi, confermando implicitamente quanto aveva già anticipato Angelini, e cioè che le società di gestione degli Npl hanno un roe a doppia cifra. Ammissione che il professor Franco Tutino, Sapienza di Roma, ha chiosato chiedendosi: «Un roe a doppia cifra per gli Npl di banche in crisi non è un modo di estrarre valore a loro spese?»
Nella complessità della nuova industry servono, e si stanno sviluppando, nuovi modelli da utilizzare per gestire gli Npl. Innanzitutto per aiutare la banche a scegliere quale strade prendere per smaltirli. Lo ha fatto un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, e ne ha dato conto nella sua relazione il prof. Claudio Cacciamani, Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari, che ha presentato un modello innovativo per la gestione delle sofferenze bancarie a livello aziendale e di bilancio che permette di prevedere quale sia la tecnica preferibile per eliminare dal proprio bilancio i crediti deteriorati: se lo stralcio di perdite su crediti, la cartolarizzazione o la bad bank, per permetterne un successivo reimpiego con benefici effetti in termini di ricavi e di relazioni di clientela. «A parità di condizioni la strategia della cartolarizzazione risulta quella che comporta un minore assorbimento di capitale, consentendo la più efficace ottimizzazione del portafoglio crediti. Inoltre, al diminuire del valore di cessione dei prestiti, ovvero all’aumentare della percentuale di svalutazione dello stesso, consegue un incremento del core Tier 1 ratio, con benefici effetti per lo sviluppo di ricavi e relazioni di clientela», ha concluso Cacciamani.
L’aspetto della relazione con la clientela è un pezzo importante della questione. Come hanno ricordato in particolare Giovani Ferri (LUMSA e Assonebb) e Tutino, dietro le sofferenze ci sono imprese e persone, un patrimonio di rapporti che va tutelato al meglio non solo per fini sociali, ma per permettere di sbloccare situazioni il cui protrarsi peggiore le cose per tutti,
Un tono dissonante è venuto da Carlo Milani del CER. In questa fase di rallentamento congiunturale il peso delle sofferenze può tornare ad essere un problema per le banche italiane, ha detto, soprattutto se combinato con l’elevato ammontare di titoli di Stato in portafoglio, che potrebbero richiedere consistenti svalutazioni.