approfondimenti/fintech
Nel regolare i robot advisor è sbagliato dimenticare l’algoritmo
Filippo Sartori
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1. Nel settore Fintech ha assunto un ruolo assai rilevante il servizio di consulenza finanziaria automatizzata, svolto cioè con automated tools, ovvero con veri e propri robo advisors. Il rilievo non solo è legato alla dimensione che il fenomeno sta acquisendo su scala globale, ma soprattutto alle scelte di politica legislativa che hanno segnato un cambio di rotta in materia di regolamentazione del servizio di consulenza.

Una fotografia limpida del fenomeno ci viene consegnata dalla Consob nel primo quaderno dedicato al tema: nel contesto domestico operano una pluralità di soggetti con diverse caratteristiche e diversi modelli organizzativi e di business. È possibile distinguere il modello cosiddetto “puro” dal modello “ibrido”: il primo si caratterizza per l’automatizzazione del servizio offerto in tutte le sue fasi (c.d. Robo-Advice puro); il secondo combina e/o alterna l’elemento umano e quello digitale in una o più fasi della catena del valore (c.d. Robo-Advice ibrido). C’è un terzo modello, noto come Robo-for-Advisor, che pone gli strumenti automatizzati a supporto del consulente, qualificandosi pertanto come B2B (business to business).

2. Esclusi gli incumbent e le Fintech vigilate, il mercato è popolato da operatori non regolamentati che pur offrono alla clientela servizi di consulenza finanziaria. Il che pone un problema di vigilanza assai più vibrante.

Le Autorità di Vigilanza e le istituzioni finanziarie europee hanno avviato progetti e studi alla ricerca della comprensione del fenomeno della “digital disruption”, dei rischi e delle opportunità associati [si veda almeno il Report del Joint Committe dell’ESAs, Joint Committee ESAs (EBA, ESMA, EIOPA), Discussion Paper on automation in financial advice, 4 dicembre 2015; Final Report, 16 dicembre 2016]. La ricerca di una risposta in termini di costi e benefici del servizio non pare aver portato risultati determinanti. Quello invece che sembra potersi ricavare, è che il problema della robo advisory si esaurisca nel problema dell’algoritmo. Di come esso definisca le ipotesi base, elabori le informazioni della clientela e il processo di matching; di come siano costruiti i modelli, manutenuti e sviluppati i software, gestiti i cyber risks, restituite le raccomandazioni di investimento, ecc.

3. In questa prospettiva, si pone allora una scelta di politica legislativa che si muove, a me pare, nella duplice direzione di rendere trasparenti i modelli – valutando la coerenza dei dati utilizzati, eventuali errori e rigidità nelle ipotesi di base, nonché la correttezza dei risultati raccomandati rispetto agli output ricevuti – e di declinare la regolamentazione di settore proprio in ragione delle peculiari problematiche che il servizio, così offerto, sembra consegnarci.

Eppure non sembra, ad oggi, che l’intervento regolatorio oltrepassi il “recinto della sabbia” (qualche esperimento di “regulatory sandbox”) o i provvedimenti soffici (“soft law”). Il riferimento va alle linee guida dell’ESMA del maggio 2018 (cfr. infra).

Neppure la MiFID 2 si è fatta carico di regolare il fenomeno, limitandosi all’art. 54, c. 1 del regolamento delegato UE 2017/565 a stabilire che se “i servizi di consulenza in materia di investimenti (…) sono prestati totalmente o in parte attraverso un sistema automatizzato o semiautomatizzato, la responsabilità di eseguire la valutazione dell’idoneità compete all’impresa di investimento che presta il servizio, e non è ridotta dal fatto di utilizzare un sistema elettronico per formulare la raccomandazione personalizzata o la decisione di negoziazione”. Ed a puntualizzare, nel n. 86, che “Al fine di prendere in considerazione gli sviluppi del mercato e assicurare lo stesso grado di tutela degli investitori, è opportuno precisare che le imprese di investimento dovrebbero rimanere responsabili dello svolgimento delle valutazioni dell’idoneità nel caso in cui i servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio siano prestati, in tutto o in parte, attraverso un sistema automatizzato o semiautomatizzato”.

4. Sul piano degli interventi (para)regolamentari un cenno meritano le linee guida dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) licenziate il 28 maggio 2018. Si tratta di un testo apprezzabile sul piano dello sforzo di regolazione del processo di consulenza automatizzato nella prospettiva di promuovere un orientamento comune e pratiche uniformi nell’applicazione della MiFID 2. Da questo angolo visuale, le “additional guidelines” tengono conto in più passaggi delle peculiarità della consulenza automatizzata proprio in ragione della “limited interaction (or none at all) between clients and firms’ personnel” (§ 7).   

Qui una scelta è stata fatta. Quella cioè di espungere dalla dimensione informativa le prescrizioni (ben organizzate nella versione in consultazione) relative all’algoritmo: alle modalità di funzionamento e di elaborazione delle raccomandazioni, di identificazione delle circostanze rilevanti nelle condizioni avverse di mercato, di coinvolgimento di soggetti in conflitto di interessi, ecc. Nella prospettiva della disclosure, si focalizza l’attenzione sul ruolo e l’interazione umana nell’ambito dell’attività consulenziale, sul rilievo della compilazione del questionario e del suo aggiornamento rispetto al filtro di adeguatezza dell’operazione, sulle fonti utilizzate dal robo advisor per formulare le raccomandazioni personalizzate (guideline n. 20). Non viene poi trascurato lo specifico rilievo del mezzo con cui le informazioni vengono fornite, al fine di garantire che i flussi informativi siano “effective” (guidelines n. 21). Né si sottovaluta il rischio, ben evidenziato dagli studi di finanza comportamentale, che la clientela tenda a sopravvalutare la propria competenza ed esperienza.

5. Cionondimeno, si è abdicato a qualsiasi forma di disclosure sulle modalità di funzionamento dell’algoritmo. Su come la “scatola nera” (la “black box”) elabori le sollecitazioni in ingresso (gli input) e le restituisca in uscita (output).

L’impostazione seguita dall’ESMA sembra riflettere le  sollecitazioni dei gruppi di pressione organizzati in lobby. Né pare convincere la retorica dell’information overloading, considerato che è proprio l’algoritmo l’elemento focale sul quale richiamare l’attenzione dell’investitore nel processo decisionale. Un tentativo di recupero  sul piano della governance e della supervisione degli algoritmi, si registra quando le linee guida (in particolare, n. 82) affidano ai consulenti automatizzati la responsabilità di monitorare e collaudare con sistematicità gli algoritmi così da garantire “the consistency of the suitability assessment”, e di predisporre una documentazione di progetto che identifichi obiettivi, portata e struttura dell’algoritmo.

La scelta punta a garantire una più efficace attività di vigilanza da parte dei supervisori. La mappatura del processo semplifica gli interventi di controllo e riduce il gap di competenze tra Autorità e operatori di mercato. La linea tratteggiata è però univoca, là dove era opportuno aprire un doppio fronte di intervento. L’assenza di prescrizioni di trasparenza sul punto reca un peso tutt’altro che lieve e non libera il campo dalle osservazioni critiche.

6. Rimane un ultimo interrogativo: è necessario predisporre specifiche misure di tutela degli investitori anche sottoponendo i robo advisor a un regime più severo rispetto alle imprese che prestano servizi finanziari tradizionali?

A me pare che a simile quesito possa darsi solo una risposta positiva. E per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo, per tutelare il pubblico degli investitori che si sta affacciando sempre più numeroso alle nuove frontiere della consulenza, preservando nel contempo la stabilità finanziaria. In secondo luogo, per favorire il raggiungimento di un effettivo level playing field escludendo dal mercato quegli operatori dallo scarso valore reputazionale.

Ma non sembra questa la tesi dominante nelle sedi istituzionali. Le conclusioni della Commissione Europea nel Piano d’azione per le tecnologie finanziarie predicano la tesi contrapposta: “I rapidi progressi delle tecnologie finanziarie stanno determinando cambiamenti strutturali nel settore finanziario. In un ambiente in così rapida evoluzione una regolamentazione eccessivamente prescrittiva e precipitosa rischia di produrre effetti indesiderati” (Piano d’azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo e innovativo).

L’alternativa richiamata evidenzia che l’evoluzione digitale nel mercato finanziario richieda un’attenta valutazione dei contrapposti interessi coinvolti. Sulla scorta di siffatto rilievo è necessario e urgente un nuovo slancio alla riflessione degli studiosi di diritto dell’economia che, se capaci di utilizzare in modo critico il sapere comparativo, possono proporre adeguate modifiche di tessuto giuridico.

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