new
Osservatorio Banche
Nei primi nove mesi l’utile netto dei primi 5 gruppi sale di oltre l’8%

Rispetto ad un anno prima, per l’insieme dei 5 gruppi maggiori (orientativamente 2/3 del totale del sistema) si registra una contrazione del margine di interesse ma un aumento del margine di intermediazione

Silvano Carletti
Carletti

L’attività economica italiana ed europea continua a presentarsi debole nella dinamica corrente e incerta nelle prospettive. I consuntivi delle banche sono invece generalmente favorevoli. Una differenza di toni poco sperimentata, che suggerisce cautela nell’immaginare l’evoluzione futura del settore.

I consuntivi delle banche italiane per i primi 9 mesi dell’anno sono in effetti soddisfacenti ed il 2025 dovrebbe andare ad aggiungersi alla ormai non più breve serie di annate favorevoli. Come facilmente previsto, il margine d’interesse ha risentito negativamente della svolta di politica monetaria avviata dalla Bce a giugno 2024.

Rispetto ad un anno prima, per l’insieme dei 5 gruppi maggiori (orientativamente 2/3 del totale del sistema) si registra una contrazione pari a circa 1,5 mld, con Intesa (-664 mln) la più penalizzata. La contrazione  sarebbe risultata più ampia se, a partire da marzo, la dinamica dei finanziamenti al settore privato non finanziario non fosse stabilmente rientrata in territorio positivo (ad ottobre +1,8% sui dodici mesi, +1,2% le imprese non finanziarie, + 2,2% le famiglie; dati corretti per le cartolarizzazioni e altre cessioni). Nella riduzione di questo margine un ruolo importante lo ha giocato il minore flusso di interessi attivi generato dall’operatività con la BCE: ad esempio per Intesa si è passati dai 1.570 a 324 mln.

Al ridimensionamento del margine d’interesse si è affiancata la crescita del resto dei ricavi con una variazione del margine d’intermediazione sostanzialmente nulla. Il diverso orientamento di politica monetaria ha riacceso l’interesse per il risparmio gestito, che da inizio anno ad ottobre ha registrato una raccolta netta positiva per circa 33 mld. La vitalità del comparto è percepibile anche sul versante dei sottoscrittori (11,6 mln all’ultima stima), con un saldo del loro turnover positivo per circa 500mila unità.

Per i due gruppi maggiori apprezzabile è il rilievo dei proventi da negoziazione: sul totale dei ricavi 6,7% per UniCredit, 4,6% per Intesa. In campo assicurativo Intesa è in posizione decisamente forte: nei primi 9 mesi 2025, proventi operativi netti per quasi 1,4 mld, quasi il 7% del totale.

Sul fronte dei costi i 2 gruppi maggiori continuano a procedere a passo sostenuto (-4,2% nel periodo) posizionando al 36% il loro cost/income ratio, 9 punti percentuali al di sotto degli altri tre gruppi considerati. A questa differenza da tempo consolidata se ne affianca un’altra più recente: gli accantonamenti a protezione della qualità del portafoglio prestiti sono in (modesta) risalita per i due gruppi maggiori, in ulteriore discesa per i rimanenti tre gruppi. Per tutti, comunque, il costo del rischio di credito è su livelli molto ridotti, in un intervallo che vede UniCredit al minimo (15 centesimi) e MPS all’estremo opposto (53). Non trascurabile infine il beneficio per tutti gli operatori derivante dalla riduzione (fino all’azzeramento) dei contributi ai Fondi sistemici obbligatori nazionali ed europei  (240 mln per Intesa, 110 mln per BPER, 98 mln per BPM, 75 mln per MPS).

Nell’insieme, l’utile netto dei 5 gruppi considerati sale di oltre l’8%, un consuntivo notevole perché ancora in ascesa e inaspettato dopo la radicale svolta di politica monetaria della Bce. Solo MPS si muove in direzione negativa per effetto di un’importante variazione delle imposte (minori benefici per 390 mln; +17,5% prescindendo da questa circostanza).

Ne è derivata un’ulteriore spinta al rialzo delle quotazioni azionarie. Per i 5 gruppi considerati da inizio anno una crescita media non lontana dal 70%, incremento in parte riflesso della recente stagione delle OPA. Considerazione questa che vale solo parzialmente per MPS (33% nel suo caso), per la logica meno industriale dell’operazione che l’ha visto vincente ma anche per conti che nell’insieme risultano ancora al di sotto della media dei concorrenti. A sostenere la performance dei titoli bancari anche la conferma sia degli ambiziosi target 2025 sia della promessa di non rivedere i generosi criteri di distribuzione dell’utile prodotto (nel caso di MPS addirittura il 100%).

Stemperano in qualche misura questo clima rassicurante alcuni documenti. Intervenendo in Parlamento sulla legge di bilancio 2026 (audizione del 3 novembre di fronte alle Commissioni Bilancio della Camera e del Senato) il direttore generale dell’ABI Marco Elio Rottigni ha espresso forti preoccupazioni sulle prospettive del settore, e quindi l’inopportunità di misure che in modo diretto e indiretto stima aggraveranno i conti del sistema bancario per circa 10 mld nel quadriennio 2026-2029.

A supporto di questa tesi, Rottigni ha richiamato l’attenzione sulla qualità del portafoglio prestiti, che potrebbe richiedere incrementi delle rettifiche. In effetti una fonte autorevole come il Cerved, in un suo recente documento, ha evidenziato come nei primi 9 mesi del 2025 l’andamento delle procedure concorsuali delinea un quadro di accresciute difficoltà per le imprese italiane: +11,6% per le procedure concorsuali gravi (liquidazioni giudiziali e controllate), +44,4% per le altre procedure (misure cautelari e protettive, concordati preventivi e accordi di ristrutturazione dei debiti). Ad essere più spesso coinvolte sono le aziende con meno di dieci anni di vita e quelle operanti in alcuni settori (costruzioni in primis ma anche metalli, sistema moda e sistema casa).

Nell’insieme comunque le imprese sono mediamente in buone condizioni, con accettabile redditività e contenuto indebitamento. Da qui una previsione ABI-Cerved rassicurante: il tasso di deterioramento del credito alle imprese dovrebbe attestarsi nel 2026 al 3%, un poco al di sopra del 2,6% del 2024 ma molto lontano dal picco del 7,5% del 2012. La previsione per il tasso di deterioramento delle famiglie è per molti aspetti simile: lieve crescita, ma in prossimità dell’1% (0,6% per i mutui), quindi su valori vicini ai minimi storici. Un analogo esercizio condotto dalla Banca d’Italia concorda sulla tendenza, ma posiziona il 2026 su valori inferiori (2,4% per le imprese, 0,7% per le famiglie).

Nel valutare il problema oltre alle medie di sistema, bisogna considerare l’esistenza di criticità particolari. Nell’ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria della Banca d’Italia, si richiama l’attenzione sui prestiti assistiti da garanzia pubblica (Fondo Centrale di Garanzia, SACE), aggregato importante (a giugno al 23% del totale dei finanziamenti in bonis alle imprese, 33% nel 2021). Il ridimensionamento quantitativo si combina da tempo con un peggioramento del tasso di deterioramento, già superiore a quello dei prestiti privi di garanzie pubbliche, un trend che ragionevolmente è destinato a rafforzarsi nel prossimo futuro

Al contempo nel rapporto della Banca d’Italia si riferisce anche del rassicurante esito dello stress test condotto sulle banche minori (LSI, Less Significant Institutions), a cui è nell’insieme attribuibile il 10% circa del totale attivo del sistema. Nello scenario avverso gli intermediari che non sarebbero in grado di rispettare i requisiti prudenziali minimi sarebbero titolari solo del 13% dell’attivo del campione: in altre parole, in uno scenario avverso, a richiedere un monitoraggio ravvicinato sarebbe appena l’1% del sistema.

La condizione favorevole in cui si muovono le banche italiane è condivisa anche dalle banche europee e americane. Questa convergenza è frutto ovviamente di molte circostanze, alcune strutturali, altre probabilmente temporanee, altre di difficile qualificazione. Tra esse due meritano uno spazio maggiore.

La prima, di carattere strutturale, è rappresentata dalla profonda modifica della struttura dei costi resa possibile dal salto digitale, fattore che li ha molto alleggeriti, riducendo in particolare il peso delle spese fisse. Inoltre, almeno nel caso italiano, l’infrastruttura digitale ha prodotto riflessi positivi anche sui ricavi, irrobustendo sensibilmente il flusso delle commissioni percepite per i servizi di pagamento. La seconda circostanza è individuabile nel migliore consuntivo sul fronte del rischio di credito, con un allentamento del legame con la congiuntura economica, fenomeno di cui è però difficile valutare spessore e durata (temporanea o di più lungo termine). La difficoltà ad inquadrare questa novità è tra i fattori alla base della prudenza che si percepisce spesso negli esercizi previsionali correnti.

Condividi questo articolo