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Nei PIR un depositario-controllore?

La Legge n. 232 dell’11 dicembre 2016 (Legge di Stabilità 2017) ha introdotto i “piani individuali di risparmio a lungo termine” o “PIR”, che rappresentano una forma di investimento innovativa per le persone fisiche residenti in Italia. Secondo quanto indicato dal MEF, i PIR hanno da subito riscosso un notevole successo e si stima che la raccolta superi i due miliari di Euro nel 2017. I PIR costituiscono una forma di investimento che mira a canalizzare il risparmio delle persone fisiche verso il sistema imprenditoriale italiano, attraverso investimenti stabili e duraturi in strumenti finanziari emessi da imprese operanti in Italia. Negli auspici, l’elemento che dovrebbe decretarne il successo è l’esenzione dalla tassazione dei redditi finanziari generati dagli investimenti. L’ esenzione, tuttavia, è subordinata al rispetto dei vincoli di investimento previsti dalla legge e di un vincolo di detenzione per un periodo minimo di cinque anni. Vista la particolare complessità dei vincoli agli investimenti, la normativa impone il coinvolgimento di operatori qualificati (intermediari abilitati e imprese di assicurazione), ai fini dell’istituzione dei piani individuali di risparmio. I PIR costituiscono un’occasione anche per banche, imprese di investimento, società di gestione del risparmio e imprese di assicurazione, che possono arricchire la propria offerta di soluzioni di investimento con un nuovo prodotto dedicato al pubblico retail.

Grazia Bonante, Daniele de Ferra
Bonante
DeFerra

I piani individuali di risparmio a lungo termine (PIR) sono stati introdotti dall’art. 1, commi 100-114 della Legge n. 232 dell’11 dicembre 2016 (Legge di Stabilità 2017), che ne delinea la relativa disciplina. La normativa di recente introdotta ha dato luogo fin da subito a talune difficoltà interpretative, per le quali si attende un intervento chiarificatore da parte dell’Agenzia delle Entrate.

I PIR sono riservati esclusivamente alle persone fisiche residenti in Italia che non agiscono nell’esercizio di un’impresa commerciale. Gli investitori possono destinare al PIR un massimo di 30.000 Euro per anno, con un investimento complessivo massimo di 150.000 Euro nel quinquennio. Inoltre, una singola persona fisica non può detenere più di un PIR e, parallelamente, un PIR non può essere cointestato a più persone.

Affinché il PIR consenta di beneficiare dell’esenzione fiscale prevista dalla normativa, è necessario che siano rispettati specifici vincoli sulle modalità di investimento delle somme investite nel piano e che l’investitore mantenga il proprio investimento per un termine minimo di cinque anni. Il trasferimento del piano da un intermediario ad un altro non incide tuttavia sul computo del termine quinquennale.

Il testo della legge ha fatto sorgere alcune incertezze tra gli operatori del mercato già con riferimento agli elementi appena tratteggiati. In attesa di un intervento ufficiale, il MEF ha fornito chiarimenti di natura informale durante un incontro organizzato a fine febbraio da Assogestioni, che è stata tra le più attive promotrici dei piani individuali di risparmio.

In particolare, è stato chiarito che il PIR può essere intestato a persone fisiche senza limiti di età e, pertanto, anche a minorenni. Inoltre, si è confermato che è possibile costituire un nuovo PIR in seguito alla chiusura di un precedente piano già aperto, nel rispetto del limite di investimento massimo di 150.000 Euro. Infine, è stato chiarito che la variazione della residenza dell’investitore al di fuori del territorio nazionale comporta il venir meno del PIR e, in caso di trasferimento che intervenga entro cinque anni dalla relativa costituzione, i redditi conferiti nel piano perdono l’esenzione fiscale.

Il PIR è definito alla stregua di un “contenitore fiscale”, in quanto la legge prevede modalità alternative per la sua costituzione, che danno luogo – nel rispetto dei presupposti normativamente previsti – all’applicazione dell’esenzione fiscale. Secondo il dettato normativo, il PIR può essere costituito mediante un rapporto di custodia o amministrazione, di gestione di portafogli o di “altro stabile rapporto” con un intermediario abilitato     (ad es. attraverso il cd. “deposito virtuale” o una “rubrica fondi”), purché sia esercitata l’opzione per il regime fiscale di risparmio amministrato di cui all’articolo 6 del d.lgs. n. 461 del 21 novembre 1997. Inoltre, il PIR può essere costituito attraverso un contratto di assicurazione sulla vita o un contratto di capitalizzazione stipulato con una compagnia di assicurazione.

Per quanto riguarda i soggetti presso cui il PIR si può costituire, la legge impone che gli intermediari abilitati o le imprese di assicurazione siano residenti in Italia (e che dunque abbiano sede legale e l’amministrazione centrale nel nostro Paese). Qualora non siano residenti in Italia, è necessario che operino nel territorio dello Stato tramite una stabile organizzazione o in regime di libera prestazione di servizi, nominando un rappresentante fiscale in Italia. Il rappresentante fiscale, in ogni caso, deve essere selezionato tra intermediari abilitati o imprese di assicurazione residenti nel territorio dello Stato.

Le somme conferite nel piano di risparmio devono essere destinate per una percentuale minima del 70% ai cd. “investimenti qualificati”, costituiti da strumenti finanziari. In particolare, deve trattarsi di strumenti finanziari emessi da imprese residenti in Italia o, se residenti in Stati dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo, con “stabile organizzazione nel territorio dello Stato”, da intendersi – in linea con i primi e informali chiarimenti del MEF – secondo l’accezione che il termine “stabile organizzazione” ha per finalità fiscali. Per essere idonei a conseguire le finalità del piano, gli strumenti finanziari oggetto di investimento non devono essere necessariamente negoziati in mercati regolamentati o in MTF ed è ammesso l’investimento in strumenti non quotati. Sono invece esclusi gli strumenti finanziari emessi da “imprese che svolgono attività immobiliare”, come definite della medesima legge all’art. 1, comma 101.

Rispetto a tale percentuale, almeno il 30% (che equivale al 21% del valore complessivo nel PIR) deve essere destinato ad investimenti in strumenti finanziari emessi da imprese non quotate sul FTSE MIB della Borsa Italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati. Questo vincolo è teso a rafforzare il legame degli investimenti con le piccole e medie imprese italiane. Tuttavia, rimane allo stato incerta l’individuazione degli indici che possano essere considerati equivalenti al FTSE MIB, in assenza di indicazioni sul punto.

La legge prevede un limite di concentrazione degli investimenti: le somme destinate nel piano non possono essere investite in strumenti emessi da un medesimo soggetto o da una società appartenente al medesimo gruppo in misura superiore al 10%.

Gli stringenti vincoli di investimento fissati dalla legge non sono soggetti ad un obbligo di verifica in via continuativa ma, secondo quanto indicato dalla stessa normativa, devono essere rispettati per almeno due terzi dell’anno. Con riferimento ai limiti di concentrazione, l’assenza di una esplicita indicazione in tal senso porterebbe a ritenere che viga un obbligo di verifica in via continuativa. Tuttavia, secondo le prime informali indicazioni del MEF, il limite dell’obbligo di verifica ai due terzi dell’anno solare andrebbe applicato anche ai limiti di concentrazione.

Il restante 30% delle somme conferite nel PIR può essere liberamente destinato dall’investitore ed essere investito anche in depositi e conti correnti. Tuttavia, la normativa impone uno specifico limite di concentrazione: gli investimenti in depositi e conti correnti non possono superare il 10% del totale del PIR.

Le somme conferite nel PIR possono essere investite anche in quote o azioni di OICR residenti in Italia, nell’Unione o nello Spazio Economico Europeo, purché la relativa politica di investimento sia conforme ai limiti e ai divieti di investimento previsti per i PIR.

Pertanto, il patrimonio dell’OICR dovrà essere investito per almeno il 70% in strumenti finanziari emessi da imprese residenti in Italia o, se residenti in Stati UE o SEE, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, secondo quanto già indicato per gli investimenti qualificati in generale. Rimane applicabile, in linea con quanto appena indicato, anche l’obbligo di destinare almeno il 30% degli investimenti qualificati a imprese non quotate sul FTSE MIB o su indici equivalenti.

Inoltre, appare opportuno tenere in specifico conto il limite di concentrazione del 10% relativo agli investimenti in depositi e conti correnti. In particolare, ciò rileva con riferimento alla detenzione della liquidità degli OICR.

In ogni caso, l’obbligo di verificare il rispetto dei vincoli agli investimenti e dei limiti di concentrazione per i due terzi dell’anno vale anche per gli OICR.

L’applicazione dei PIR alle gestioni collettive impone di sciogliere alcuni nodi interpretativi. In primo luogo, la necessità di individuare con chiarezza il soggetto presso cui il piano viene costituito. La questione assume particolare rilevanza poiché questi assume anche la responsabilità della gestione degli aspetti fiscali connessi con il PIR. Nel caso in cui il collocamento degli OICR avvenga attraverso un soggetto terzo rispetto alla SGR, il piano dovrebbe ritenersi costituito presso il collocatore. Tuttavia, alla responsabilità posta a carico del collocatore non corrisponde alcun potere di controllo sull’operato della SGR, come ad esempio nel caso in cui gli attivi dell’OICR non rispettino i vincoli agli investimenti e i limiti di concentrazione previsti per i PIR. Il MEF ha chiarito che in questi casi il PIR può essere costituito presso la stessa SGR, in via alternativa rispetto al collocatore terzo. La possibilità di costituire il piano presso la SGR consente di ricondurre la responsabilità per la gestione fiscale del PIR al soggetto che è effettivamente responsabile delle scelte relative agli investimenti dell’OICR. Tuttavia, la costituzione del PIR presso la SGR impone alla società di gestione di farsi carico di una serie di nuovi adempimenti e procedure. Ne deriverà l’esigenza di esternalizzare queste attività a service providers specializzati o presso il depositario degli OICR.

Peraltro, i PIR pongono in una nuova luce il tema dei controlli da parte del depositario. Come noto, l’art. 48 del Testo Unico della Finanza impone al depositario di verificare che le istruzioni ricevute dalla SGR siano conformi alla legge, al regolamento del fondo o alle prescrizioni degli organi di vigilanza. Nell’ambito di tale verifica, occorre valutare se possa rientrare anche la verifica da parte del depositario del rispetto dei limiti e divieti di investimento relativi ai PIR da parte della SGR.

La questione assume particolare rilevanza per via della responsabilità nei confronti dei sottoscrittori che l’articolo 49 del Testo Unico pone a carico del depositario per la violazione dell’obbligo di vigilare sulla conformità delle operazioni disposte dalla SGR al regolamento del fondo o alle prescrizioni degli organi di vigilanza. Nel caso in cui i limiti all’investimento siano recepiti dal regolamento del fondo la materia rientra evidentemente nelle responsabilità del depositario. Più difficile appare valutare la portata dei controlli, e la relativa responsabilità, nel caso in cui il regolamento del fondo riporti una descrizione generica dei limiti agli investimenti o manchi di chiarire alcuni concetti (ad es. quello di “indici equivalenti”) al cui rispetto è riconnessa la possibilità di beneficiare dell’esenzione fiscale.

Ne deriva l’esigenza di definire chiaramente l’ambito dei controlli del depositario al fine di ricondurre la responsabilità verso i sottoscrittori a una effettiva violazione degli obblighi posti a suo carico, tenendo anche conto del ruolo svolto dalla SGR nella gestione dei fondi “PIR compliant” e nella definizione della politica degli investimenti.

Poiché la normativa non sembra fornire allo stato sufficienti margini di chiarezza, sarebbe auspicabile definire in modo chiaro e preciso i compiti di verifica che incombono al depositario in riferimento ai PIR nel regolamento o nel prospetto del fondo, oltre che nella convenzione di banca depositaria.