Riforma fiscale
Negli Usa Economisti sul ring
Paola Pilati

Tempi duri per gli economisti aldilà dell’Atlantico. La riforma fiscale di Trump ha trasformato in un ring il lavoro di solito discreto di centri studi, superstar della materia, think tanks di rango, abituati a toccarsi appena di fioretto. Sul tax bill, invece, botte da orbi.

Janet Yellen, in procinto di lasciare la poltrona alla Fed, nell’ultima riunione che ha decretato il rialzo di un quarto di punto dei tassi, ha previsto una crescita del Pil del 2,5 percento nel 2018 e anche nel 2019, e un abbassamento del tasso di disoccupazione, ma non ha perso l’occasione per bollare le nuove misure fiscali come uno stimolo alla crescita piuttosto debole, con effetti macroeconomici incerti nel tempo e nelle dimensioni. Stop.

Su altri fronti, dove i vincoli del ruolo istituzionale sono meno forti, è partita ben altra musica. Prima di tutto sul costo reale del nuovo sistema. Il deficit aumenterà di 1,5 trilioni di dollari nell’arco di dieci anni? Il Joint Committee on Taxation, nel suo paper del 22 dicembre (https://www.jct.gov/publications.html?func=startdown&id=5055), riduce la cifra a poco più di un trilione perché da un lato la crescita produrrà nuove entrate per 451 miliardi di dollari, mentre dall’altro rincarerà il servizio al debito federale per 66 miliardi (sempre nel periodo 2018-2027 considerato). Ma c’è chi avanza molte perplessità sui conti del JCT, sottolineando che chi lo guida è stato nominato dai Repubblicani, e gli oppone un altro centro studi non meno prestigioso. Il Penn Wharton Budget Model della University of Pennsylvania è infatti giunto a un risultato molto più pesante per il budget federale (http://budgetmodel.wharton.upenn.edu/issues/2017/12/18/the-tax-cuts-and-jobs-act-reported-by-conference-committee-121517-preliminary-static-and-dynamic-effects-on-the-budget-and-the-economy): nei prossimi dieci anni il Tax Bill di Trump aumenterà il debito degli Stati Uniti da 1,9 a 2,2 trilioni, altro che un misero trilione.

Ha rincarato la dose un gruppo di esperti legali e fiscalisti che hanno scritto a loro volta un paper (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3089423) in cui mettono in guardia sui numerosi meccanismi (games, bugs, glitches) che avvantaggiano solo i contribuenti che possono permettersi un buon commercialista, mettendo gli altri in condizione di svantaggio, e di fatto buttando alle ortiche il principio base dell’equanimità della tassa sui redditi.

Quanto agli esponenti dell’accademia, i pesi massimi dell’economia si sono scontrati soprattutto su due fronti. Primo, sull’impatto della riforma fiscale sulla crescita. Secondo, sui suoi effetti diciamo “secondari”, come quello sulla salute.

A fine novembre nove eminenti economisti hanno inviato al segretario al Tesoro Steve Mnuchin una lunga lettera (https://www.treasury.gov/press-center/press-releases/Documents/Economist_Letter_STM_11252017.pdf) in cui davano il loro viatico alla riforma su un aspetto cruciale: alla domanda se il suo effetto sarebbe stato “pro-growth”, la loro risposta era “yes”. Considerando il costo d’uso del capitale, che misura il costo per l’impresa di investire in nuovi macchinari, i nove firmatari concludevano che poiché la nuova struttura fiscale abbatteva appunto quel costo, non solo le aziende americane avrebbero investito di più, ma molte multinazionali sarebbero state attirate negli Usa. Con un effetto-crescita del 3-4 per cento del Pil nel lungo termine.

Non è passato molto che ai nove (Robert J. Barro, Harvard University, Michael J. Boskin e John Cogan, Stanford University; Douglas Holtz-Eakin, presidente dell’American Action Forum, Glenn Hubbard, Columbia University; Lawrence B. Lindsey, presidente e ceo The Lindsey Group; Harvey S. Rosen, Princeton University; George P. Shultz e John. B. Taylor, Stanford University: sette di loro hanno lavorato o con i due Bush, oppure con Reagan o addirittura con Nixon) ha risposto un altro nutrito gruppo di colleghi.

Interpellati da un sondaggio (http://www.igmchicago.org/surveys/tax-reform-2) condotto dalla Chicago’s Booth School of Business, una quarantina di economisti scelti nelle più importanti università degli States, di orientamento sia democratico che repubblicano, hanno dipinto uno scenario del tutto opposto. Alla domanda se con la riforma di qui a dieci anni il Pil americano sarebbe stato più alto, il 64 per cento ha risposto assolutamente no. E alla domanda se il rapporto debito-Pil sarebbe stato più alto, hanno risposto sì praticamente in coro.

Sull’argomento ha colpito duro anche Larry Summers dal suo blog. L’economista, ex rettore di Harvard, segretario al Tesoro con Clinton e capo del National economic Council con Obama, non solo ha pizzicato i nove della lettera a Mnuchin su una serie di inesattezze e contraddizioni (https://www.washingtonpost.com/news/wonk/wp/2017/11/28/lawrence-summers-dear-colleagues-please-explain-your-letter-to-steven-mnuchin/?utm_term=.043d40aa897c), ma ha assestato un altro colpo alla riforma di Trump su un fronte che non è né il Pil né il debito, bensì la salute. “Thousands would die as a consequance of the Gop tax bill” ha titolato la sua analisi Summers ( http://larrysummers.com/2017/12/04/34153/): sulla base di studi che hanno messo in evidenza la correlazione tra salute e una copertura assicurativa della stessa, per cui su mille che non hanno più assicurazione una persona è statisticamente destinata al decesso, visto che la riforma ridurrà la copertura assicurativa a 13 milioni di persone, ci si devono aspettare almeno 10 mila nuovi decessi all’anno.

Tutto questo mentre escono i primi conti sull’effetto della riforma sulle sostanze personali del presidente e del suo entourage, nonché dei membri del suo governo (https://www.theguardian.com/us-news/2017/dec/20/trump-tax-bill-savings-analysis). The Donald risparmierà fino a 15 milioni l’anno, ma anche i suoi ministri Wilbur Ross, Betsy Delos, Linda McMahon, Steven Mnuchn, Rex Tillerson, godranno di sconti soprattutto sul fronte delle tasse sugli immobili, senza dimenticare il “primo genero” Jared Kushner e i vantaggi che gli procurerà l’abbattimento della tassazione sugli utili del suo business. Per la classe media ubriacata dalle promesse del Presidente, solo le briciole, e un amaro bagno nella realtà.