POLITICA MONETARIA
Natale alla Bce

La batteria di strumenti che la banca centrale ha rinnovato è imponente. Testimonia che il contesto macroeconomico, dal lato dell’economia reale, è caratterizzato da numeri simili solo a quelli sperimentati nel corso di una guerra o di una catastrofe naturale di entità gigantesca

Giorgio Di Giorgio

Il “regalo” di Natale della Banca Centrale Europea era già atteso e scontato dai mercati. 

La decisione di mantenere inalterati i tassi di interesse di politica monetaria è stata accompagnata dal potenziamento ulteriore del Pandemic emergency purchasing program (PEPP), dall’allungamento temporale dello stesso e dall’estensione e miglioramento delle condizioni particolarmente vantaggiose già in vigore per le operazioni di rifinanziamento a lungo termine “mirate” a sostenere e espandere l’offerta di credito bancario all’economia.

Il PEPP è stato dotato di 500 miliardi di euro addizionali, raggiungendo così un ammontare complessivo di 1850 miliardi disponibili per iniettare liquidità sui mercati finanziari e sostenere la ripresa di economie nazionali provate in modo rilevante, in tutti i paesi dell’Eurozona, dal prolungarsi della grave situazione di crisi pandemica. L’orizzonte temporale per gli acquisti netti da parte della banca centrale è stato spostato almeno a marzo 2022 (da giugno 2021) e la BCE si è impegnata a garantire il reinvestimento totale di tutti i rimborsi ottenuti dai titoli che andranno a scadenza almeno fino alla fine del 2023, oltre che a gestire l’eventuale riduzione successiva del bilancio in modo coerente con gli obiettivi di politica monetaria dell’Eurozona.

Per quello che riguarda le operazioni di rifinanziamento a lungo termine “mirate” (le TLTROs), si è deciso di ricalibrarle ulteriormente a favore delle banche che vi accederanno. I termini per godere delle condizioni più favorevoli introdotte durante la crisi pandemica saranno spostati di un anno, a giugno 2022, e si prevedono altre tre nuove operazioni da attivare nel secondo semestre del prossimo anno. L’ammontare di finanziamento di cui si potrà beneficiare è stato aumentato al 55% dello stock dei crediti eleggibili (dal precedente 50%) ed è stato previsto esplicitamente che la misura riguarderà solo le banche che avranno “centrato” i propri obiettivi in termini di espansione creditizia. In parallelo, viene esteso al giugno 2022 anche l’allentamento nella definizione del collateral utilizzabile dalle controparti per finanziarsi presso la BCE, che era stato deliberato nel mese di aprile, per consentire a tutto il sistema bancario il miglior accesso alla liquidità messa a disposizione dalla banca centrale.

La BCE ha anche anticipato al mercato che nel 2021 lancerà ben altre 4 operazioni di rifinanziamento a lungo termine, con l’intento di scongiurare una qualsiasi crisi finanziaria e di liquidità nell’Eurosistema nel corso della attuale crisi pandemica (PELTROs) e che proseguirà ad acquistare 20 miliardi di euro di titoli al mese nell’ambito dell’Asset Purchase Program (APP) standard che accompagna le condizioni molto accomodanti di politica monetaria stabilite per mezzo degli attuali tassi di interesse di policy: questi acquisti continueranno fino a poco prima che si renda necessario provvedere ad un rialzo degli stessi tassi di policy.

I titoli che verranno a scadenza acquistati per tale via saranno reinvestiti senza indugio, anche eventualmente a seguito dell’iniziale aumento nei tassi di interesse, mentre per quello che riguarda ogni singola operazione di rifinanziamento concesso al sistema bancario dell’Eurozona, la forma tecnica che verrà mantenuta sarà quella dell’asta a tasso fisso con pieno assorbimento della domanda (full allottment).  Infine, tutte le linee swap e repo con le altre banche centrali saranno estese al marzo 2022.

La batteria di strumenti attivati è imponente, riflette d’altra parte un contesto macroeconomico caratterizzato, dal lato dell’economia reale, da numeri simili solo a quelli sperimentati nel corso di una guerra o di una catastrofe naturale di entità gigantesca, visto che è diffusa a livello mondiale.

La caduta del PIL e dell’occupazione nel 2020, nonostante le ingenti risorse attivate dalle politiche monetarie e fiscali a livello globale, è severissima e il recupero che in molti paesi ci auguriamo di vedere nel prossimo anno sarà sicuramente solo parziale. Questo giustifica un atteggiamento ultraespansivo delle autorità monetarie e il tentativo di spingere le aspettative di inflazione in territorio positivo, per non dover tornare a combattere, come nel 2013 e nel 2014, lo spettro della deflazione. Tra le grandi economie, solo la Cina, dove tutto ebbe inizio paradossalmente, chiuderà il 2020 con un tasso di crescita positivo.

La decrescita, e non felice, caratterizza invece tutto il mondo industrializzato e, differentemente da quanto avvenne dopo la grande crisi finanziaria dei subprime, anche la stragrande maggioranza delle economie emergenti, con riduzioni del PIL comprese tra il 5 e il 10% in giganti quali Brasile, India, Sudafrica. 

Le prospettive per il 2021 dipendono fortemente dalla capacità di riportare condizioni sanitarie accettabili nel globo, attraverso una campagna vaccinale rapida e di successo che, auspicabilmente, riesca nel primo semestre a indurre immunità di gregge quanto meno nei paesi OCSE. E, nel secondo, a sviluppare effetti positivi anche nei paesi emergenti, dove i numeri dei contagi sono ugualmente impressionanti, seppure per quello che riguarda il numero di decessi o casi gravi favoriti (con il beneficio di inventario sull’affidabilità statistica in alcuni paesi) da una popolazione mediamente molto più giovane (sebbene spesso malnutrita o che vive in condizioni igieniche e sanitarie completamente diverse da quelle del mondo avanzato).  

Una delle sfide più complicate nella gestione della politica economica è il coordinamento degli interventi di politica monetaria con quelli di politica fiscale, necessario per evitare che la repentina salita dei rapporti debito – PIL induca troppo presto a interrompere il sostegno necessario, innescando restrizioni che sarebbero fatali. Ancora una volta, l’Europa deve rincorrere Stati Uniti, Giappone e Regno Unito, paesi caratterizzati da una perfetta coincidenza del bacino geografico di riferimento degli interventi. Infatti, nell’UE, la politica fiscale ha come baricentro la Commissione, il Consiglio e il Parlamento Europeo, dove sono rappresentati 27 stati membri, ma la politica monetaria della BCE agisce solo per i 19 paesi che hanno aderito alla moneta unica. L’azione coordinata dei due strumenti riflette inevitabilmente difficoltà maggiori di quelle che caratterizzano paesi in cui un bilancio consolidato del settore pubblico consente la compensazione immediata di attività e passività nello stato patrimoniale. Un ruolo “fiscale” della politica monetaria, suppletivo oltre che integrativo, potrebbe ancora aversi adottando forme di helicopter money moderne e coerenti con la nuova dotazione tecnologica, come già argomentato.

Dal canto suo, ovunque, la politica fiscale dovrà tenere un equilibrio tra il sostegno diffuso e la necessità di non mantenere in vita “zombie firms”, ma introdurre incentivi a modifiche dei modelli di business, se non addirittura a spostamenti di settore, per imprese che non riescono più a restare profittevoli nel nuovo mondo. La dinamica competitiva, attraverso il digitale, oggi rende possibile per le imprese di maggior successo superare ogni confine geografico e guadagnare quote di mercato che schiacciano rapidamente i concorrenti che tardano ad adeguarsi o non riescono a difendersi da strategie aggressive. Le conseguenze di questi fenomeni saranno evidenti anche nelle performances sui mercati azionari, e nelle allocazioni di portafoglio e nei rendimenti generati dai gestori professionali nell’asset management. 

In un mondo che cambia velocemente, anche durante e dopo la pandemia, scossoni e volatilità continueranno a caratterizzare i mercati finanziari e a richiedere prudenza nella protezione della ricchezza dei clienti.  

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