La congiuntura spagnola si presenta da tempo più brillante di quanto contemporaneamente registrato nel resto dell’area euro (per non dire dell’Italia). Alle evidenze congiunturali si attribuisce spesso un significato quasi strutturale, con un implicito ridimensionamento dei persistenti ritardi e punti di debolezza di questo Paese. Ne deriva una “sopravvalutazione” che porta a conclusioni non corrette quando la Spagna viene posta a confronto con gli altri paesi, a cominciare dall’Italia.
Negli ultimi anni la Spagna si è segnalata per l’intensità e la continuità del suo processo di crescita. Dopo una doppia recessione, nel quadriennio 2014-17 la sua progressione annua (2,8%) è risultata ampiamente superiore a quelle dell’eurozona (2,0%) e ancor più dell’Italia (0,9%). I maggiori centri previsionali sono convinti che questo vantaggio sarà riconfermato nel triennio appena iniziato: secondo la Commissione Europea, la Spagna dovrebbe crescere del 2,6% nell’anno in corso e al di sopra del 2,0% nel prossimo biennio.
Il rallentamento in atto (+2,5% a/a nel terzo trimestre 2018 a fronte del 3,1% a/a nell’ultimo trimestre 2017) è dovuto principalmente alla componente estera. La tenuta della domanda interna ha contenuto gli effetti derivanti dall’indebolimento della congiuntura internazionale. La flessione dei consumi è risultata moderata tanto nella componente privata quanto in quella pubblica. Un contributo importante è venuto dagli investimenti che continuano a crescere ad un ritmo elevato (+6% a/a nei primi nove mesi 2018) per effetto sia della componente immobiliare, sia della spesa per acquisto di macchinari (negli ultimi due trimestri in crescita oltre la soglia del 9% a/a).
A giudicare dal rendimento richiesto per la sottoscrizione dei suoi titoli governativi a 10 anni i mercati finanziari valutano favorevolmente la situazione spagnola. Lo spread con il rendimento degli analoghi titoli tedeschi è da oltre due anni al di sotto dei 150 punti base e nella prima metà di quest’anno è rimasto a lungo al di sotto di quota 100. Nei giorni scorsi si posizionava intorno a 120.
Da metà 2016 il rendimento di questi titoli spagnoli è stabilmente inferiore al rendimento dei corrispondenti titoli italiani, una differenza che è arrivata nelle settimane scorse anche a superare i 180 punti base.
Questo prevalere della Spagna sull’Italia si ritrova anche nella valutazione delle tre maggiori agenzie di rating. Attualmente la differenza è pari a due “gradini” (notch) ma potrebbe aumentare nel prossimo futuro considerato che le modifiche attualmente ipotizzate sono in senso positivo per la Spagna ed in direzione negativa per l’Italia.
Nell’esaminare il caso spagnolo è frequente che alle evidenze congiunturali si attribuisca un significato quasi strutturale, con un implicito ridimensionamento dei persistenti ritardi e punti di debolezza di questo Paese, con alcuni osservatori che a volte arrivano di “miracolo spagnolo”. Ne deriva una “sopravvalutazione” che porta a conclusioni non corrette quando la Spagna viene posta a confronto con gli altri paesi, a cominciare dall’Italia.
Italia e Spagna sono in Europa tra i paesi che più ampiamente hanno risentito della grave crisi economico-finanziaria apertasi nel 2008-09. Dopo aver subito entrambi una doppia recessione con una perdita complessiva pari a circa 10 punti percentuali di Pil, a partire da metà 2013 hanno sperimentato una ripresa che ha prodotto nel caso della Spagna un recupero ben più ampio di quanto rilevabile per l’Italia. Alla fine del settembre scorso, questo recupero (sempre riferito al Pil) ammontava, rispettivamente, a 14 e 5 punti percentuali con la considerevole differenza che la Spagna ha così recuperato la situazione precedente il 2008, mentre l’Italia è ancora lontana da questo traguardo.
La “meccanica” di questo processo di recupero appare piuttosto diversa sotto numerosi profili a cominciare dal contributo della spesa pubblica. In quest’ultimo quadriennio i consumi pubblici sono cresciuti in Spagna ad un tasso annuo non lontano dal 2% mentre, viceversa, in Italia la loro dinamica si presenta da anni sostanzialmente nulla. È importante rilevare che questa differenza non si ritrova dal lato degli investimenti pubblici, in entrambi i paesi in crescita ad un tasso simile.
A rendere possibile questa importante differenza (i consumi pubblici sono pari a poco meno di un quinto del Pil) è un saldo di finanza pubblica ampiamente negativo: dopo aver superato in più anni il 10% del Pil, il disavanzo ha iniziato un lento processo di rientro non ancora concluso (-4,5% nel 2016, -3,1% nel 2017), situazione che ha spinto le autorità europee ad aprire una procedura per disavanzo eccessivo. Come constatato anche in occasione della definizione del bilancio 2018, la fragilità del quadro politico nazionale continua ad ostacolare l’adozione di decise misure di riequilibrio.
Un secondo aspetto da evidenziare è il ruolo del settore delle costruzioni. La crisi economico finanziaria del 2008-09 si è combinata con lo scoppio di una bolla immobiliare di straordinaria dimensione. Dopo l’ampia contrazione registrata fino al 2014, il settore delle costruzioni ha sperimentato in Spagna una crescita decisamente robusta, risultando nel 2017 e 2018 (in termini reali) pari al 6-7%. Sostanzialmente il doppio di quanto è riuscito a fare nello stesso periodo il settore manifatturiero e un multiplo anche più alto del ritmo di sviluppo espresso dall’intera economia.
In Italia, ci si trova nella condizione opposta: la dinamica del settore delle costruzioni è molto modesta (appena positiva nel 2016 e pari a +1% nel 2017), ampiamente inferiore a quella più brillante del settore manifatturiero (+3,8% nel 2017).
Nel confronto tra Italia e Spagna altrettanta attenzione merita il reddito pro-capite. Considerando il reddito pro-capite espresso in PPS (Purchasing Power Standard, unità di potere d’acquisto), ponendo in ciascun anno pari a 100 il valore medio dell’Unione Europea, nel 2007 l’Italia era a 107 e la Spagna a 103. Nel 2017, l’Italia risulta discesa a 96 e la Spagna a 92.
Secondo Eurostat, quindi, il prolungato periodo di difficoltà ha penalizzato entrambi i paesi in misura decisamente intensa (-11 punti percentuali) ma non ha modificato l’entità del differenziale positivo che l’Italia vantava prima dello scoppio della crisi. Se si guarda all’evoluzione puntuale di questo indicatore nell’arco del decennio si rileva che questa differenza dopo aver raggiunto un massimo di 11 punti nel biennio 2011-12 si è poi progressivamente ridotta fino ai 4 punti attuali, un trend che ragionevolmente potrebbe continuare.
Un utile contributo per posizionare correttamente la Spagna viene anche dai dati relativi al mercato del lavoro. Malgrado la brillante crescita economica il tasso di disoccupazione della Spagna si distingue da tempo per il suo livello decisamente elevato. Per sei anni consecutivi il tasso di disoccupazione ha registrato in Spagna incrementi molto rilevanti passando dall’8,2% del 2007 al 26,1% del 2013, un massimo che solo la Grecia ha superato. Da allora è cominciata una discesa assai meno rapida.
Alla più recente verifica (settembre 2018), il tasso di disoccupazione spagnolo risultava al secondo posto (14,6%) nel contesto europeo e secondo le proiezioni della Commissione Europea nel 2020 potrebbe risultare ancora al di sopra del 13%. La situazione italiana, anch’essa sfavorevole, risulta comunque meno grave rispetto a quella spagnola (nello scorso settembre, il tasso di disoccupazione totale era al 10,1%).
Indicazioni significative sono ricavabili anche dall’analisi della ricchezza delle famiglie. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, a fine 2017 la ricchezza delle famiglie italiane superava i 10 trilioni di euro, 9,3 volte il reddito disponibile annuo, 8,5 volte se si detraggono le passività in essere. In Spagna la ricchezza (lorda) delle famiglie è un multiplo più elevato del reddito disponibile (poco meno di 10 volte).
Nell’ambito della ricchezza totale sia in Italia sia in Spagna le attività non finanziarie (prevalentemente immobili) superano ampiamente la ricchezza detenuta in attività finanziarie. Queste ultime sono pari a 3,8 volte il reddito disponibile in Italia e a circa 3 volte in Spagna.
Focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli ultimi anni, tre sono gli aspetti da evidenziare. In Spagna (come nella gran parte degli altri paesi) la ricchezza finanziaria delle famiglie ha più che recuperato i livelli raggiunti prima della crisi globale del 2007-2008. In Italia questo non è avvenuto poiché in rapporto al reddito disponibile le attività finanziarie sono ancora al di sotto del picco raggiunto nel 2006.
In secondo luogo, il tasso di risparmio lordo delle famiglie italiane è al di sotto della media dell’eurozona (12% circa a metà 2018) ma si mantiene comunque intorno al 10%. Nel caso spagnolo lo stesso indicatore è su livelli più contenuti e negli ultimi tre anni si è sostanzialmente dimezzato (al 4,4% a metà 2018).
L’ultima notazione riguarda le passività finanziarie, cresciute ovunque intensamente a partire dagli anni ’90 e fortemente ridimensionatesi dopo lo scoppio della crisi 2008-09. In rapporto al reddito disponibile in Spagna sono salite fino al 145% nel 2007 per poi riscendere al 110% circa nel 2017; l’Italia ha condiviso il generale processo di crescita (era al 36% nel 1995) ma dal 2010 in poi non si è mai allontanata in misura rilevante dall’80%.
L’insieme delle indicazioni fin qui proposte sembrerebbe portare a concludere che una parte non trascurabile del differenziale di crescita evidenziato dalla Spagna negli ultimi anni è stato determinato da un lato dal considerevole supporto offerto dai consumi pubblici, dall’altro lato dal comportamento delle famiglie che, in un contesto di elevata e perdurante disoccupazione, hanno “difeso” i loro consumi sia riducendo la propensione al risparmio sia confermando un’elevata propensione all’indebitamento.
Nel posizionare la Spagna non può essere omessa una considerazione sul suo sistema bancario. Nel luglio del 2012 il circuito finanziario spagnolo evidenziò segnali di fragilità talmente gravi da indurre l’Unione Europea a deliberare un ampio e rapido intervento di salvataggio. A fronte dell’impegno ad attuare alcune importanti riforme economiche, vennero messe a disposizione della Spagna risorse fino ad un massimo di €100 mld da impiegare nei successivi 18 mesi. Le risorse effettivamente utilizzate sono risultate poco superiori a €41 miliardi.
Il finanziamento accordato prevede una durata media di 12,5 anni e un tasso d’interesse pari all’1,1%. La restituzione del finanziamento è prevista avvenga nel quinquennio 2022-27 ma la Spagna ha già effettuato parziali operazioni di rimborso per un totale di 17,6 miliardi.
Al processo di ristrutturazione del sistema bancario hanno contribuito anche i maggiori gruppi perfezionando importanti operazioni di aggregazione, un processo ancora in corso. Nell’insieme, negli ultimi dieci anni il circuito bancario spagnolo è stato completamente ridisegnato, con una riduzione di oltre un quarto del numero delle istituzioni accompagnata da una contrazione del numero degli sportelli e dei dipendenti di oltre il 40% e 30%, rispettivamente. Il ridimensionamento del sistema bancario nazionale è ampiamente visibile anche nei dati di bilancio: a metà 2018 il credito concesso a famiglie e imprese spagnole ammontava a 1.174 mld, 677 in meno (-37%) rispetto al dato rilevato a fine 2008.
La qualità del portafoglio prestiti risulta decisamente migliorata: a giugno 2018, i prestiti irregolari risultavano scesi a 75 mld di euro, il 60% (o 114 miliardi) in meno rispetto al picco del dicembre 2013. La “pulizia” del portafoglio è avvenuta soprattutto sul fronte delle società non finanziarie (-69% o -95 miliardi rispetto a fine 2013), in particolare nell’ambito delle imprese di costruzione e delle società operanti nell’intermediazione immobiliare.
Il recente esercizio di simulazione (stress test) condotto dalla Bce ha certificato l’accresciuta resilienza del sistema bancario spagnolo che registra nello scenario peggiore una riduzione dei coefficienti patrimoniali più contenuta di quanto rilevabile altrove in Europa. Tuttavia, la Banca Centrale invita le banche non posizionate al vertice del sistema a proseguire il processo di rafforzamento patrimoniale.
Questo invito alla prudenza è stato sicuramente ispirato anche dalla consapevolezza della fragile situazione del mercato immobiliare le cui quotazioni sono (in termini reali) ora del 21% al di sopra del minimo del 2014 e del 33% al di sotto dei valori del 2007. La dinamica dei contratti di vendita e la (contenuta) ripresa dell’attività di costruzione risultano fortemente differenziate a livello territoriale.
I progressi conseguiti sono in parte conseguenza del parziale congelamento del mercato. Nei bilanci delle banche spagnole, infatti, continuano a pesare le attività acquisite a fronte di situazioni di insolvenza (foreclosed assets): il loro ammontare (lordo) pari a circa 80 mld nel 2012-13 risulta ridotto a 64 mld (giugno 2018). La difficoltà dell’attività di cessione è riscontrabile anche nella contabilità della bad bank nazionale (SAREB) che, malgrado la vendita di quasi 80 mila immobili, dopo sei anni di attività deve registrare addirittura un aumento del valore della componente immobiliare del suo portafoglio (da 11,3 a 12,3 mld) perché in molti casi l’attività di recupero dei prestiti si è conclusa con l’acquisizione delle garanzie immobiliari.