Nella vittoria di Bolsonaro in Brasile, nella chiusura del Parlamento britannico o sull'indipendentismo catalano, la storia recente delle democrazie vede crescere il peso politico delle decisioni delle alte corti della magistratura. Ma la loro mission dovrebbe essere un'altra
Nelle crisi democratiche, specie pre-1989, che potevano anche sfociare nel crollo e transizione autoritaria, i militari con il loro intervento, intenzionale o provocato, avevano di solito un ruolo determinante.
Nelle fasi di protesta, di polarizzazione e conflitto più accentuato, nei momenti di crisi o nelle crisi vere e proprie delle democrazie contemporanee, quasi mai accompagnate da crollo e cambiamento di regime, è ormai la magistratura, e specie le Alte Corti, a giocare un ruolo cruciale, più o meno intenzionalmente. Che significato ha questo nuovo protagonismo, e come se ne esce?
Partiamo da alcuni esempi per capire meglio il fenomeno. Di fronte a un risultato elettorale testa a testa, è la Corte Suprema americana che, chiamata in causa, decide l’elezione di Bush nel dicembre 2000 fermando il riconteggio dei voti in Florida, richiesto da Al Gore. In tempi più vicini ai nostri, Jair Bolsonaro vince le elezioni presidenziali in Brasile nel 2018, dopo che il candidato favorito, l’ex-presidente Lula, era stato messo in prigione per una presunta corruzione. Lula verrà, poi, assolto da una delle accuse principali nel luglio dell’anno seguente, mentre il magistrato che aveva seguito il caso era divenuto ministro nel nuovo governo brasiliano.
Su temi relativamente meno drammatici, a fine settembre 2019, la corte inglese interviene dichiarando illegittima la decisione di Boris Johnson di chiudere Westminster per cinque settimane e così riapre la partita interna sulla Brexit.
A metà ottobre 2019, arrivano le dure sentenze di condanna per sedizione (non violenta), cioè a seguito della dichiarazione di indipendenza del 2017, dei leader indipendentisti catalani da parte del Tribunale Supremo spagnolo. Il Tribunale Costituzionale spagnolo era, a sua volta, intervenuto nel conflitto catalano con una sentenza del giugno 2010 in cui dichiarava incostituzionali diversi articoli dello Statuto catalano, approvato nel 2006, che aveva posto le basi di un compromesso nel conflitto catalano.
Se stiamo all’esempio più vicino a noi, due interventi cruciali della magistratura spagnola vanificano i tentativi e le prospettive di compromesso. Qui, per brevità, e malgrado le opinioni contrarie di diversi giuristi, spagnoli e non, diamo per ammesso che entrambe le sentenze siano corrette nel merito.
Il fatto non dubitabile è che in una situazione difficile e di alta radicalizzazione tra le forze politiche i tentativi difficili e problematici di compromesso posti in essere dalle forze politiche, con discutibili risultati, sono stati vanificati dalla magistratura, con conseguenze drammatiche sia dopo la sentenza del 2010 che in questi giorni.
In breve, senza entrare nella volontarietà dell’azione della magistratura, l’effetto oggettivo è la politicizzazione profonda degli atti di un potere neutrale.
Come nei casi storici di interventi militari con colpi di stato, anche ora è evidente che la responsabilità di questa politicizzazione è degli attori partitici, che non riescono a trovare dei compromessi non attaccabili dalla magistratura.
È altrettanto evidente che sono ancora gli attori partitici che assai spesso usano la magistratura strumentalmente per i propri fini politici. Ma stando alle alte corti – non alla magistratura ordinaria – che hanno inevitabilmente un ruolo politico decisivo in qualsiasi democrazia, ci si deve chiedere: perché quella corte ammette di essere strumentalizzata? Invece di rimanere neutrale, se non addirittura di svolgere un’azione di decantazione dei conflitti, che pure non sarebbe del tutto estranea al suo ruolo in una democrazia?
In ogni caso, non vi sono dubbi che la responsabilità di uscire dall’impasse sta nelle mani degli attori partitici. Nella nuova situazione, ulteriormente radicalizzata, sarà ancora più difficile, ma in una democrazia non vi è altra soluzione che la ricerca di un compromesso da parte delle élites al governo e all’opposizione.
Si può, però, aggiungere che in queste situazioni sarebbero auspicabili interventi di un’alta corte che lascino spazio a compromessi e siano tolleranti e inclusivi delle diverse – anche assai distanti – posizioni espresse.
In altre parole, le sentenze delle alte corti non possono chiudere tutti gli spazi di compromesso per i politici, in situazioni già molto radicalizzate. Le altre corti sono poteri neutrali, ma anche democratici, ovvero devono tenere in conto e proteggere valori democratici come pluralismo, compromesso, e anche governabilità.
Questo è un altro paradosso delle democrazie attuali: la politicizzazione necessaria dei poteri neutrali per sostenere democrazie sfidate e sotto stress ma al tempo stesso rimanere il più possibile oggettivamente neutrali.