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Ma in Italia le Neobank faticano

Straniere o sviluppate all'interno delle banche tradizionali, in Italia le Neobank hanno incontrato qualche difficoltà a espandersi. Difficoltà accentuate dal Covid, che ha messo alla prova strutture non sempre ben rodate. Ecco quale strategia può riportarle a crescere

Gabor David Friedenthal
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Il Belpaese non occupa una posizione primaria nel panorama mondiale delle Neobank. Tale evidenza è riconducibile ad alcuni aspetti considerati nella costruzione stessa  dell’ Exton Worldwide Neobanking Index che analizza 40 paesi che presentano attività nel settore:

  • Livello di attività di Neobanking: le Neobank attive sul territorio nazionale sono 13, dato in linea con la media europea (13,2), tuttavia l’Italia è ancora distante da giganti come Regno Unito e Francia che presentano rispettivamente 33 e 23 Neobank operative.
  • Disponibilità del cliente al Digital Banking: la percentuale di utenti che utilizzano soluzioni bancarie mobile/online in Italia risulta inferiore alla media europea (78% vs. 88%), a testimonianza del fatto che le soluzioni delle banche tradizionali rappresentano ancora una quota più importante rispetto a quanto succede altrove.
  • Tasso di penetrazione delle Neobank sulla clientela: le prime tre Neobank in Italia per base di clienti catturano il 10% del totale di utenti potenzialmente target delle Neobank (dove la base di utenti potenzialmente target è calcolata come percentuale di utenti che usano internet nella fascia dai 15 ai 49 anni). Tuttavia, rispetto ai competitor dell’Eurozona, sebbene la base di utenti potenzialmente target sia in linea con la media, il tasso di penetrazione della clientela da parte delle Neobank è influenzato negativamente dal numero ridotto di Neobank attive (vi sono infatti 0,66 Neobank attive sul territorio nazionale per ogni milione di utenti potenzialmente target, mentre la media europea si attesta a 1,67).

Quest’ultimo punto ben esemplifica la differenza delle origini del fenomeno del Neobanking italiano rispetto ad altri paesi dell’Eurozona. In Italia le Neobank non sono nate come startup digitali nel settore dei servizi finanziari come è accaduto nel Regno Unito con Monzo e Revolut, in Francia con Qonto e in Germania con N26.

Il fenomeno del Neobanking italiano è infatti da ricondursi a due diverse correnti: da un lato Neobank straniere che operano con successo sul territorio, quali N26 o Revolut, dall’altro operatori bancari incumbent, che sull’onda delle esperienze d’oltralpe hanno sviluppato in-house la loro proposta di Neobank.

È il caso di HYPE del Gruppo Sella, Buddybank di Unicredit, Widiba del Gruppo Montepaschi. Il primo vero esempio di Neobank italiana “live” è invece quello di illimity, fondata da Corrado Passera, che ha scelto una strategia di maggior focalizzazione su alcuni prodotti e servizi specifici del mondo Business.

Le ragioni che hanno portato gli incumbent ad avventurarsi nel nuovo segmento sono note, il modello delle piattaforme bancarie digitali si sta imponendo sul panorama internazionale poiché risponde esattamente alle esigenze dell’utente: è flessibile, versatile, in grado di soddisfare la clientela ovunque si trovi, presenta bassi costi di struttura e una capacità di scalare rapidamente grazie alla tecnologia su cui si basa. Inoltre, spesso si è sperimentato che segregare e “incubare” l’iniziativa in modo separato rispetto alla normale attività della banca presenta numerosi vantaggi in termini di attività di sviluppo e “time to market”.

La crisi sanitaria che stiamo vivendo a causa del Covid-19 ha reso comunque sempre più tangibili i vantaggi legati a soluzioni digitali anche in ambito finanziario, creando ulteriore terreno fertile anche per le Neobank.

Inoltre, è importante sottolineare come nel settore dei servizi finanziari sia emerso già da tempo un sentimento da non sottovalutare, specialmente nelle nuove generazioni: i nuovi segmenti di clientela non cercano una banca, ma soluzioni semplici, intuitive e che rispondano ai loro bisogni finanziari.

Il 10% della base di utenti target delle Neobank è presidiato in Italia da 3 top player: accanto al successo del conto gratuito proposto da N26, neobank tedesca che conta oltre 500mila utenti in Italia, e Revolut, potenza britannica da 13 milioni di utenti complessivi di cui 500mila in Italia, che ha scelto Milano come base per il mercato dell’Europa meridionale, troviamo HYPE.

Lanciata nel 2015 dal Gruppo Banca Sella, rappresenta la prima piattaforma 100% made in Italy di mobile banking, con 1,3 milioni di utenti attualmente registrati. Il successo di HYPE è classicamente connesso al connubio felice fra tecnologia e relazione 100% digitale con il cliente su cui si fondano le Neobank. Da notare che HYPE sarà protagonista della prima operazione di consolidamento industriale dell’open banking: illimity Bank acquisirà il 50% di HYPE mediante una joint venture, con l’obiettivo di accelerare la crescita della Neobank.

È certo che banche tradizionali e Neobank saranno protagoniste del banking del futuro, tuttavia le ultime dovranno sforzarsi di raggiungere volumi sufficienti per resistere come entità stand alone oppure impegnarsi con altri player in operazioni di consolidamento, proprio come sta già accadendo sul panorama italiano degli “incumbent”.

TREND E PROSPETTIVE

I modelli di business digitale spesso seguono un percorso evolutivo simile. Inizialmente la maggior parte dell’energia e degli investimenti sono destinati alla crescita per raggiungere livelli minimi accettabili di volumi e quota di mercato, prima che diminuiscano i flussi finanziari degli investitori. Seguono, auspicabilmente, il raggiungimento del break even point, e, in ultima istanza, la profittabilità.

Amazon, che ha riportato profitti significativi per la prima volta dopo 9 anni dalla sua nascita, ben esemplifica che la pazienza degli investitori durante la fase di crescita si può ripagare in modo sostanziale col tempo. Le Neobank non sono poi così diverse dagli altri business digitali. A seguito dell’afflusso di denaro senza precedenti da parte degli investitori verificatosi negli ultimi anni, rapido aumento della base di clienti ed espansione internazionale hanno rappresentato per la maggior parte delle Neobank l’obiettivo strategico principale. Tuttavia l’attuale crisi della sanità globale potrebbe innescare un cambiamento.

Il COVID-19 ha causato turbolenze in molti settori e il segmento del Neobanking non fa certamente eccezione. Mentre i blocchi dell’attività in presenza hanno inizialmente creato un ambiente favorevole per le banche digitali poiché per natura perfettamente in grado di gestire da remoto i processi di onboarding e offerta dei servizi, il protrarsi della crisi ha evidenziato svantaggi anche per i nuovi attori, trovatisi spesso senza sufficiente esperienza bancaria propria e soprattutto con una minore esperienza in termini di gestione di scenari avversi.

Ne sono un esempio l’incapacità di N26 di ricevere i sussidi di disoccupazione in Spagna, l’esclusione delle Neobank francesi o tedesche dalla distribuzione di fondi governativi e la necessità di ingenti accantonamenti sui crediti del nascente lending book di Monzo.

L’immediata risposta alla crisi da parte delle Neobank non è stata diversa da quella dei competitor tradizionali: annuncio di programmi di riduzione dei costi e del personale, lancio di prodotti o piani di espansione rimandati a data da destinarsi e adeguamento verso l’alto dei prezzi.

Monzo, ad esempio, una delle Neobank più colpite dalla crisi, ha annunciato lo scorso giugno che avrebbe ridotto di 120 dipendenti l’organico, nonostante abbia usufruito del programma di mantenimento del lavoro implementato dal governo britannico per circa 300 dipendenti. Sempre Monzo ha introdotto nuove commissioni per la sostituzione delle carte e per i prelievi di denaro sia nel Regno Unito che nei paesi UE e ritardato il rilancio del conto premium per diversi mesi.

Date le recenti vicende, non sorprende quindi che il sentimento nei confronti delle Neobank si sia spostato verso un tono più critico negli ultimi mesi. Tuttavia, le ragioni non sono da ricercarsi unicamente nel COVID-19, infatti, la crisi sanitaria ha agito da acceleratore di quelle tendenze che avevano avuto inizio prima che la crisi si manifestasse. Consideriamo cinque importanti driver che hanno contribuito a creare un nuovo ambiente per le Neobank:

  • Crescente concorrenza sia da parte di altre banche digitali che da parte di player tradizionali che si stanno trasformando di fronte alla minaccia digitale e che stanno promuovendo piattaforme di Neobanking differenziate e di successo
  • Conseguimento della “maggiore età”: con le prime Neobank che celebrano i loro 5 anni dall’avvio e si avvicinano al raggiungimento dei volumi auspicati (considerato in genere come diversi milioni di utenti), gli investitori attendono sempre più il momento di passaggio dalla crescita alla monetizzazione dell’investimento.
  • Maggiore attenzione dei regolatori nei confronti delle Neobank a seguito di alcuni problemi di processo e mancanza di conformità di alcuni dei principali attori.
  • Aumento della complessità per le banche multi-paese in termini di difficoltà di competere e gestire più fronti differenti mantenendo management snello e costi ridotti.
  • COVID-19 che influisce sui parametri del retail banking in tutto il mondo, provocando aumento delle inadempienze sui crediti, passaggio ai pagamenti digitali o rallentamento almeno temporaneo delle transazioni commerciali.

Questi driver hanno creato un nuovo ecosistema, innescando la necessaria ridefinizione delle priorità delle azioni strategiche per le Neobank, come evidenziato nella tabella seguente.

DA CRESCITA INCONDIZIONATA A CRESCITA SELETTIVA

La linea di fondo di questo sviluppo sembra evidente: per sopravvivere e migliorare il posizionamento competitivo, le Neobank dovranno concentrarsi sui loro punti di forza, piuttosto che cercare di essere ovunque e per tutti. In altre parole, per sopravvivere le banche dovranno concentrarsi sui loro mercati primari, sui prodotti e fattori di differenziazione principali e dovranno utilizzare la propria capacità finanziaria in modo efficiente per crescere in aree attentamente selezionate.

Ciò può ancora includere l’ingresso in nuovi mercati e il lancio di nuovi prodotti, ma non tanto per il gusto di mettere una bandiera in più paesi rispetto alla concorrenza senza essere in grado poi di gestire la crescita locale. A questo proposito, gli annunci, come quelli di N26 che lascia il Regno Unito, Penta che abbandona l’Italia e Soldo che rinuncia ai prodotti al dettaglio per concentrarsi solo sulle PMI, non rappresentano un segno di debolezza, quanto piuttosto la necessaria volontà di concentrarsi sull’offerta core.

Per aggiungere un ulteriore punto a sostegno di tale riflessione, non è un caso che 4 delle 5 più grandi Neobank in tutto il mondo in termini di numero di clienti abbiano trascorso diversi anni concentrandosi solo sul paese di origine prima di andare all’estero; Revolut è l’unica Neobank ad essersi espansa internazionalmente già dalla fase iniziale del suo sviluppo.