approfondimenti/Mercato finanziario
strategie di investimento
Ma i Pac convengono davvero?

Il Piano di accumulo permette effettivamente di migliorare il trade-off rendimento/rischio dell’investimento? O serve solo ad accrescere il “comfort emotivo” dell’investitore? Un paper confronta il Pac con la soluzione alternativa dell'asset allocation. Il risultato è che sarebbe meglio adottare una terza strategia...

Emanuele Carluccio, Paolo Cucurachi, Ugo Pomante
Carluccio
Cucurachi
Pomante

Nel prossimo numero della Rivista Bancaria pubblichiamo un lavoro dal titolo “I piani di accumulo (PAC): una scelta razionale o emotiva?” che ha l’obiettivo di dimostrare come, per un investitore europeo che intenda investire nel mercato azionario internazionale, un giudizio sui benefici del PAC rispetto alla soluzione alternativa dell’investimento in un’unica soluzione (PIC) possa essere espresso solo dopo aver analizzato i risultati che si ottengono da una serie, sufficientemente ampia, di simulazioni che non siano condizionate da una particolare congiuntura dei mercati.

Più in particolare, ciò che si intende verificare è se il PAC risponda ad un comportamento razionale che permette effettivamente di migliorare il trade-off rendimento/rischio dell’investimento, ovvero se debba essere inteso come una soluzione per accrescere il “comfort emotivo” dell’investitore. 

Il crollo dei mercati finanziari registrato in concomitanza con la diffusione della pandemia da Covid 19 ha spinto la stampa specializzata e molte società di gestione a dare grande enfasi al tema dei piani di accumulo quale soluzione ideale per quegli investitori che, dopo i ribassi del mercato registrati tra febbraio e marzo 2020 ed il conseguente de-risking dei portafogli, dovevano e volevano rientrare sulle attività rischiose. 

Un elemento preliminare dal quale abbiamo preso le mosse è quello definitorio; nei prospetti informativi dei fondi comuni la nozione di PAC viene associata alla facoltà concessa agli investitori di sottoscrivere un fondo comune programmando un certo numero di acquisti periodici (ad esempio mensili) con l’obiettivo di frazionare nel tempo l’investimento. Nella prassi, questo implica che questa modalità di acquisto di un’attività finanziaria possa essere utilizzata da due tipologie di soggetti:

  1. coloro che, non avendo un capitale iniziale da investire ma in previsione di una certa capacità di risparmio futura, decidono di programmare un acquisto graduale, prescindendo da qualunque valutazione di timing;
  2. coloro che, pur avendo un capitale iniziale da investire, anziché effettuare un investimento in un’unica soluzione, decidono di “spalmarlo” su un determinato lasso temporale (che chiameremo periodo di accumulazione), che non necessariamente coincide con il periodo di investimento. 

Nel nostro lavoro abbiamo assunto la seconda prospettiva, dimostrando come il confronto tra il piano di accumulo preso in esame dalla letteratura e dai practitioner (ossia l’investimento graduale di una somma già disponibile che viene momentaneamente accantonata in un’attività priva di rischio per essere progressivamente destinata ad un’attività rischiosa) e la strategia di investimento integrale nell’attività rischiosa non sia coerente da un punto di vista finanziario, in quanto le due alternative presentano esposizioni medie rispetto all’attività rischiosa del tutto eterogenee: il PAC prevede un incremento graduale dell’investimento nell’attività rischiosa (che passa dallo 0% al 100%), mentre quella in unica soluzione prevede un investimento immediato di tutto il capitale nell’attività rischiosa. 

I dati relativi alle simulazioni effettuate nel paper confermano tale eterogeneità per cui abbiamo ritenuto opportuno effettuare delle ulteriori simulazioni rispetto ad una soluzione di investimento riferita ad un portafoglio con una esposizione media all’attività rischiosa coerente con quella media del piano di accumulo.

Dal confronto tra queste due strategie non emergono evidenze empiriche che possano sostenere la superiorità finanziaria del piano di accumulo come soluzione alternativa all’investimento nell’asset allocation ritenuta coerente con la tolleranza al rischio dell’investitore. 

Tale conclusione, fondata sull’assenza di evidenza in termini di miglioramento del trade off rendimento-rischio, non deve necessariamente condurre alla conclusione che l’ingresso graduale sulle asset class rischiose mediante il PAC non costituisca una valida alternativa, ma deve, a nostro parere, indurre gli intermediati a presentare agli investitori tale soluzione mettendo in risalto i suoi vantaggi in termini di capacità di sopportazione degli shock di mercato.

Il reale vantaggio che il piano di accumulo può infatti offrire è quello di limitare la possibilità di sostenere perdite nelle fasi iniziali del periodo di investimento, accettando tuttavia una loro amplificazione nella fase finale, quando l’investimento è pienamente investito nell’attività rischiosa.

Questa strategia dovrebbe, quindi, essere presentata come una soluzione in grado di accrescere il comfort comportamentale dell’investitore prendendo in considerazione non solo la sua tolleranza al rischio (risk aversion), ma anche la sua tolleranza al rimpianto (regret aversion) rispetto al momento di possibile manifestazione delle perdite.

Proprio a tal fine, presentiamo una soluzione alternativa al piano di accumulo – denominata life cycle – che, prevedendo rispetto al PAC un ribaltamento della strategia di investimento (l’investimento iniziale è 100% attività rischiosa e si procede, poi, ad una graduale riduzione della sua esposizione ), consente, a parità di trade-off tra rendimento e rischio, di ridurre l’entità delle perdite nella parte terminale del periodo di investimento.