Il Principe

di Leonardo Morlino

M5S in crisi. Ma il partito digitale ha ancora un futuro

I diversi leader potrebbero darsi delle regole volte a favorire partecipazione e informazione, ma anche delle prassi dirette a ridurre la delusione e il distacco degli elettori

Leonardo Morlino
MORLINO

L’uscita di Di Maio dal Movimento 5 Stelle con la creazione di “Insieme per il futuro” certifica, al di là di ogni dubbio, qualcosa di già noto: la crisi di quella formazione politica. Però, vi è qualcosa in più che va messo in evidenza: è anche fallito un progetto che avrebbe potuto innovare la politica italiana. Che cosa è successo e che prospettive ci sono? Cominciamo dall’inizio.

Già negli anni Ottanta del secolo scorso era iniziata una profonda trasformazione organizzative dei partiti. Vi era stato un lento ma continuo declino della militanza, degli iscritti e un inizio di personalizzazione degli stessi. Sono gli anni in cui Craxi, ma anche De Mita e Andreotti, assumevano un ruolo centrale nella competizione politica. Sono anche gli anni in cui Berlusconi usa la televisione privata come strumento politico essenziale, prima aiutando Craxi, poi dopo la caduta del muro di Berlino e la crisi dei partiti tradizionali, creando egli stesso un partito che innovava profondamente sia sul piano organizzativo sia delle campagne elettorali e anche delle politiche.

La vittoria del 1994 e gli anni successivi confermano il cambiamento della formula: partiti basati su tecnici professionisti soprattutto della comunicazione televisiva, ma anche radiofonica. Peraltro, la reazione degli italiani proprio a metà di quel decennio è molto favorevole a Berlusconi, anche se aveva ancora governato a sufficienza per mettere alla prova la validità delle sue ricette.

A differenza di altre democrazie europee – ad esempio, la Germania – in Italia i partiti di massa sono sostanzialmente scomparsi e anche il PDS/DS/PD non ha più la membership diffusa e numerosa dei decenni precedenti. Resiste la Lega, almeno fino all’avvento di Salvini come segretario (2013). La partecipazione è ridotta ai minimi termini. La Grande Recessione iniziata nel 2008 porta una crescita inusitata di insoddisfazione e la richiesta di cambiamenti.

In questo quadro una nuova innovazione tecnologica, ovvero internet con le reti sociali, sembra potere far nascere un nuovo partito innovativo, il partito digitale. In Europa, i Pirati in Germania e Svezia e soprattutto in Spagna con Podemos e in Italia con il Movimento 5 Stelle, questi nuovi partiti sono creati con caratteristiche simili: la possibilità di partecipazione diretta dei cittadini attraverso la rete, e di conseguenza la possibilità di creare e consolidare una democrazia diretta; l’assenza di linee politiche predefinite, perché le politiche le decidono i cittadini quando consultati; una posizione anti-establishment di protesta teso ad avere più sostenitori possibili.

Quando dal progetto si è passati alla realtà, sia Podemos che il M5S, che in diverso modo hanno avuto la possibilità di influenzare o di governate effettivamente, hanno evidenziato una gestione interna non democratica, l’assenza di posizioni politiche e l’insofferenza per le opposizioni interne, la difficoltà di dare risposta alle sovra-aspettative che avevano alimentato nei cittadini. I vincoli dell’azione di governo in democrazie interdipendenti hanno portato allo stallo e alle incertezze. In breve, nel giro di qualche anno si è visto che il modello innovativo del partito digitale così come era stato pensato non ha funzionato. 

Senza dubbio la pandemia e da qualche mese la guerra, con i profondi impatti interni e internazionali, non hanno aiutato. Ormai, però, le modalità di comunicazione e di partecipazione sono quelle. Oggi non sembra che altro si possa inventare, al di là di una qualche variazione nella forma di ibridazione tra partito elettorale e partito digitale.

Poiché un modello di partito basato sulla comunicazione digitale rimane ancora una prospettiva possibile, i diversi leader potrebbero darsi delle regole volte a favorire partecipazione e informazione, ma anche delle prassi dirette a ridurre la delusione degli elettori. Ce la faranno? È un’utopia senza senso? Se, però, si constata che quella digitale rimane la forma principale di comunicazione non resta che dire: provaci ancora Sam.

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