BANCA D'ITALIA 2023
L'ultima volta di Visco

Che cosa c'è nella ultime Considerazioni finali di Ignazio Visco da governatore. E che cosa pensano i tecnici di via Nazionale di alcune questioni centrali, dal PNRR alla perequazione dei redditi

Paola Pilati

Di qui a novembre, quando terminerà il suo incarico, ci saranno tante altre occasioni per gli interventi di Ignazio Visco, per il quale i ferri del mestiere di economista hanno sempre prevalso sulla “sacralità” del ruolo di vertice della banca centrale, che faceva dosare a molti predecessori parole e presenze pubbliche. E ce ne saranno di occasioni anche dopo, vista la passione dell’uomo nel dare il suo contributo ai problemi del paese.

Le ultime Considerazioni di Visco da governatore, però, non potevano che avere un peso particolare nel fornire un messaggio e una chiave di lettura su quello che ci aspetta, e che ci spetta di risolvere.

Ebbene, nel dipingere l’economia italiana, Visco si è potuto togliere questa volta la soddisfazione di usare i toni positivi che da molto tempo non si ascoltavano nei saloni di palazzo Kock e di raccontare la notevole capacità di resistenza e di reazione del paese: crescita del Pil, del mercato del lavoro, buona forma delle banche, risveglio nell’apparato produttivo degli “animal spirits” delle imprese, fattori che hanno tutti superato le attese.

Nel ricordare le sfide affrontate con la pandemia, il governatore ha potuto rivendicare gli interventi di politica monetaria che ne hanno moderato gli effetti economici e sociali; la crisi del gas è stata superata “meglio di quanto ci attendevamo”; quanto all’inflazione, una risposta monetaria “graduale” sarà in grado di domarla, come è già successo nel recente passato con il contrasto dei rischi deflattivi. Persino sul PNRR, Visco ha dato il suo via libera a miglioramenti e modifiche, purché siano veloci e in un confronto continuo con la Commissione.

Ma è nell’intonazione finale che sta il messaggio più forte. È l’invito al lavoro collettivo, alla collaborazione nell’immaginare il futuro e di saperlo costruire. Basato sulla consapevolezza che sia la riduzione del debito pubblico, che la difesa dell’ambiente, sono problemi che la società deve comprendere e fare propri, non perché “ce lo chiede l’Europa”, “ma perché ci schermano dai rischi e dischiudono opportunità”. Immaginare il futuro sarà cruciale, e occorre farlo “collettivamente”, ricorda in chiusura Visco.

Questo invito ad arrivare a una visione strategica comune, scesa come un balsamo unificante su una variegata platea fatta di banchieri, politici, amministratori, non impedisce all’istituzione Banca d’Italia di fare anche questa volta il suo mestiere di fornitore di analisi e valutazioni – non altrettanto unificanti – sulle scelte fatte dai governi. Succede anche in questa Relazione annuale. Ecco i nodi più spinosi.

Il bilancio del PNRR

Finora l’Italia ha ricevuto 66,9 miliardi (37,9 di prestiti e il resto in sovvenzioni), vale a dire il 35 per cento delle risorse messe a disposizione. Purtroppo con l’inflazione il costo dei progetti è salito del 10 per cento, incremento coperto solo parzialmente.

Sia per questo che per i ritardi accumulati, il governo ha deciso di chiedere alla Commissione di fare delle modifiche al Piano. Nel frattempo, corrono i termini degli impegni del 2023: 96 tra traguardi e obiettivi, di cui il 70 per cento di investimenti. La capacità di saper spendere le risorse avrà quindi sempre maggiore rilevanza rispetto alle attività normative (le riforme richieste) e di progettazione, osserva la Banca. L’aver cambiato il governo del Piano, accentrando tutto in una nuova struttura di missione che richiede un periodo di adattamento, non sembra una mossa felice: dovrà comunque garantire il rispetto dei serrati tempi di attuazione previsti, ammonisce la Relazione. E, dietro le righe, si capisce che non ha condiviso. Sarà anche Bankitalia accusata di essere poco collaborativa, come è capitato alla Corte dei Conti?

Dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione

La modifica degli interventi per il contrasto della povertà è stato uno dei primi atti del governo Meloni. Ha infatti introdotto l’AdI che dal 2024 sostituisce il RdC per i nuclei famigliari fino a seimila euro di reddito per una sola persona e incrementando secondo certi coefficienti per i nuclei con un componente minorenne, oppure disabile, o di età superiore a 59 anni; chi ha a carico figli fino a 21 anni può cumulare anche l’assegno unico universale e se si è in affitto si può avere anche un contributo per il canone. È previsto che un assegno di supporto per la formazione e il lavoro per gli adulti tra i 18 e i 59 anni. Il tutto comporterà una spesa annua di 7 miliardi, contro gli 8,8 del RdC. Chi ci rimette?

Secondo la simulazione di Bankitalia, la platea si riduce del 30 per cento in virtù dei nuovi requisiti anagrafici introdotti, e di un altro 10 per i nuovi requisiti economici. Per le famiglie degli stranieri, si riduce da 10 a 5 ani il requisito di residenza in Italia, ma solo apparentemente è un vantaggio, perché dall’altro lato si irrigidiscono quelli anagrafici. In totale, due terzi degli stranieri perderebbero diritto al sussidio rispetto a ora.

Nuovo codice degli appalti

Riuscirà ad accelerare ulteriormente le procedure (già in parte introdotte) il nuovo codice varato lo scorso aprile? Dal 2018 al 2022, dice Bankitalia, la quota di lavori assegnati con procedure non competitive sono saliti dall’8 al 44 per cento. Hanno sì tagliato i tempi di affidamento del 30 per cento, ma “a fronte di un calo del numero delle offerte ammesse alla gara e di una conseguente diminuzione dei ribassi”.

Inoltre, osservano i tecnici di via Nazionale, lo stesso risultato si poteva ottenere con interventi di natura procedurale; senza considerare che la procedura di aggiudicazione incide solo in minima parte sulla durata dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche, mentre a pesare molto sui tempi sono la progettazione e l’esecuzione. E se non sono queste che vengono sveltite, possiamo dire addio al rispetto dei tempi previsti dal PNRR.

Effetto bonus

I bonus edilizi hanno spinto la crescita del Pil dell’1 per cento all’anno nel 2021 e 2022. Hanno infatti stimolato una spesa aggiuntiva che ha fatto lievitare quella complessiva in edilizia residenziale del 40 per cento. I crediti di imposta maturati sono stati altrettanto esplosivi: poco meno del 2 per cento del prodotto nel 2021 e 2,5 per cento nel 2022. Sono costati troppo? Considerando i lavori che sarebbero stati fatti lo stesso con le agevolazioni già esistenti, più l’incasso dell’Iva sui lavori addizionali, nonché i contributi versati e le imposte pagate da aziende e lavoratori, Bankitalia stima che per le finanza pubbliche le agevolazioni introdotte del 2020 pesino per la metà del loro valore, più di quanto stimato all’inizio dal governo. La domanda da porsi è quindi: quelle risorse potevano essere impiegate meglio per l’efficienza energetica?

Redditi&fisco.

Sulla riforma fiscale annunciata dal governo Meloni sia Visco nelle sue Considerazioni finali, sia la Relazione, si muovono con passi felpati (ma la posizione di Bankitalia è stata chiarita pochi mesi fa in una audizione alla Commissione finanze ). Ma indagando sugli effetti sui redditi delle principali misure per le famiglie introdotte con la legge di bilancio 2023, emergono alcune riflessioni importanti. Di quali misure si parla? Della decontribuzione per i lavoratori dipendenti, della nuova flat tax per gli autonomi e dei trasferimenti monetari alle famiglie. In totale, una spesa per l’erario di 4,8 miliardi per il 2023 e che si traduce per le famiglie in un aumento medio del reddito di 193 euro all’anno. Naturalmente i vantaggi sono più accentuati per le fasce di reddito più basse, ma c’è un altro effetto evidente: il reddito disponibile delle famiglie dei lavoratori autonomi cresce in media del doppio di quello delle famiglie dei dipendenti. Ma forse non è un caso: la quota di lavoro autonomo in Italia è tra le più alte rispetto ai paesi avanzati, e cioè il 22 per cento (è il 13,7 nell’area euro).

La redistribuzione, commenta in sostanza la Banca, resta un’araba fenice: alcuni interventi rafforzano piuttosto le disparità di trattamento tra contribuenti che hanno diversa tipologia di reddito ma analoga capacità contributiva. In aggiunta, c’è da considerare – osservano i tecnici di via Nazionale – l’effetto perverso che gli incentivi monetari  possono produrre. E cioè indurre chi li percepisce a non cercare un impiego o non volere accrescere il reddito già percepito. Miglioramenti che li esporrebbero alla perdita delle agevolazioni per il superamento della soglia.

“Abbiamo sempre presente la necessità di fondare valutazioni e decisioni su informazioni e analisi il più possibile ampie e accurate”, ha ricordato Visco in chiusura, “con l’intento esclusivo, in comune, non in dissidio, con lo Stato, di migliorare le condizioni dell’attività nazionale e di migliorarne le sorti”. Sarebbe bello se dopo la passerella del 31 maggio fosse preso in parola.