Manovra/ Intervista a Pietro Reichlin
Lo spread a 300 durerà
Paola Pilati

«Una procedura d’infrazione? Non la vuole nessuno, è un’arma spuntata: toglierebbe credibilità alla stessa Europa. Resta il fatto che se si cerca la rissa con la Commissione, Bruxelles non può restare indifferente. Proprio ora poi che la Grecia sta facendo un avanzo primario con grandi sacrifici…». Pietro Reichlin, professore di Economia alla Luiss, da un lato ridimensiona il rischio che l’Italia possa essere punita come pecora nera delle regole europee, dall’altro non fa sconti alla manovra di Tria. «Il fatto che il governo abbia previsto un tasso di crescita irrealistico, all’1,2 quest’anno e all’1,5 il prossimo, in contraddizione con le previsioni di tutti gli uffici studi più accreditati, è già un fatto drammatico. Ma soprattutto si tratta di una manovra con effetti recessivi. Se viceversa il governo, viste le sue previsioni, pensa che siamo in fase espansiva, dovrebbe fare altro».

Secondo lei siamo in fase espansiva? E il rallentamento che si sta registrando, con crescita zero nell’ultimo trimestre, non ci deve preoccupare?

«Diciamo che non siamo in recessione. L’Italia non ha tassi di crescita tipo quelli di Spagna e Irlanda da anni. Il rallentamento appena registrato è per metà un trend globale, ed è tollerabile, per l’altra metà ce lo stiamo infliggendo da soli, con l’aumento dello spread che rallenta il credito e danneggia le imprese».

Lei vede quindi un margine di manovra con l’Europa.

«L’atteggiamento del governo è ambivalente. Da una parte agita il vessillo dello scontro con l’Europa, che Salvini e Di Maio considerano dia vantaggi politici, e perciò cercano la prova di forza. Dall’altro c’è la posizione del ministro Tria che vorrebbe comunicare un messaggio diverso. E cioè che i soldi per tutte le riforme annunciate, dalla flat tax al reddito di cittadinanza, sono sul piatto. Ma se le cose dovessero andare male e il deficit salire oltre quella soglia, non si faranno».

I mercati ci crederanno?

«Penso che una strategia di questo tipo non sia seria né per gli italiani né per gli investitori. E comunque anche con una crescita non brillante non possiamo fare a meno di ridurre il nostro debito».

Quale potrebbe essere la soluzione di compromesso?

«Rimandare alcune spese, e renderci più credibili sul fronte delle previsioni. Anche se un po’ di buoi sono già scappati».

Che cosa intende?

«Lo spread a 300 ce lo terremo per i prossimi due-tre anni. Resta l’idea che siamo un paese che non rispetta le regole comuni. Regole che non sono un artificio politico, ma la nostra assicurazione di fronte ai mercati».

Ha ragione chi teme che ci possa essere una stretta fiscale sui cittadini?

«Quella c’è già. Se aumenta il disavanzo, è certo che ci saranno più tasse. E noi eravamo a un disavanzo del 2 per cento già prima della manovra, che aggiunge un altro 0,4 di disavanzo in più. Se non ci saranno più tasse nel 2019, ci saranno sicuramente nel ’20 e nel ’21».

Pensa anche a una patrimoniale?

«Oggi c’è già: sui patrimoni finanziari e sulle seconde case. Certo, se lo spread va a 400 punti, le banche dovranno essere ricapitalizzate con fondi statali…Ma una patrimoniale non la farà questo governo, perché a quel punto sarà già saltato e andremmo a nuove elezioni».

Cosa pensa del progetto di chiamare i cittadini a comprare più titoli di Stato? Si parla della nascita dei Cir, i conti di risparmio in cui depositare, vincolandoli, i titoli di Stato. Intanto c’è una nuova emissione in corso di un Btp “Italia” a scadenza ravvicina, cioè quattro anni, e con un premio fedeltà per chi li tiene fino alla scadenza. Una prova generale?

«Intanto c’è un accorciamento delle scadenze standard, che non è una cosa buona perché vuol dire un rinnovo ravvicinato. Poi incentivare alcuni investimenti vuol dire pesare sugli investimenti alternativi, e ridurre la liquidità al sistema finanziario e le opportunità di investimento: per proteggere il proprio capitale concentrare il rischio sull’Italia non è l’ideale».

Per quanto remoto, qualcuno comincia a evocare il rischio “default”. Persino il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha parlato, alla giornata del Risparmio, del pericolo di una ridenominazione del debito. Cosa potrebbe accadere?

«Una ridenominazione del debito presuppone un default. Certo, nessuno può obbligare uno Stato a restituire i soldi presi in prestito. L’Italia si isolerebbe dal resto del mondo. E per i successivi vent’anni non troverebbe nessuno disposto a darci un soldo».