Una recente sentenza della Corte di giustizia europea definisce i limiti e le condizioni di esercizio dei poteri di intervento dell’Esma sulle vendite allo scoperto. E questo giudizio è destinato a condizionare l'operatività di tutte le agenzie europee
L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), istituita nel 2011, è una delle tre agenzie create dall’Unione europea per rispondere al deficit di vigilanza evidenziato dalla crisi finanziaria. Con l’Autorità bancaria europea (Eba) e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni (Eiopa), l’Esma ha la funzione di coordinare l’attività delle Autorità di supervisione degli Stati membri (come l’italiana Consob) e di redigere ‘progetti’ di norme tecniche in materia finanziaria.
Poco dopo l’istituzione dell’Esma, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato il Regolamento (Ue) n. 236/2012 per disciplinare le vendite allo scoperto e alcuni aspetti dei credit default swap. La vendita allo scoperto (c.d. short selling) è un’operazione attraverso la quale un soggetto vende uno strumento finanziario che non possiede con l’intenzione di riacquistare un titolo identico in un momento successivo. Se il valore del titolo scende, il venditore guadagna e tale guadagno corrisponde alla differenza tra il prezzo di vendita del titolo non posseduto e quello di acquisto (successivo) di un titolo identico.
Dalla fine del 2008, alcuni Stati membri dell’Ue hanno adottato provvedimenti di emergenza diretti a limitare o vietare le vendite allo scoperto in presenza di particolari, sfavorevoli, condizioni di mercato. Tali interventi si sono resi necessari sulla base dell’opinione diffusa secondo cui, in momenti di instabilità finanziaria, le vendite allo scoperto possono aggravare la spirale della discesa dei prezzi dei titoli quotati. Le misure adottate dai regolatori nazionali si sono, però, spesso rivelate inefficaci a causa della mancanza di coordinamento a livello europeo: un divieto di vendere allo scoperto imposto in Germania (e non, ad esempio, in Italia o in Francia) non elimina il rischio di spirali ribassiste e rischia, in definitiva, di risolversi in una lesione dei diritti dei soli investitori cui è imposto.
Per coordinare l’intervento delle autorità di vigilanza nazionale, l’art. 28 del Regolamento 236/2012 ha attribuito all’Esma il potere di emanare provvedimenti restrittivi delle vendite allo scoperto. Questa scelta ha suscitato le perplessità di molti commentatori e le critiche aperte degli Stati membri “meno europeisti”. L’Esma, infatti, come tutte le agenzie dell’Unione europea, non è dotata di poteri normativi che possano incidere direttamente sui partecipanti al mercato. Poteri di questo tipo, ai sensi dei Trattati europei, sono attribuzione esclusiva delle sole istituzioni dell’Unione (come il Parlamento, il Consiglio o la Commissione).
Con una sentenza del 22 gennaio 2014, la Corte di Giustizia Ue si è pronunciata sulla conformità ai Trattati europei del potere attribuito all’Esma di limitare e vietare le vendite allo scoperto. La pronuncia è stata sollecitata da un ricorso presentato dal Regno Unito che, nel corso del 2012, ha chiesto l’annullamento dell’art. 28, sostenendo che la facoltà ivi attribuita all’Esma fosse in contrasto con i Trattati nella misura in cui aveva trasferito poteri di regolazione di carattere discrezionale, che implicano scelte di politica economica, a un’agenzia dell’Unione europea. Il caso è di particolare interesse perché affronta, in modo diretto, la questione dei poteri in concreto esercitabili dall’Esma (e, quindi, anche dall’Eba e dall’Eiopa).
La decisione della Corte di Giustizia è destinata a diventare un leading case in tema di agenzie europee. Per “salvare” l’art. 28 del Regolamento n. 236/2012, la Corte, nel rigettare il ricorso del Regno Unito, ha fatto leva sul disposto dell’art. 114 TFUE, disposizione che consente all’Ue di adottare misure funzionali all’armonizzazione del mercato interno, anche ove tali misure non rientrino tra le competenze espressamente attribuite all’Unione. Significativamente la Corte ha anche precisato come il potere attribuito all’Esma in materia di vendite allo scoperto non abbia le caratteristiche del “potere discrezionale” che incide sulle scelte di politica economica degli Stati membri. È, infatti, lo stesso art. 28 a prevedere che l’Esma possa intervenire direttamente – sostituendosi alle Autorità degli Stati membri – solo al verificarsi di specifiche condizioni. L’Autorità di vigilanza europea può imporre restrizioni, o divieti, di vendere allo scoperto solo ove tali operazioni possano comportare, in un dato momento, una “minaccia all’ordinato funzionamento dell’Unione” e solo se “sussistono implicazioni transfrontaliere”.
Un potere di questo tipo, secondo il giudice europeo, non contrasta con i principi dell’Unione. Al contrario, un tale potere è pienamente in linea con i Trattati perché non implica che l’Esma possa disciplinare liberamente e in modo stabile le vendite allo scoperto. Il potere normativo di carattere generale è – e resta – un’attribuzione tipica delle sole istituzioni europee che trovano fondamento e disciplina nei Trattati.
L’Esma dispone di un potere che è direttamente vincolante, ma che non ha carattere generale; esso è legittimamente esercitabile solo in situazioni di emergenza, con effetti limitati nel tempo e, in ogni caso, per perseguire specifici obiettivi di coordinamento e armonizzazione tra Stati a livello europeo. Ciò significa l’Esma può limitare o vietare lo short selling, anche imponendo le proprie decisioni a investitori e Autorità nazionali in disaccordo, ma l’esercizio di tale potere è legittimo solo se i provvedimenti restrittivi sono adottati nel rispetto dei limiti e delle condizioni ricordate dalla Corte di Giustizia.