FINANZA
Lo shareholder activism combatte per l'ambiente

La battaglia dei sostenitori dei criteri ERSG si allarga alle grandi corporation quotate in Borsa. Piattaforme come Tulipshare possono diventare la loro spina nel fianco, grazie all'impegno di tanti piccoli investitori, coalizzati su obiettivi che fanno la differenza

Paola Pilati

Non c’è soltanto l’attivismo dei sit-in sulle strade, o quello, ultimamente molto di moda, degli imbrattatori di tele, per sensibilizzare sui temi ambientali. Anche nel mondo finanziario l’uso di azioni di pressione da parte di soggetti che si trovano all’ultimo anello della catena del potere si sta moltiplicando. Il fenomeno si chiama shareholder activism e più che percorrere la strada della ribellione eclatante per attirare l’attenzione, usa gli strumenti legali a disposizione per rivendicare il suo peso e raggiungere i suoi obiettivi.

Il fenomeno degli azionisti attivisti è organizzato da fondi che raccolgono le quote sparse tra tanti piccoli azionisti per rappresentarli collettivamente in assemblea su argomenti che altrimenti passerebbero in secondo piano. La novità è che ai fondi che puntano soprattutto a ottenere cambio del vertice o vantaggi in termini economici, come l’aumento dei dividendi e la massimizzazione degli util, con l’incremento quindi del titolo in Borsa, ora si sono affiancati fondi che coalizzano gli azionisti mossi da intenti sociali, i cui obiettivi rientrano quindi dentro le categorie ESG (environment, social e governance).

Ancora più interessante è l’identikit di questi azionisti: giovani, non necessariamente esperti dei mercati finanziari, che investono piccole cifre solo per poter dire la loro nei grandi templi del capitalismo. E spesso ci riescono.

Dare impatto all’investimento di attivisti che vogliono portare avanti istanze etiche è per esempio la missione della piattaforma Tulipshare, nata in Uk, che ha già messo a segno diverse vittorie. Ha ottenuto dalla Johnson&Johnson il ritiro dal mercato del talco, accusato di essere legato a casi di cancro, e l’avuta vinta anche su Apple.

L’anno scorso, durante l’assemblea annuale della società di Copertino, Tulipshare, in alleanza con il fondo americano Assad asset management, è riuscita a rappresentare un terzo della compagine azionaria della società e a ottenere un impegno su un argomento molto delicato, su cui Apple non aveva mai ceduto: la trasparenza dei rapporti con quei governi – come Cina e Russia – che le impongono di cancellare alcune app. Ora la società si è impegnata a rivelare con quali basi legali sono state presentate le richieste di cancellazione dei governi e se sono quindi in contrasto con il principio della libertà di espressione.

Se non fossero chiare le finalità di questa opposizione condotta nelle stanze del potere capitalistico e con gli strumenti del potere capitalistico, ecco le prossime aziende nel mirino di Tulipshare: quest’anno tocca alla Coca-Cola, per convincerla a dismettere l’uso delle bottiglie di plastica, a JPMorgan per dissuaderla da investire sui combustibili fossili e alla Tesla, per chiedere di legare la paga di Elon Musk ai criteri ESG.

I 28 mila utilizzatori della piattaforma, in gran parte tra i 21 e i 30 anni di età, certamente non avrebbero né la forza né le competenze per partecipare da soli a una di queste battaglie, invece lo possono fare spendendo anche solo 6 sterline con l’app sul proprio smartphone. L’attivismo di Tulipshare e fondi simili per ora è praticato negli Usa in quanto, secondo le regole della Sec, per far sentire la propria voce in un’assemblea azionaria e mettere ai voti una proposta basta una quota di azioni pari a 25 mila dollari, mentre sia in Uk che in Europa occorre possedere un pacchetto di titoli almeno del 5 per cento.

Nel tempio del capitalismo, gli Usa, il soffio della rivoluzione dello shareholder activism qualcosa lo sta già muovendo. La grande società di investimento Blackrock ha introdotto nelle sue procedure delle misure per rendere più facile agli investitori finali del suo universo di votare sulle questioni di routine. Ma per rendere davvero il potere del voto più democratico, farlo uscire dalle stanze in cui sono solo gli azionisti di controllo a decidere tutto, e soprattutto dare spazio alle voci che chiedono cambiamenti etici nel comportamento delle corporation, c’è ancora molto da fare. A partire dall’abbassare anche da questa parte dell’Atlantico i requisiti per contare in assemblea e diffondere il metodo Tulipshare.