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Il Principe

di Leonardo Morlino

L'insostenibile leggerezza del Centro

Se esiste un’opinione di centro, non è detto che possa trovare spazio un partito moderato. A causa del sistema di voto e della competizione elettorale sempre più polarizzata. E a causa della fuga nell'astensione. Il leader di un partito di centro è destinato al fallimento

Leonardo Morlino
MORLINO

Per noi italiani è molto difficile capire come mai un partito di centro è destinato a vita grama. Abbiamo vissuto con il partito di centro per eccellenza, la Democrazia Cristiana, ma non abbiamo preso piena consapevolezza delle condizioni eccezionali in cui eravamo.

Da una parte, la presenza di due formazioni escluse a priori dal governare per le loro caratteristiche non democratiche in certi anni e ambiguamente democratiche in anni successivi, ha bloccato l’elettorato moderato che, come ricordava Indro Montanelli in un famoso articolo del giugno 1976, non aveva alternative se non “turarsi il naso e votare DC”.

Dall’altra, l’appello identitario del mondo cattolico faceva presa, paradossalmente, proprio perché dava voce e copriva un’ampia gamma di interessi, da quelli operai a quelli imprenditoriali. Quando con il tempo quelle condizioni sono venute meno, inevitabilmente la DC è implosa e tutti i tentativi di fare un nuovo grande partito di centro sono falliti – Forza Italia ai tempi di Berlusconi è stato un partito di centro-destra – mentre è diventata sempre più stabile l’esistenza di una destra e di una sinistra, anche articolate al proprio interno. Come mai?

Innanzi tutto, va ricordato che se un partito di centro esiste in quanto lo consentono le regole elettorali, è destinato a rimanere un piccolo partito. Mentre esiste ed è decisiva per i risultati elettorali un’opinione di centro, ovvero un voto moderato, che i partiti dei due schieramenti cercano di conquistare con campagne mirate.

Ma vediamo le condizioni che ostacolano la crescita di un partito di centro. In primo luogo, il sistema elettorale: se vige un sistema maggioritario, diversamente concepito, questo inevitabilmente favorisce la bipolarizzazione tra destra e sinistra. Anche un sistema maggioritario attenuato, come il nostro, spinge nella direzione detta. Se vi è un sistema elettorale proporzionale, vi sarebbero le condizioni migliori per un partito di centro, ma in questa ipotesi è la stessa logica elettorale competitiva che spinge verso la bipolarizzazione: quanto più è forte e libera la competizione elettorale, tanto spinge verso la polarizzazione, fino alla bipolarizzazione. Ovviamente, una distribuzione territoriale diversificata del voto può portare, comunque, a un multipartitismo, senza partiti di centro o con partiti centristi deboli.

Infine, nelle democrazie contemporanee si è aggiunto un ultimo fattore che spinge alla bipolarizzazione, anche con un sistema elettorale proporzionale o con uno semi-maggioritario. È la tendenza all’indebolimento, se non alla scomparsa del voto moderato, che spesso si rifugia nell’astensione. Il conflitto politico si radicalizza e non lascia spazio a quel voto. In questo caso, il risultato più ricorrente è che i due campi tendono ad avere una simile consistenza elettorale.

Se questo avviene in un contesto bipartitico, come quello statunitense, si ha una forte polarizzazione, che rende difficile governare quel paese. Mentre in un contesto multipartitico e simile consistenza elettorale, specie con basse soglie di trasferimento da voti a seggi, leader con esperienza e capacità sovente rincorrono proprio la formazione di un partito di centro. Come mai, anche se sarà solamente un partito personale con tutte le instabilità relative? È il tentativo di un leader di ergersi a deus ex machina, di diventare l’ago della bilancia. Per le loro stesse caratteristiche queste avventure sono destinate a finire nel nulla, ma possono soddisfare l’ego di quel leader.