Il recente Rapporto di Stabilità della Banca d’Italia descrive un sistema bancario a fine 2021 relativamente solido. Basterà per superare l’attuale fase caratterizzata da numerosi rischi di rilevante spessore ?
La recente pubblicazione del Rapporto di Stabilità consolida e precisa con importanti dettagli l’analisi sulla condizione complessiva del sistema bancario italiano. La conclusione della Banca d’Italia è chiara: nell’insieme, le banche italiane possono affrontare da una posizione di relativa solidità l’attuale fase di grande incertezza, determinata da un lato dal graduale superamento delle misure di sostegno adottate nel corso della pandemia e dall’altro lato dalla guerra in Ucraina.
A sostenere la conclusione della Banca d’Italia sono prima di tutto i dati sulla patrimonializzazione. Il rapporto tra il capitale di migliore qualità (Common Equity Tier 1, CET1) e attività ponderate per il rischio (Risk Weighted Assets, RWA) è largamente al di sopra di quanto richiesto dalle normative: 15,3% a livello di sistema, con oltre la metà delle banche poco al di sotto del 19%. La distanza dalla media delle banche europee è di appena 20 centesimi.
Per le realtà in condizioni più critiche (Carige e MPS) si registrano novità positive. BPER ha completato nelle settimane scorse l’acquisizione di Carige. Da parte sua, il Monte dei Paschi (diversamente dal gruppo genovese) ha chiuso in utile il bilancio 2021; le sue prospettive, tuttavia, restano caratterizzate da forte incertezza, sia per l’ammontare della ricapitalizzazione necessaria, sia perché la richiesta di proroga per l’uscita dello Stato dal suo capitale non ha ancora ricevuto una formale risposta positiva.
La ripresa della redditività è stata ampia: a livello di sistema, il ROE, al netto delle componenti straordinarie, è salito nel 2021 al 6,0%, con appena il 6% degli intermediari in perdita (erano il 14% nel 2020). Oltre metà della crescita del ROE, però, è attribuibile alla riduzione del flusso di rettifiche su crediti (-37%). Il margine di intermediazione è salito del 5,4%, aumento concentrato soprattutto nella prima metà dell’anno e riflesso del brillante andamento delle commissioni nette (+11,7%).
In flessione, invece, il margine di interesse diminuito nel 2021 dell’1,4%. La debolezza di questo margine sarebbe stata ben più ampia senza il rilevante sostegno della Bce. Nel Rapporto viene citata una stima della Banca d’Italia secondo cui l’adesione alle iniziative della Bce (in particolare, l’utilizzo del TLTRO3) avrebbe consentito (al netto del costo determinato dal deposito presso l’eurosistema della liquidità in eccesso) una riduzione dei costi di finanziamento delle banche italiane pari a circa l’8% del margine di interesse (quindi 3 miliardi circa).
Negli otto anni che separano il 2012 (azzeramento della remunerazione sui depositi overnight delle banche) e il 2020 (anno di riferimento dell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia) il margine d’interesse è cresciuto complessivamente del 4% a livello sistema. A raffreddare la sua crescita, una politica monetaria fortemente accomodante che ha incoraggiato una continua crescita della disponibilità liquide di famiglie e imprese e rinforzato ulteriormente lo sviluppo del mercato dei corporate bond. Alla fine dello scorso febbraio i depositi bancari delle famiglie consumatrici ammontavano a 1.172 miliardi (+ 48% rispetto al febbraio 2012), quelli delle imprese erano invece pari a 395 miliardi (+145%). Parallelamente l’ammontare delle emissioni e il numero degli emittenti del mercato dei titoli di debito delle imprese ha superato nel 2021 i massimi dell’ultimo decennio.
Anche in Europa il riorientamento della politica monetaria sembra vicino, aspettativa che l’andamento del mercato dei titoli pubblici sta già gradualmente realizzando. È difficile stabilire quanto questa novità possa favorire una ripresa del margine d’interesse. La riapertura della forbice dei tassi che ne deriverà sarà parzialmente compensata dall’indebolimento dei volumi di prestiti, riflesso del peggioramento congiunturale. Inoltre, l’azione degli importanti fenomeni prima ricordati (ampie riserve di liquidità e sviluppo di una potente alternativa al credito bancario) potrà indebolirsi, ma trattandosi di fenomeni consolidati una loro inversione avverrà (eventualmente) solo in un arco di tempo non breve.
Tornando al contenuto del Rapporto, la qualità del portafoglio prestiti ha registrato ulteriori miglioramenti ed è ora complessivamente buona: alla fine dello scorso anno i crediti deteriorati netti ammontavano a circa 40 miliardi, l’1,7% del totale dei finanziamenti, valore poco diverso da quanto in media prevalente nel resto del vecchio continente. A sostenere questa evoluzione hanno contribuito più circostanze favorevoli tra le quali, in particolare, queste due: la citata ripresa della redditività che ha consentito di finanziare operazioni di pulizia del portafoglio; la confermata ricettività del mercato dei prestiti deteriorati (23 miliardi di cessioni nel 2021).
Per quanto riguarda l’andamento recente del rischio di credito si rilevano luci e ombre, con le prime per adesso prevalenti. In rapporto all’insieme dei crediti regolari, il flusso dei nuovi prestiti deteriorati è pari all’1,3%, valore storicamente contenuto. Il rapporto si posiziona sotto la soglia dell’1% per i finanziamenti alle famiglie, all’1,9% per i finanziamenti alle imprese. L’uscita dalle moratorie sta avvenendo con meno tensioni del previsto: dei 268 miliardi concessi a marzo 2020, a fine 2021 ne restavano 44 miliardi, di cui 6 riferibili alle famiglie e 38 alle imprese.
Circostanza favorevole è la constatazione che la guerra in Ucraina investe in modo diretto quasi esclusivamente le due banche maggiori, quelle più in grado di assorbire eventi sfavorevoli. La pubblicazione della prima trimestrale dell’anno ha sottolineato che tale impatto va rapportato al flusso degli utili e non a grandezze patrimoniali come il totale dell’attivo. L’accantonamento effettuato dai due gruppi nel bilancio relativo ai primi tre mesi 2022 (nell’insieme circa 2 miliardi) ha determinato una decurtazione dell’utile netto di circa metà in un caso (UniCredit), di un terzo nell’altro (Intesa). È quasi superfluo precisare che si tratta di un primo intervento, cui ne seguiranno altri di analogo rilievo in occasione dei prossimi rendiconti.
Le altre banche del sistema sono esposte agli effetti indiretti della guerra, e cioè alla destabilizzazione di un ampio numero di imprese in conseguenza della profonda alterazione dei prezzi (a cominciare da quelli dell’energia) e dei mercati (di approvvigionamento e di sbocco).
La vulnerabilità del quadro complessivo è segnalata dall’ulteriore crescita dei prestiti al settore privato non finanziario, classificati nello stadio 2 previsto dal principio contabile IFRS 9. Si tratta di prestiti ancora regolari nei pagamenti, ma per i quali si prende atto di una significativa crescita del rischio di inadempienza. Alla fine dello scorso anno l’incidenza dei prestiti classificati nello stadio 2 sul totale di quelli in bonis era pari al 14,6%, un valore significativamente superiore al corrispondente dato medio europeo.
Se quelli attuali fossero “tempi normali o quasi” il quadro descritto dal documento della Banca d’Italia autorizzerebbe certamente un ragionevole ottimismo. Il Rapporto è stato pubblicato a fine aprile e sviluppa le sue considerazioni guardando ai dati in essere alla fine del 2021. Da allora la situazione è fortemente mutata e quindi la conclusione incoraggiata dal documento è più debole.
I rischi da fronteggiare nello scenario attuale sono tanti. Tra essi quello sicuramente di maggiore spessore è il possibile evolvere dell’attuale deterioramento congiunturale in una piena recessione. Non diversamente dal resto del continente, la crescita economica italiana per il 2022, ipotizzata brillante a inizio anno (non lontana dal 4%), viene ora posizionata molto più in basso (poco sopra il 2%; -0,2% è il dato congiunturale del primo trimestre), con un apprezzabile possibilità di ulteriore correzione al ribasso.