Lezione francese
Leonardo Morlino
MORLINO

È ancora troppo presto per capire appieno caratteristiche e conseguenze politiche della protesta, protratta per settimane, dei Gilet Gialli in Francia. Eppure qualche prima indicazione sta emergendo con sufficiente evidenza, in tre direzioni diverse: su un possibile futuro del sistema partitico francese, quindi sull’efficacia a breve termine della protesta in una democrazia, infine su certi svantaggi di un sistema maggioritario, come quello francese, tanto lodato da diversi commentatori.

Pur con una legge elettorale iper-maggioritaria come il doppio turno francese, e con l’elezione diretta del presidente, il successo di En Marche, un partito creato quasi dal nulla in pochi mesi con Macron leader, aveva già dimostrato la crisi profonda dei partiti, dal centro-destra al centro-sinistra. En Marche, peraltro, è l’unico partito europeo creato in questi ultimi anni che non sia neo-populista e anti-establishment. 

Seguendo un percorso classico tante volte ripetuto negli ultimi anni – ad esempio con Syriza in Grecia e con Podemos e Ciudadanos in Spagna – e in un contesto di crisi più generale dei partiti, un movimento sociale si può dunque trasformare in partito e occupare tutto lo spazio che saprà trovare, dal centro-sinistra alla sinistra anche radicale, che i partiti attuali non riescono più ad occupare. Ma i Gilet Gialli saranno capaci di questo? 

Tanto più la protesta si protrae, e tanti più risultati consegue nel conflitto con Macron, tanto più probabile diventa la trasformazione da movimento a partito. In Spagna, la trasformazione dal movimento degli Indignados a Podemos ha richiesto diversi mesi, pur avendo quasi subito una leadership abile ed esperta. In ogni caso, questo è il punto chiave: quanto prima emerge un gruppo, anche ridotto, che prende la leadership del movimento, tanto prima può avvenire la trasformazione. Per capire se si giungerà a un nuovo partito, basterà fare attenzione all’emergere ed affermarsi di una leadership dall’interno dei Gilet Gialli. 

Ormai la ricerca sul tema ha dimostrato che la protesta, che può anche degenerare diventando violenta, è molto efficace nello spingere il governo a rispondere alle richieste di chi scende in piazza. In breve, la protesta rende i governi più ‘responsivi’, e questo dal punto di vista della democrazia è un elemento molto positivo. 

Ma il governo che accoglie le richieste della piazza non risolve i problemi per cui aveva cercato una soluzione con i provvedimenti che hanno portato i danneggiati a scendere in piazza. Anzi li aggrava. 

Sotto l’impatto della Grande Recessione iniziata nel 2007 e non ancora completamente superata, sarebbero necessarie politiche redistributive a favore dei gruppi maggiormente colpiti. Ma se politiche del genere sono semplici in condizioni di crescita sostenuta, non lo sono in quella attuale, stentata anche in Francia e con prospettive poco ottimistiche; inoltre – pur senza escluderlo del tutto – è difficile pensare a Macron come a un leader autore di quelle politiche. In breve, si è creata una situazione in cui mediazione e ragionevolezza trovano poco spazio in un contesto di radicalizzazione, specie della protesta.

Una protesta che evidenzia difficoltà economiche e bisogni sentiti da tanta gente come questa dei Gilet Gialli suggerisce che qualcosa nel rapporto tra istituzioni e cittadini non ha funzionato. Questo è uno dei possibili effetti di un sistema maggioritario, e a maggior ragione iper-maggioritario, come quello francese. 

Un paradosso, assai noto, delle democrazie, è che possono essere ben governate con regole che privilegiano l’efficacia decisionale, cioè con regole cosiddette maggioritarie, se vi è un consenso diffuso tra cittadini, né insoddisfatti né radicalizzati. Altrimenti quelle regole creano una sorta di barriera che tende a chiudere i canali di comunicazione e di condizionamento dei cittadini verso i governanti. 

La soluzione, anche in contesti maggioritari, può trovarsi nell’opera di collegamento e mediazione di partiti, effettive istituzioni di rappresentanza e legati ai territori, e di associazioni di interessi. Ma tali attori intermedi sono ormai scomparsi nella gran parte delle democrazie contemporanee, sempre più caratterizzate da leader più o meno forti e società frammentate o ultra-frammentate. 

Siamo allora condannati ad avere democrazie a capacità decisionale ridotta, che creeranno sempre insoddisfazione, ma almeno attenueranno i conflitti sociali promuovendo pratiche consensuali invece che maggioritarie? Sembrerebbe di sì, ma come sappiamo non c’è mai una ‘fine della storia’.