L'evoluzione della Finanza Comportamentale
Enrico Maria Cervellati
Cervellati

Qualche tempo fa una collega mi ha chiesto se ancora mi chiedevano di insegnare corsi di finanza comportamentale. Alla mia risposta affermativa, mi ha guardato stupita, aggiungendo “Ma come, dopo tutti questi anni?”. Il commento non si riferiva tanto al fatto che mi occupo dell’approccio comportamentale ormai da sedici anni, quanto allo stupore nel constatare che ci fosse ancora interesse “sul tema”. Ce n’è e ce n’è tanto. Non solo dopo la recente attribuzione del premio Nobel per l’Economia a Richard Thaler, considerato il primo economista comportamentale moderno, ma in generale l’interesse non è mai scemato, anzi è cresciuto sempre di più negli ultimi anni, ma si è modificato nel tempo.

Ho letto per la prima volta le parole “Behavioral Finance” nel settembre 2002. Erano il titolo di un handbook a essa dedicato; tre libroni curati da Hersh Shefrin – uno dei fondatori della finanza comportamentale, nonché quello che considero mio mentore e maestro – editi nel 1999. Il mese dopo arriva il Nobel a Daniel Kahneman, lo psicologo “padre” dell’utilizzo dell’approccio comportamentale in economia. Avendo intuito che si trattava di un approccio interessante da studiare, ho investito tempo e risorse, andando nel 2004 all’università di Berkeley in California, per lavorare con uno dei maggiori esperti del campo, Terrance Odean, ma anche con Shefrin e Meir Statman – l’altro “padre” della finanza comportamentale – alla Santa Clara University, dall’altra parte della baia di San Francisco. Bellissimo periodo, intenso, che ha gettato le basi per quello che ho costruito negli ultimi sedici anni.

Quella che ho imparato negli Stati Uniti è quella che ora si definisce “finanza comportamentale 1.0”, una lista di “errori” (meglio “bias”), euristiche ed effetti di inquadramento (“framing”) che costituiscono la base dell’approccio comportamentale. Se l’interesse non è mai scemato, è vero che dopo l’ennesimo (è almeno il terzo) Nobel all’economia comportamentale, questa è ritornata “di moda”. Molti si sono improvvisati negli ultimi tempi a parlarne, ma spesso si riferiscono “solo” a quella lista di bias, euristica ed effetti di framing che si riferisce ormai a quarant’anni fa. Nulla di male, ma nel frattempo la finanza comportamentale si è evoluta.. e anche tanto.

In questa rubrica, con cadenza quindicinale e chissà forse a volte settimanale, cercherò di portarvi in un viaggio che ripercorre le tappe più significative di questa evoluzione, o comunque di scrivere di quelli che (personalmente) penso siano gli aspetti più interessanti e utili di cui trattare. Utili perché la comportamentale – a mio avviso – deve anche essere utile, deve essere “portata a terra”, altrimenti rischia di rimanere qualcosa di interessante e nulla più. E utile lo è eccome, lo ha dimostrato nella versione che viene chiamata “2.0” o “in azione”, cioè la seconda generazione che ha portato soluzioni tangibili agli errori o agli effetti negativi delle distorsioni comportamentali. Scriverò anche di questo, ma anche di quella che considero la terza generazione, la finanza comportamentale “3.0”, cioè quella “personalizzata”, che tiene conto delle teoria della personalità e del fatto che occorre considerare la personalità finanziaria degli investitori per tanti motivi, ma uno fondamentale, che siamo diversi e proporre la stessa cosa, nella stessa maniera, a persone diverse non funziona.

Sono tanti, davvero tanti, i temi che tratta l’approccio comportamentale e non ho la pretesa di coprirli tutti in questa rubrica. Il mio intento è quello di incuriosirvi e darvi gli strumenti per approfondire i temi che vi interessano di più. Sottolineo spesso che quello comportamentale è un “approccio” che può essere applicato a moltissimi temi, economici, finanziari, ma anche politici. Ne sono testimonianza le tante “nudge unit” sparse per il mondo, team di economisti comportamentali chiamati a risolvere problemi spesso, ma non solo, di carattere economico-finanziario, ma a volte anche politico e di altro genere (per esempio, la “cattiva” dieta dei bambini statunitensi in sovrappeso per cui Michelle Obama ha chiesto l’aiuto del team di esperti comportamentali costituito dal marito Barack quando era Presidente).

Cosa dire.. non mi resta che augurarci buon viaggio! Sperando nel frattempo di avervi incuriosito.

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