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L’evoluzione dei comitati endo-consiliari nella corporate governance

La normativa vigente individua due tipologie di comitati endo-consiliari, i comitati con funzioni esecutive e i comitati con funzioni istruttorie-consultive-propositive. Soltanto i primi trovano disciplina nel Codice Civile, all’articolo 2381, che stabilisce che il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni a un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti. I secondi, invece, sono organi che, sempre all’interno del consiglio di amministrazione, non hanno compiti esecutivi/gestori e non limitano i poteri decisionali e la responsabilità dell’organo aziendale all’interno del quale sono creati, venendo istituiti al solo fine di facilitare e coadiuvare i lavori dello stesso organo, incrementandone l’efficienza e l’efficacia. Un particolare ruolo di impulso in riferimento ai comitati istruttori-consultivi-propositivi è stato svolto da Borsa Italiana, con il Codice di Autodisciplina, a cui hanno poi fatto seguito le disposizioni nazionali inerenti la corporate governance delle banche, oltre che quelle in materia di organizzazione e procedure degli intermediari finanziari.

Massimo Paolo Gentili, Orietta Nava
Gentili
Nava

La normativa vigente individua due tipologie di comitati endo-consiliari, i comitati con funzioni esecutive e i comitati con funzioni istruttorie-consultive-propositive.

I comitati della prima specie sono gli unici espressamente disciplinati dal Codice Civile, all’articolo 2381, che stabilisce che il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni a un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti.

Il comitato esecutivo è dunque un vero e proprio organo operativo, che ha poteri di amministrazione e, in alcuni casi, di rappresentanza verso i terzi. Per tale motivo la normativa primaria ne definisce, in termini generali, i compiti, il flusso informativo nei confronti del consiglio di amministrazione delegante, nonché i poteri direttivi e di sorveglianza che quest’ultimo esercita nei suoi confronti, stabilendo anche che spetti all’organo amministrativo nel suo complesso la determinazione dei contenuti, dei limiti e, eventualmente, delle modalità di esercizio della delega. In ogni caso il consiglio di amministrazione, pur nominando un comitato esecutivo (nella prassi si ricorre sovente all’istituzione dei comitati esecutivi in presenza di consigli di amministrazione molto numerosi, per rendere più efficiente la corporate governance della società), non si spoglia comunque dei propri poteri e, anzi, può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Il comitato esecutivo, ai sensi delle disposizioni civilistiche, cura che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferisce all’organo delegante sull’andamento generale della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società stessa.

Tali compiti sono divenuti nel tempo articolati e ampi, soprattutto nell’ambito finanziario, ove la normativa di settore impone regole di funzionamento complesse, oltre che distinti e sempre più complessi sistemi di controllo, a cui si aggiungono anche comitati che, seppur non esecutivi, hanno specifiche competenze.

I comitati istruttori-consultivi-propositivi, invece, ossia i comitati endo-consiliari della seconda tipologia, sono organi che, sempre all’interno del consiglio di amministrazione, non hanno compiti esecutivi/gestori e non limitano i poteri decisionali e la responsabilità dell’organo aziendale all’interno del quale sono creati, venendo istituiti al solo fine di facilitare e coadiuvare i lavori dello stesso organo, incrementandone l’efficienza e l’efficacia. Si tratta di comitati altamente specializzati, dedicati a materie di particolare importanza, quali ad esempio il comitato dei rischi – che consente al consiglio di amministrazione una approfondita gestione del rischio e un costante controllo dello stesso – e il comitato per le nomine – che grazie all’attività svolta di selezione, valutazione dell’idoneità e del funzionamento del consiglio stesso, nonché di elaborazione di programmi di formazione, indubbiamente migliora nel continuo l’attività dell’organo di gestione.

Un particolare ruolo di impulso in riferimento ai comitati istruttori-consultivi-propositivi è stato svolto da Borsa Italiana, con il Codice di Autodisciplina, a cui hanno poi fatto seguito le disposizioni nazionali inerenti la corporate governance delle banche, oltre che quelle in materia di organizzazione e procedure degli intermediari finanziari.

Il predetto Codice disciplina dunque tutti quei comitati che società italiane emittenti azioni quotate di medie e grandi dimensioni, aderenti al Codice stesso, istituiscono e che sono rappresentati dai comitati (i) nomine, (ii) remunerazione, (iii) controllo e rischi, (iv) operazioni con parti correlate, (iv) strategie e supervisione delle questioni di sostenibilità connesse all’esercizio dell’impresa.

Tutti i comitati citati svolgono ruoli istruttori, così da permettere all’organo amministrativo – mediante la formulazione di proposte, raccomandazioni e anche pareri – di adottare le proprie decisioni su base informata e approfondita, e pertanto assumono rilevanza in tutti quei casi ove la specifica competenza del comitato sia connessa a materie di particolare delicatezza. Proprio per tale motivo le competenze e la composizione di tali comitati deve riflettere quelle dell’organo all’interno del quale sono istituiti e la totalità dei relativi membri deve essere rappresentata da consiglieri non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti, così che ogni parere e/o giudizio espresso sia totalmente scevro da eventuali interessi. I comitati stessi, nell’adempiere alle proprie funzioni, possono sia accedere alle informazioni e funzioni aziendali necessarie per svolgere i propri compiti sia avvalersi – nei termini comunque indicati dal consiglio di amministrazione e nel rispetto delle risorse finanziarie da quest’ultimo messe a disposizione – di consulenti esterni.

L’istituzione dei comitati in esame, quantomeno per gli emittenti, è obbligatoria, e può essere evitata solo riservando le relative funzioni all’intero consiglio di amministrazione e a condizione che (i) gli amministratori indipendenti rappresentino almeno la metà del consiglio stesso e (ii) all’espletamento delle funzioni dei vari comitati siano dedicati, all’interno delle sedute consiliari, adeguati spazi, dei quali venga dato conto della relazione sul governo societario.

Nell’ambito degli operatori del settore finanziario l’istituzione di un comitato è subordinata al ricorrere di specifici requisiti ex lege, fermo restando che viene poi lasciata alla singola società la decisione in merito a se e come darvi attuazione, secondo il cd. principio di proporzionalità, ossia in considerazione delle caratteristiche, delle dimensioni e della complessità organizzativa interna, della natura, portata e complessità delle attività svolte (nonché, nel caso di gestori di fondi, del numero e dimensione dei fondi gestiti) purché, in ogni caso, vengano conseguiti gli obiettivi che la normativa di volta in volta detta.

Le disposizioni di vigilanza per le banche, ad esempio, dopo aver suddiviso tra banche di maggiori, intermedie e minori dimensioni, stabiliscono che le banche applicano le disposizioni in materia di governo societario in considerazione del principio di proporzionalità, con la precisazione tuttavia che per banche di maggiori dimensioni l’applicazione di alcune disposizioni – come ad esempio l’istituzione di alcuni comitati endo-consiliari (comitato nomine, comitato rischi e comitato remunerazioni) – è obbligatoria, mentre per quelle di minori dimensioni analoghi adempimenti sono lasciati alla decisione dell’istituto stesso.

In ogni caso, indipendentemente dalla tipologia a cui appartiene l’ente che istituisce il comitato – sia esso emittente, banca, SIM o SGR – le disposizioni dettate dal Codice e dalla normativa regolamentare a disciplina dei vari comitati sono pressoché identiche.

In primis tutti i comitati, si diceva, devono essere composti da consiglieri non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti, possibilmente sempre in numero dispari. Un rafforzamento di tale composizione è poi previsto per il comitato remunerazioni che, ove possibile, deve essere composto per l’intero da amministratori indipendenti e il cui presidente, qualora solo la maggioranza fosse indipendente, deve essere scelto tra soggetti aventi tale caratteristica.

Come per il comitato esecutivo anche per i comitati della seconda specie l’istituzione spetta al consiglio di amministrazione, che provvede anche alla nomina dei componenti e alla determinazione dei relativi poteri e compiti, nel rispetto, in ogni caso, delle indicazioni, più o meno ampie, in proposito fornite dalla normativa in materia.

Con riferimento a tale ultimo aspetto, ad esempio, è previsto che il comitato nomine assolva specifiche funzioni consistenti nella formulazione di pareri al consiglio di amministrazione in merito alla dimensione e alla composizione del consiglio stesso, nonché nella proposta di candidati alla carica di amministratore, nei casi di cooptazione, ove siano da sostituirsi amministratori indipendenti, e di definizione dei piani di successione nelle posizioni di vertice dell’esecutivo.

Il comitato remunerazioni, secondo quanto esplicitato dalle varie normative in materia, ha invece lo scopo di supportare il consiglio di amministrazione – con una specifica attività istruttoria e propositiva – nelle decisioni da adottarsi in materia di remunerazione, così che il sistema remunerativo adottato dall’ente non solo sia tale da attrarre e trattenere persone dotate di qualità professionali necessarie per gestire con successo l’ente e da allineare anche gli interessi di tali soggetti con il perseguimento dell’obiettivo primario della creazione di valore per gli azionisti, ma promuova anche la sostenibilità nel medio-lungo periodo dell’impresa e garantisca che la remunerazione sia basata su risultati effettivamente conseguiti.

Ancora, il comitato controllo e rischi, che si colloca nel più ampio ambito del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, ha quale obiettivo quello di supportare il consiglio di amministrazione – mediante parere preventivi allo stesso rilasciati e lo svolgimento di un’attività istruttoria – nella definizione del sistema predetto (anche con riferimento all’identificazione dei principali rischi aziendali) e dei relativi indirizzi, nella valutazione periodica dell’adeguatezza del sistema stesso (anche con riferimento alla funzione di controllo di terzo livello), nonché, inter alia, nella nomina e revoca del responsabile della funzione di revisione interna.

Ai predetti comitati, di maggior diffusione e rilievo, si aggiungono poi, sempre in ambito endo-consiliare, quello per le operazioni con parti correlate – tema di importanza, a cui Consob ha dedicato uno specifico regolamento – e quello strategie, comitati che, seppur non obbligatori, vengono spesso istituiti, su base volontaria, in quanto competenti in materie rilevanti in relazione all’operatività dell’ente e alla sua organizzazione. Il comitato strategie, invece, di ridotta diffusione, ha compiti propositivi in relazione a materie particolarmente sensibili e di rilievo economico, finanziario e strategico. Usualmente svolge infatti funzioni consultive e propositive nella definizione delle linee guida strategiche del business e per l’individuazione e definizione delle condizioni e dei termini di operazioni di rilievo strategico, assistendo appunto il consiglio di amministrazione nella valutazione di operazioni, iniziative e attività di rilievo strategico.

Di altrettanto rilievo sono anche altri comitati, che, seppur non costituiti all’interno del consiglio di amministrazione, sono pressoché una costante nella pratica, specificatamente tra quegli operatori del mercato finanziario che prestano i servizi di gestione di portafogli, di consulenza in materia di investimenti ed anche di gestione collettiva del risparmio.

Il riferimento è a quei comitati che, variamente denominati – Comitato Investimenti, Advisor Committee, Comitato Consulenza – hanno quale scopo quello di coadiuvare la società nello svolgimento del suo core business, segnatamente l’area a ciò deputata e, se del caso, il consiglio di amministrazione. Si tratta infatti di comitati senza alcuna rilevanza esterna da un punto di vista giuridico, con compiti esclusivamente consultivi, composti dal personale dell’ente che svolge le attività di investimento (dunque gestori e consulenti, a cui spesso si aggiunge, senza diritto di voto, il risk manager) non necessariamente membri del consiglio di amministrazione, le cui funzioni, variamente articolate in base all’attività e alla struttura della società medesima, comunque sempre nel rispetto della normativa primaria e secondaria posta a disciplina dei servizi e attività di investimento prestati, nonché delle direttive impartite dal consiglio di amministrazione e delle previsioni delle procedure e policies interne alla società stessa, sono quelle di analizzare e valutare le varie opportunità di investimento/disinvestimento e gli scenari di mercato di riferimento, definire asset allocation tattiche, di portafogli modello, svolgere attività di monitoraggio, rilasciando anche pareri e formulando proposte all’organo di gestione.

Meritano infine una menzione quei comitati – Advisory Board e Comitato degli Investitori – tipicamente rinvenibili nell’ambito dei fondi di investimento, esterni alla società di gestione del risparmio che gestisce i fondi stessi e alla struttura di governance della stessa. Si tratta di comitati, senza alcuna rilevanza esterna, istituiti dalla SGR gestore (eventualmente di concerto con gli investitori del fondo) o dalla stessa assemblea degli investitori del fondo, con funzioni consultive e, fatto salve specifiche previsioni (del regolamento di gestione del fondo) in proposito, non vincolanti. I predetti comitati sono solitamente composti da soggetti totalmente estranei alla SGR, di prassi rappresentati, sia per l’Advisory Board, i cui compiti sono normalmente quelli di fornire valutazioni ed analisi del settore di operatività del fondo, che per il Comitato Investitori, i cui compiti sono quelli di rilasciare pareri preventivi (in casi specificatamente determinati anche vincolanti) relativamente ad alcune operazioni del fondo, da persone (di fiducia degli investitori) di comprovata esperienza e competenza appunto nel settore di attività del fondo.

Il grande vantaggio di questa ultima tipologia di comitati formati da soggetti esterni, ed in particolare ci riferiamo all’Advisory Board, è quello di permettere alla società di attrarre professionisti di varia formazione e possibilmente di grande visibilità, i quali possono assumere questo incarico senza avere responsabilità specifiche e al contempo partecipare a discussioni strategiche o di analisi di mercato, dando però visibilità all’esterno della loro vicinanza all’attività della stessa società.

Sicuramente la presenza dei comitati, nelle varie forme descritte, ha registrato, nell’ambito della corporate governance degli intermediari finanziari, un notevole incremento, a seguito della maggior regolamentazione degli ultimi anni. Un contributo destinato ad aumentare proprio per la maggior complessità e velocità del mercato di riferimento, connesse queste anche all’interdipendenza dei diversi mercati sia in termini settoriali che geografici. Quest’ultimo aspetto probabilmente ancora non è stato percepito da tutti gli operatori, ma presto richiederà, a parere nostro, un maggior coinvolgimento di professionalità provenienti da diverse discipline, come ad esempio esperti di mercati esteri, di tecnologia o di community.

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